mercoledì 8 giugno 2016

Il dilemma del mentitore

La nostra vita sociale, sempre più complessa e, diremmo oggi, interconnessa, si muove continuamente in bilico tra fiducia e menzogna. Come difendersi ?
All’argomento è dedicato questo breve post di Massimiliano Rupalti, in cui si parla, tra le altre cose, del numero di Dumbar e della sua fondamentale utilità nel riconoscere i mentitori. (da Effetto Risorse). Lumen


<< Il linguaggio è il vero e proprio punto di rottura fra gli esseri umani e qualsiasi altra cosa che cammina, striscia o vola sulla faccia della terra. Nessun'altra specie (eccetto le api) ha strumenti che possano essere usati per scambiarsi informazioni complesse fra gli individui in termini, ad esempio, di dove si può trovare il cibo e in quali quantità.

E' il linguaggio che crea la “ultra-socialità” umana, è il linguaggio che ci permette di metterci insieme, pianificare per il futuro, fare le cose. Il linguaggio può essere visto come una tecnologia di comunicazione di incredibile potere. Ma, come per tutte le tecnologie, ha conseguenze inattese.

Tutti sappiamo che il suono che scriviamo come “cervo” è associato ad un tipo di animale specifico. Con questo simbolo si possono creare frasi come “Ho visto un cervo vicino al fiume, andiamo a cacciarlo!” Ma, se si crea un simbolo, in qualche modo si “crea” un cervo – una creatura virtuale che ha alcune delle caratteristiche del cervo vero.

Si può immaginare un cervo, anche se non c'è alcun cervo in giro. E questo simbolo ha un certo potere, forse si può far apparire un cervo pronunciando il suo nome o disegnando il suo simbolo sulla parete di una caverna. E' il principio che chiamiamo “magia simpatica”, forse la forma di magia più antica e fondamentale.

Creare un cervo virtuale è una cosa utile se la corrispondenza col cervo reale non viene persa. Il problema col linguaggio è che non è sempre così. Il cervo di cui si parla potrebbe non esistere, potrebbe essere un'illusione, un errore o, peggio ancora, uno stratagemma per intrappolare ed uccidere un nostro nemico. E' questa l'origine del concetto che chiamiamo “bugia”.

Si può usare il linguaggio non solo per collaborare coi propri vicini, ma anche per ingannarli. Abbiamo prove che i nostri antenati hanno affrontato il problema sin dalle prime registrazioni scritte che abbiamo. In alcune tavole sumere che risalgono al terzo millennio A.C., troviamo che fra i poteri che la dea Inanna ha rubato al dio Enki, uno è “quello di pronunciare parole di inganno”.

La questione della bugia è cruciale per la sopravvivenza umana. Mentire rende inutile la comunicazione visto che non ci si può fidare della persona con la quale si comunica. Il cervo che il tuo amico ti aveva detto essere in riva al fiume scompare nello spazio virtuale: non si può dire se fosse reale o meno. La stupenda tecnologia del linguaggio, sviluppata in centinaia di migliaia di anni, distrugge se stessa con la conseguenza involontaria della bugia.

Tutte le tecnologie hanno conseguenze involontarie, tutte sono riconducibili a qualche tipo di soluzione tecnologica. Combattere le bugie richiede la valutazione delle affermazioni e di chi le pronuncia. Il modo più semplice per farlo è basare la valutazione sulla fiducia.

Tutti conosciamo la storia del “ragazzo che gridava al lupo”, probabilmente vecchia quanto l'homo sapiens. Nelle sue diverse versioni, essa dice “se menti una volta, non verrai creduto mai più”. E funziona, ha funzionato per centinaia di migliaia di anni e funziona ancora.

Pensate alla vostra cerchia di conoscenze attuali. Quelle persone che conoscete personalmente e che conoscete da un po' di tempo. Vi fidate di loro, sapete che non vi mentirebbero. E' per questa ragione che li chiamate “amici”, “compagni”, “compari” e cose del genere.

Ma questo funziona finché si mantiene la propria relazione all'interno di un gruppo piccolo e sappiamo che la dimensione di una cerchia di rapporti stretti di solito non va oltre le 150 persone (si chiama “Numero di Dumbar”). Entro questa dimensione, la reputazione di ogni membro è conosciuta da tutti gli altri e i bugiardi vengono facilmente identificati e contrastati e persino espulsi).

Il problema si è manifestato quando le persone hanno cominciato a vivere in grandi città. Poi, la maggior parte delle persone interagiva con un numero molto maggiore di persone del numero di Dumbar. Come possiamo sapere se qualcuno che non avete mai incontrato prima dev'essere creduto o no ? In questa situazione, la sola difesa contro i truffatori sono gli indizi indiretti: il modo di vestire, il modo di parlare, l'aspetto fisico, ma nessuno è efficace quanto la fiducia in qualcuno che si conosce bene.

Ma questo era niente in confronto a quello che è arrivato con l'era dei mass media. A quel punto si leggevano cose, sentivano cose, vedevano cose, ma in realtà non si avevano indizi sulla provenienza di queste comunicazioni, né si poteva verificare se la realtà virtuale che si aveva di fronte corrispondeva al mondo reale.

Man mano che i mass media hanno allargato la loro portata, le persone che li controllavano hanno scoperto che mentire era facile e che avevano molto poco da perdere mentendo. Dalla parte di chi riceveva, c'erano persone confuse ed incapaci di verificare l'informazione ricevuta. I media potevano facilmente raccontar loro bugie che non sarebbero state scoperte, perlomeno per un po'. (…)

Poi sono arrivati internet e i social media che hanno reso la bugia democratica. Ora tutti potevano mentire a chiunque altro semplicemente condividendo un messaggio. La verità non veniva più dalla fiducia nelle persone che la trasmettevano, ma dal numero di “mi piace” e dalle condivisioni che il messaggio aveva ricevuto. La verità non è la stessa cosa che la viralità, ma sembra essere diventata esattamente questo nella percezione generale: se qualcosa viene condivisa da molte persone, allora deve essere vera.

Così oggi ci dicono bugie continuamente, costantemente e allegramente quasi tutti e su quasi tutto. Mezze verità, pure invenzioni, distorsioni della realtà, giochi di parole, false flags, statistiche distorte e altro sono le comunicazioni che affrontiamo quotidianamente. Lo tsunami di bugie che ci si sta abbattendo addosso è quasi inimmaginabile ed ha conseguenze spaventose. Ci sta rendendo incapaci di fidarci di qualsiasi persona e cosa.

Stiamo perdendo il contatto con la realtà, non sappiamo più come filtrare gli innumerevoli messaggi che riceviamo. La fiducia è un grande problema nella vita umana, non per niente, si dice che il diavolo è “il padre delle bugie” (Giovanni 8:44). E infatti, ciò che l'antropologo Roy Rappaport chiamava le “bugie diaboliche” sono quelle bugie che manipolano il tessuto stesso della realtà. E se si perde il contatto con la realtà, ci si perde. Potrebbe essere questo che sta succedendo a tutti noi.

Alcuni di noi trovano più facile credere semplicemente a quello che ci viene raccontato dai governi e dalle lobby, altri passano ad una sfiducia generalizzata su tutto, cadendo facilmente vittime di altre bugie. Le bugie diaboliche sono frattali, nascondo altre bugie dentro di sé, fanno parte di bugie più grandi. (…)

Così, eccoci tornati al problema del “ragazzo che gridava al lupo”. Noi siamo il ragazzo, non ci fidiamo di nessuno, nessuno ci crede e il lupo è qui davvero. Il lupo prende la forma del riscaldamento globale, dell'esaurimento delle risorse, del collasso dell'ecosistema e di altro, ma gran parte di noi sono incapaci di riconoscerlo, anche di immaginare che possa esistere.

Ma come biasimare quelle persone che sono state tradite così tante volte che hanno deciso che non avrebbero più creduto a niente che provenisse da un canale anche marginalmente “ufficiale”? Questo è un grande disastro è sta avvenendo proprio adesso, di fronte ai nostri occhi. Siamo diventati uno di quegli antichi cervi distrutti dal peso delle proprie stupende corna. Il linguaggio ci sta giocando un brutto scherzo, ci si sta ritorcendo contro dopo esserci stato così utile.

Spesso crediamo che la tecnologia sia sempre utile e che le nuove tecnologie ci salveranno dai disastri che incombono su di noi, io sto cominciando a pensare che ciò di cui abbiamo bisogno non sia più tecnologia, ma meno. E se il linguaggio è una tecnologia, mi sembra che ne abbiamo troppa, davvero. Sentiamo troppi discorsi, troppe parole, troppo rumore. Forse abbiamo tutti bisogno di un momento di silenzio. >>

MASSIMILIANO RUPALTI

11 commenti:

  1. Un bellissimo testo su cui meditare.

    "Il linguaggio ci sta giocando un brutto scherzo."

    Direi invece che è il numero, che sono i numeri a giocarci brutti scherzi. Le informazioni sono così tante che è ormai impossibile raccapezzarsi. E l'alto numero d'informazioni è in relazione al numero dei pensanti e parlanti. Un numero, un voto, dice uno slogan. È la democrazia. Ma i numeri ormai sono troppo alti, anche sofisticati congegni che filtrassero le informazioni (in base a quali criteri?) difficilmente permetterebbero di cogliere il nocciolo della questione, insomma di riconoscere la verità. La manipolazione, la menzogna, sono ormai moneta corrente che siamo costretti ad accettare senza nemmeno indignarcene più troppo. Eppure non vogliamo, non possiamo rassegnarci alla menzogna, all'incertezza. Oggi non si votano più tanto i partiti, le coalizioni, quanto piuttosto individui che ispirano fiducia (o che sono simpatici, è più o meno la stessa cosa: chi mi è simpatico lo è per certe qualità che riconosco).

    Però la situazione è disperante. È difficile sottrarsi all'universale chiacchiericcio, all'interconnessione globale (il sistema ci schederebbe come pericolosi asociali - lo faceva già una volta ma su scala ridotta: ai salesiani non piacevano i taciturni, i solitari, bisognava partecipare, stare in gruppo).
    Francamente non saprei cosa proporre. Personalmente, ma potrebbe essere anche una questione di età e di sfiducia, proporrei di staccare, almeno ogni tanto, la spina. Cerchiamo informazioni perché siamo tutti cupidi rerum novarum, ci distraggono e possono arricchirci, permetterci di agire meglio. Ma ormai ci affoghiamo dentro alle cosiddette informazioni. Se non leggessimo i giornali per una settimana o un mese non è che saremmo disinformati e più esposti ai pericoli.
    Io comunque non sono su Facebook e non cinguetto su Twitter: mi sembrano cose semplicemente demenziali. Ma se tutti lo fanno, se sono miliardi a cinguettare e a condividere scemenze, che fare? Oltretutto la rete può servire a qualcuno o a certuni per manipolare, teleguidare le coscienze.

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  2. A che serve ormai la letteratura? Una volta formava i giovani, i testi che si leggevano, studiavano, commentavano ecc. erano quelli consacrati dalla tradizione. E ci si intendeva meglio anche grazie a quei testi che conoscevano più o meno bene un po' tutti. Ma adesso, soprattutto per i numeri, il mondo è esploso, stiamo andando probabilmente incontro a una cultura universale non più riconducibile ai "sacri testi" a tutti noti. Già trent'anni fa Sciascia sosteneva che "la civiltà letteraria scomparirà" (lui che era soprattutto un letterato).
    Prendiamo la filosofia. I docenti universitari sono sicuramente migliaia in tutto il mondo. Un docente di filosofia non è necessariamente un filosofo, è piuttosto uno storico della filosofia che commenta. Ora per legge già un semplice laurea dovrebbe apportare un notevole contributo di novità alla rispettiva disciplina, tanto più poi le abilitazioni, le opere di un docente durante la sua carriera. Ora è immaginabile che lauree, abilitazioni, opere di un docente di filosofia apportino contributi notevoli alla materia? Se così fosse le opere dovrebbero essere universalmente diffuse e note e arricchirebbero l'umanità. Ora moltiplichiamo decine e decine di opere di un singolo filosofo o storico della filosofia per le migliaia di filosofi e storici della filosofia sparsi nel mondo. Per legge queste opere devono costituire una novità (se no si è scopiazzato o si sono scritte sciocchezze senza valore). Ma è mai possibile conoscere le opere notevoli di migliaia di filosofanti? Direi che è impossibile.

    Nelle scienze esatte però le cose vanno meglio o almeno un po' meglio: le nuove teorie sono subito sottoposte a un vaglio e sono accettate o scartate o messe temporaneamente da parte. Credo che ci sia meno rischio di perdersi che nelle materie umanistiche che in tedesco sono chiamate "Geisteswissenschaften" cioè scienze dello spirito quando invece sono piuttosto il regno delle chiacchiere e della soggettività. Per conto mio si potrebbero benissimo chiudere molte facoltà senza nessuna perdita per la collettività, anzi si risparmierebbero non pochi soldi.

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  3. << Direi invece che è il numero, che sono i numeri a giocarci brutti scherzi. >>

    Caro Sergio, sono perfettamente d'accordo con te.
    In quasi tutte le cose il picco dell'utilità non corrisponde al valore più alto, ma ad un valore intermedio; e se volessimo rappresentarlo graficamente non avremmo un linea a salire, ma una curva a campana.

    Oggi invece, complice anche la cultura economica della crescita a tutti costi, ci siamo innamorati dei grandi numeri, e più sono grandi più siamo contenti, o crediamo di esserlo.

    Già duemila anni fa gli antici romani dicevano che "in medio stat virtus", ed avevano colto nel segno; ma purtroppo ce ne siamo dimenticati.

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  4. << Per conto mio si potrebbero benissimo chiudere molte facoltà senza nessuna perdita per la collettività, anzi si risparmierebbero non pochi soldi. >>

    Che lo studio universitario sia in crisi, quanto meno in Italia, mi pare pacifico.
    Forse, effettivamente, ci sono troppi corsi inutili, o forse i professori sono inadeguati, o forse gli studenti non sono abbastanza preparati dalle scuole superiori.
    Resta il fatto che, oggi, intraprendere gli studi universitari risulta spesso una scommessa costosa e perdente.

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    1. Si è puntato fin dal dopoguerra sull'università di massa o aperta praticamente a tutti (Andreotti). L'università è diventata un immenso parcheggio di disoccupati, con studenti non motivati, non preparati, svogliati, che non studiano e interrompono anche gli studi. La situazione è ancora peggiorata con l'assalto alle università di orde di studenti. L'università aveva una volta una funzione di selezione e promozione delle élite, oggi è l'anticamera della disoccupazione cronica, almeno per certi laureati. Una volta una laurea era qualcosa di prestigioso, oggi è il classico pezzo di carta inutile. Eppure tanti ci tengono ancora al pezzo di carta, e i genitori li sostengono pure. Il fatto è che pure la società incoraggia questo andazzo: un titoletto di studio devi averlo, se no non sei nessuno. Ma credo che le cose cambieranno, dovranno cambiare, perché di così tanti laureati davvero non c'è bisogno. Primum vivere, cioè pensare concretamente come ci si potrebbe guadagnare la vita. E poi certi capricci te li potrai sempre togliere, se davvero ti senti portato per certi studi. Ci sono anche le università per la terza età, frequentate da gente davvero interessata che non occupa aule per far casino.

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    2. << Eppure tanti ci tengono ancora al pezzo di carta, e i genitori li sostengono pure >>

      Direi, anzi, che spesso ci tengono più i genitori degli stessi ragazzi.
      Un po' come per il matrimonio classico - magari in chiesa - che è quasi sempre preferito (dai genitori appunto) alla semplice convivenza.
      Certi meccanismi sociali sono duri a morire...

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    3. << Per conto mio si potrebbero benissimo chiudere molte facoltà senza nessuna perdita per la collettività, anzi si risparmierebbero non pochi soldi. >>

      Cio' da' ennesima conferma che la scuola ha l'unica funzione di redistribuire il reddito e tenere occupate le persone in modo che siano relativamente inoffensive.
      Quando si diceva che era un "parcheggio" si era colto nel segno, non occorre oggi sforzarsi di cercare nuove spiegazioni e interpretazioni. E' l'ennesima burocrazia che si autoalimenta, anzi, a pensarci un attimo, la piu' importante delle burocrazie che si autoalimentano. La piu' importante e la radice di tutte le altre.

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  5. Il fatto poi è chi ha comunque passato anni e anni all'università, impegnandosi anche molto, e speso magari anche molti soldi (una volta non tutti potevano studiare per mancanza di mezzi), si aspetta un incarico, un posto all'altezza delle sue aspettative e una remunerazione "adeguata", cioè medio-alta, non certo da quasi fame (in un call center o come tassista, come il figlio ingegnere in quel film di Alberto Sordi tassinaro - quando il figlio gli chiede di cedergli la licenza di tassista Sordi che ha una padella di ghisa in mano sta per dargliela in testa - ma come, dopo tutti i sacrifici per farti studiare e laurearti vuoi fare il tassista?). Il fatto è che persino come ingegnere sta a spasso.
    Il problema di "sistemare" i laureati fornendo loro un posto dignitoso si è posto persino nel diciassettesimo secolo. E persino un papa recente ha parlato di posto di lavoro corrispondente alle looro aspettative. Anche Bergoglio parla di lavoro decente e dignitoso per tutti. Forse ci vuole un cambio di mentalità. Un netturbino ben pagato, come merita il suo ingrato lavoro, può guardare dall'alto in basso un laureato a spasso che non intende abbassarsi a fare il suo mestiere. I lavori veramente utili sono tutti necessari e dignitosi, e quelli più ingrati - ce ne saranno sempre - devono essere meglio retribuiti.
    Ricordiamo il detto: meglio un asino vivo che un dottore morto. Meglio avere un lavoro che non averne affatto.

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  6. << Il problema di "sistemare" i laureati fornendo loro un posto dignitoso si è posto persino nel diciassettesimo secolo. >>

    Davvero ?
    Questa proprio non la immaginavo.
    Mi piacerebbe saperne qualcosa di più.

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    1. La fonte di questa informazione è la mia memoria. Ma è un ricordo molto preciso perché ovviamente la cosa mi colpì: dunque già allora esistevano questi problemi! Come dare un lavoro di un certo prestigio - e il relativo reddito - a una clientela che sarebbe poi stata grata al potere.
      Lessi questa cosa in un articolo del Corriere.
      Trovo comunque interessante l'insistere di Bergoglio sulla necessità di un lavoro per tutti, e di un lavoro "dignitoso". Che significa poi un lavoro davvero utile, non uno dei tanti inutili impieghi che il potere distribuisce per tenere buona la gente (fenomeno diffuso al sud, per es. tutte le guardie forestali che non hanno niente da fare se non ritirare lo stipendio).
      Quello però che Bergoglio non dice è come si possa creare o dare a tutti questo lavoro dignitoso. Molti preferiscono uno stipendio sicuro a un lavoro dignitoso o utile. È noto che sinistra e sindacati ci vorrebbero tutti statali. Ma a un certo punto forse anche gli statali inutili si scoccerebbero del loro parassitismo e sciopererebbero per avere finalmente, oltre allo stipendio, finalmente un lavoro dignitoso o utile per sentirsi qualcuno e non parassiti. Bergoglio darebbe loro ragione, ma di nuovo non saprebbe dire come si crea lavoro utile e dignitoso.

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    2. Grazie Sergio per il chiarimento.
      Nihil sub sole novi.

      Quanto al 'lavoro dignitoso' di Bergoglio sei proprio sicuro che voglia dire socialmente utile ed interessante ?
      Non è stata forse la Chiesa cattolica ad inventare il termine 'sinecura' ?
      E non erano forse i religiosi (non tutti certamente, ma molti) ad essere lavorativamente degli imboscati ?
      Secondo me, il 'dignitoso' del papa si riferiva più al reddito che al lavoro. :-)

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