venerdì 13 novembre 2015

L’interprete

La vittima del (breve) dialogo virtuale di questa settimana è Michael Gazzaniga, professore di psicologia all'Università della California a Santa Barbara e pioniere delle “neuroscienze cognitive”. Con lui parleremo dell’interazione tra mente e cervello, della funzione del c.d. “modulo interprete” e del sempre ingombrante concetto di “libero arbitrio”. Lumen


LUMEN - Secondo il trend oggi dominante nelle neuroscienze, gli esseri umani sarebbero macchine biologiche, soggette alle stesse leggi fisiche che governano il mondo.
GAZZANIGA – Sostanzialmente sì.

LUMEN - Questo approccio determinista ha implicazioni filosofiche e sociali importantissime: i neuro-scienziati ci stanno forse dicendo che il libero arbitrio e la responsabilità personale sono solo illusioni ?
GAZZANIGA - La questione non è così semplice: il cervello è sì una macchina di cui si conosce in buona parte il funzionamento, ma ciò non toglie che la persona sia convinta di essere libera, e soprattutto responsabile delle proprie azioni.

LUMEN – Questa, in effetti, è la nostra percezione.
GAZZANIGA – Siamo così convinti di essere padroni di ogni nostra azione, di poterla decidere e attuare a piacimento - in altre parole di poter contare sul libero arbitrio - che ci sembrerebbe folle solo mettere in dubbio tutto questo. Non ci passerebbe mai per la testa di dubitare del fatto che ci sentiamo degli agenti coscienti, con un senso unitario del sé, che agiscono con un fine personale.

LUMEN – Il buon vecchio “homunculus cartesiano”.
GAZZANIGA - Questa visione, però, attualmente è in crisi.

LUMEN – Lo immaginavo.
GAZZANIGA - Colpa, o merito se preferite, delle continue scoperte delle neuroscienze, grazie alle quali, negli ultimi decenni, abbiamo iniziato a capire come funziona il cervello e di riflesso abbiamo iniziato a diradare le nebbie che avvolgono l'emergere delle facoltà mentali, sulle quali poggia il nostri essere umani.

LUMEN – E le più recenti scoperte cosa ci dicono ?
GAZZANIGA – Ci dicono che il cervello è un insieme di moduli integrati fa loro, che lavorano in automatico e sono spazialmente localizzati, con buona pace delle ipotesi passate per cui le diverse funzioni cerebrali erano distribuite uniformemente in tutto l'organo.

LUMEN - Ma se il cervello è composto da moduli automatici, come emerge la coscienza del sé ?
GAZZANIGA - Tutto merito di quello che io chiamo il “modulo interprete” e che sembra una caratteristica unica della nostra specie.

LUMEN – E come funziona ?
GAZZANIGA - L’unità psicologica interna di cui facciamo esperienza emerge da un sistema specializzato, chiamato per l’appunto “interprete”, che dà spiegazioni a proposito delle nostre percezioni, dei nostri ricordi, delle nostre azioni e delle relazioni tra tutti questi. Ciò porta alla formazione di una narrazione personale, la storia che unisce i diversi aspetti della nostra esperienza cosciente in un insieme integrato.

LUMEN – Una sorta di ordine logico, che sorge dal caos delle percezioni.
GAZZANIGA – Esatto. Questa parte del cervello prende un effetto qualsiasi e crea, in modo rapido e immediato, una causa per spiegarlo. L'interprete, spiega continuamente il mondo usando gli input ricevuti dall'attuale stato cognitivo e gli indizi provenienti dall'ambiente circostante, senza considerare la fonte o la completezza dell'informazione.

LUMEN – Dove si trova, fisicamente, questo modulo ?
GAZZANIGA – Nell’emisfero sinistro.

LUMEN – L’emisfero della razionalità.
GAZZANIGA – Sì, ma fino ad un certo punto. L'interprete è attratto irresistibilmente dai rapporti di causa ed effetto, tanto da trovarli praticamente sempre, e non sa niente di casualità o fortuna.

LUMEN – Quindi può costruirsi anche delle narrazioni errate.
GAZZANIGA – Certamente, ma la sua utilità resta indiscutibile.

LUMEN – Il modulo interprete sarebbe, in sostanza, la sede della coscienza.
GAZZANIGA – Esatto. La coscienza, quindi, deve essere considerata una proprietà emergente. La nostra esperienza cosciente, infatti, si assembla continuamente “al volo”, mentre il cervello, utilizzando i suoi meccanismi, analizza i (mutevoli) segnali che gli pervengono dall’ambiente, e risponde rapidamente.

LUMEN – E qui entra in ballo anche il concetto di responsabilità sociale.
GAZZANIGA – Sì. Questa elaborazione a posteriori delle informazioni in entrata nel nostro cervello, unitamente alla considerazione che stiamo parlando del cervello di animali altamente sociali, quali noi siamo, ci portano ad affermare che la responsabilità è un contratto tra persone, una caratteristica della mente, non una proprietà del cervello.

LUMEN - E mente e cervello non sono la stessa cosa ?
GAZZANIGA – Non lo sono sicuramente. I ben noti esperimenti di Benjamin Libet, per esempio, hanno scoperto che in alcuni casi il cervello fa qualcosa prima che noi ce ne rendiamo conto.

LUMEN - Ma tutto ciò non ci solleva dal libero arbitrio e dalle responsabilità che ne conseguono ?
GAZZANIGA – Direi proprio di no. Altri esperimenti, infatti, hanno mostrato che in ognuno di noi c'è un'area della corteccia deputata all'auto-controllo. Inoltre, nei gruppi umani più diversi il sistema delle punizioni funziona, inibendo comportamenti contro le regole.

LUMEN – Quindi ?
GAZZANIGA – Quindi possiamo e dobbiamo essere considerati responsabili delle nostre azioni.

LUMEN – Grazie professore. Direi che il mio “modulo interprete” è rimasto pienamente soddisfatto.
GAZZANIGA – Mi fa piacere.


23 commenti:

  1. "Quindi possiamo e dobbiamo essere considerati responsabili delle nostre azioni."

    Quindi è giusto sanzionare comportamenti che la società non può accettare pena il suo disgregamento. E le sanzioni saranno proporzionali alla gravità dei comportamenti scorretti o reati. Anche la pena di morte ci può stare. Elementare, Watson. Credo che siamo tutti d'accordo. Senza regole e sanzioni la vita associata sarebbe impossibile. E tuttavia. E tuttavia siamo liberi di fare quello che vogliamo (se non ci sono ostacoli di varia natura ovviamente), ma non siamo liberi di volere ciò che vogliamo. I condizionamenti sono tanti, di tanti non siamo coscienti. Siamo - il concetto può non piacere - delle "macchine biologiche" che funzionano con il pilota automatico con il fine dell'omostasi, cioè dell'equilibrio che garantisce la sopravvivenza. Inevitabilmente la "meravigliosa macchina del corpo umano" (trasmissione televisiva anni Cinquanta) commette degli errori. Di taluni si rende conto e può correggerli per tornare in equilibrio, altri invece sfuggono alla coscienza e possono avere conseguenze funeste. Uno degli errori più frequenti, ma di cui ci rendiamo conto, è il volere conseguire subito un vantaggio derogando alle regole (meglio l'uovo oggi che la gallina domani). Errore perché tale comportamento può avere gravi conseguenze, anche se non sempre immediate. Perciò il detto latino, sempre valido, "respice finem". La gente "pratica" bada al sodo, cioè al vantaggio immediato (per forza, un po' è l'istinto, un po' il brodo di cultura in cui si vive, vedi anche il consiglio paterno ai figli: "fatti furbo").
    Il diritto moderno ha anticipato le scoperte delle neuroscienze introducendo le attenuanti.
    Se uno considera ciò che fa da quando si alza la mattina fino a quando si corica di nuovo constaterà che il suo comportamento è uniforme, tutti i giorni le stesse azioni, la colazione, l'ufficio, il pranzo, il dopopranzo, la televisione con qualche piccola variante insignificante. Macchine biologiche che cercano di restare in equilibrio perché ciò è gratificante (garantisce la sopravvivenza e procura persino piacere - una commedia di Pirandello ha per titolo "Il piacere dell'onestà": male non fare, paura non avere).
    Ho già detto una volta di quel concetto appreso a lezione di filosofia: prima ancora di agire, abbiamo già deciso - ovvero il cervello ha già deciso per noi cosa fare. Il nostro professore di filosofia parla di "Vorentscheidung" (più o meno decisione già presa prima di agire, inconscia). Come è detto nell'intervista: è come se il nostro cervello avesse delle antenne speciali che gli permettono di avvertire i pericoli e i vantaggi).
    Cosa resta allora del libero arbitrio? L'abbiamo già detto e ridetto: ben poca cosa, quasi niente. Ciò non toglie che ci vogliono delle regole per convivere e ovviamente delle punizioni (anche la pena capitale che i buonisti di tutto il mondo vorrebbero abolita - anche la Chiesa che ha sempre giustificato la pena di morte, persino nel Nuovo Catechismo ratzingeriano).
    Ogni gesto, ogni pensiero, ogni azione è una sintesi necessaria. Siamo dunque delle marionette nelle mani del destino? A pensarci bene sì, ma questa idea ci dà fastidio perché cancella la nobiltà dell'essere umano, la libertà. Ma quale nobiltà, quale libertà! Ma non sappiamo cosa ci riserva il domani, il futuro. La nostra libertà consiste nell'incertezza del futuro - ma anche nella possibilità di contribuire alla realizzazione di certe cose che reputiamo desiderabili (ma le reputiamo tali perché siamo in un certo modo in un certo punto della storia umana). Forse il mio è un discorso un po' disincantato e deprimente. Ma nonostante tutto c'è da divertirsi: allegri ragazzi, la vita è bella (talvolta).

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  2. << Ogni gesto, ogni pensiero, ogni azione è una sintesi necessaria.
    Siamo dunque delle marionette nelle mani del destino? >>

    Caro Sergio, ottimo commento.
    Bellissima l'immagine del nostro agire come sintesi necessaria.
    Mi piace.

    Quanto invece al concetto di "destino", direi che bisogna chiarire.
    E' vero, siamo delle marionette, ma il nostro futuro non è già scritto, ma si dipana mano a mano nel tempo, secondo una sorta di dialettica continua tra le pressioni esterne e le risposte interne.

    Dicono infatti alcuni neuroscienziati che il nostro cervello (cioè la sua struttura neurale) è il risultato di 3 diversi elementi: la base genetica, il condizionamento ambientale (soprattutto nei primi anni di vita) ed il puro e semplice caso.
    Quindi invece di usare il concetto di destino (che fa tanto "essere supremo", che tira materialmente i fili), userei quello di caso o sorte.

    Mi viene in mente Jacques Monod, che aveva intitolato il suo famoso libro IL CASO E LA NECESSITA', dove l'ossimoro è solo apparente.

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    1. Sì, destino è una parola grossa. E pensare che un'opera che mi colpì molto e mi condizionò persino per alcun tempo fu "Destino della necessità" di Severino. A volte ci piace persino credere nel destino, come ci fosse qualcuno o una mano che ci guidi. Anche la Divina Provvidenza è una specie di destino. Dicendo destino o credendoci c'illudiamo che esista una verità più grande delle nostre vite e che le determina (e in un certo senso le salva dal nulla).
      Debbo dire però che il libro di Monod mi deluse un po'. Rigorosamente parlando il caso non esiste, non può esistere. Partendo dal bing bang tutto è poi avvenuto e avviene necessariamente in base alle leggi fisiche. Un supercomputer potrebbe prevedere tutti gli eventi che accadranno nei prossimi miliardi di anni, come fa un tizio delle "Cosmicomiche" di Calvino. Questo almeno in teoria. "Solo un dio ci può salvare", disse Heidegger. Solo un Dio potrebbe davvero calcolare o prevedere tutto quello che succederà (in effetti il Dio cristiano è davvero in grado di farlo, non per niente si parla di Divina Provvidenza).
      Ma se uno prova a immaginare un tale Dio gli viene il mal di mare, ovvero la ragione naufraga e non proprio dolcemente.

      "Catarì, Catarì, m'he lassato,
      tutt' 'nzieme st'ammore è fernuto.
      ....
      Ma ce sta nu destino, i' ce crere e ce spere.
      CatarìIì ... nun è overo, tu cuntenta nun zi'.

      Ah, che bel binomio, amore e destino.

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  3. << A volte ci piace persino credere nel destino, come ci fosse qualcuno o una mano che ci guidi. >>

    Proprio così.
    Senza una "mano che ci guidi" siamo soli con le nostre scelte e quindi, orrore, con tutte le nostre responsabilità.
    E ci vuole un coraggio da leone ad accettare come proprie tutte le responsabilità che la vita ci pone.
    Ecco qundi che giunge opportuno il concetto di destino (o di Dio o di Fato) a scaricarci un poco di questo peso.

    Ed il bello è che forse - se il libero arbitrio è poco più di una chimera - alla fine siamo meno responsabili di quello che crediamo.
    Che groviglio !

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    1. Una via d'uscita da questo "cul de sac" è offerta dal pensiero spinoziano, secondo il quale 'sub specie eternitatis' tutto ciò che accade, compresi ovv.te i comportamenti umani, è riconducibile ad un rigoroso determinismo "metafisico" ma (contemporaneamente) 'sub specie societatis' la Società ha il diritto/dovere di difendersi e quindi di punire chi viola le leggi: non a caso accurate ricerche neuroscientifiche hanno confermato la bontà di numerose intuizioni spinoziane (cfr. Damasio & altri)...

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    2. Caro Claudio, conosco molto poco Spinosa, per cui non ho elementi per commentare.
      Però ti posso dire che la parola "metafisica" mi ha sempre fatto venire l'orticaria. :-)

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    3. Se può interessare, da un certo punto di vista anche al sottoscritto la parola/il concetto di 'metafisica' piace molto poco (teniamo presente la lezione del Circolo di Vienna), proprio per questo motivo avevo utilizzato le virgolette...
      Mi sembra opportuno aggiungere che, al di là del probabile e celebre equivoco linguistico relativo alla nascita del termine stesso di M., la prospettiva spinoziana può/deve essere considerata complessivamente immanentistico-naturalistica: non a caso essa fu amata/apprezzata da personaggi del calibro di Einstein e di Russell...

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    4. << al di là del probabile e celebre equivoco linguistico relativo alla nascita del termine stesso di M. >>

      Confesso di non saperne molto sull'argomento.
      Ho dato un'occhiata a wiki, ma non sono sicuro di averlo capito bene.
      Puoi raccontarci qualcosa di più ?

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    5. In sintesi: secondo la versione più nota (sebbene recentemente messa in dubbio), il termine M. originariamente significava solo "dopo i libri di Fisica" nell'ordinamento dei testi aristotelici compiuto 'a posteriori' da Andronico di R. ma con il passare del tempo questa accezione "orizzontale" finì per trasformarsi in "verticale", ovvero per fare riferimento a quella gerarchia dei saperi & degli enti stessi al vertice della quale stava la M. ora assimilata alla/confusa con la Teologia (cristiano-medievale), in cui essa veniva ad occuparsi di tutto ciò che sta "al di là/al di sopra" degli enti fisico-naturali...
      Quindi onde evitare indebite confusioni con la Teologia risulta corretto/opportuno ricondurre la M. alla sua dimensione più propria, ovvero quella di uno dei rami classici della Filosofia...

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    6. Grazie della precisazione.
      In effetti, il cambiamento di singificato è stato davvero notevole.
      Oggi però il termine è diventato abbastanza univoco e si può ben dire che la M. sia la "sorella" laica della Teologia.

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    7. Infatti oggi molti filosofi, ritenendo il termine M. ormai troppo "compromesso" con la dimensione religiosa, preferiscono utilizzare al suo posto il termine 'ontologia', appositamente "ripescato" dal ricco archivio della storia del pensiero e sostanzialmente riferibile anch'esso alla 'scienza dell'essere in quanto essere'...

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  4. Ho citato qui sopra Calvino che ritrovo in questo suggestivo articolo:

    http://www.ilgiornale.it/news/pynchon-delillo-e-altri-relativisti-letteratura-pi-dimension-1194561.html

    Non ho capito tutto o molto ma lo stesso mi sembra interessante. Cosa c'è "aldilà" dell'ultimo confine? Niente, il niente più assoluto che non è nemmeno possibile immaginare o pensare? L'universo si espande nello spazio vuoto o lo spazio si crea con l'espansione della materia? Come si è innescato il big bang? La creazione (cristiana) dal nulla è impensabile e contraddittoria. "E voi materialisti, col vostro chiodo fisso che Dio è morto e l'uomo è solo in questo abisso, la verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali ..." (Guccini).

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  5. Io non ci capisco niente:

    http://www.ilgiornale.it/news/secolo-relativit-cos-einstein-ci-ha-cambiato-1194562.html

    L'articolo si conclude con queste parole:

    " ... l'ultimo regalo di una mente straordinaria cui tanto dobbiamo in termini di conoscenza, dell'Universo e forse anche di noi stessi.*

    Davvero? Ma se il 99% dell'umanità non sa nemmeno cosa sia la teoria della relatività - né la capirebbe nemmeno probabilmente.

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    1. << Ma se il 99% dell'umanità non sa nemmeno cosa sia la teoria della relatività >>

      Questo è verissimo.
      Però la scienza, nel suo complesso, ha ricevuto un grande impulso dalle intuizioni di Einstein, che hanno aperto orizzonti totalmente nuovi alla fisica.
      E da queste sono poi derivate molte delle innovazioni tecnologiche che "deliziano" la nostra attuale civiltà.

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    2. Sì, d'accordo, l'esplosione delle conoscenze e lo sviluppo tecnologico sono innegabili e hanno migliorato la nostra vita, nessuno di noi vorrebbe farne a meno o rimpiange i tempi passati (anche se qualcosa è andato decisamente storto e ci barcameniamo tra una crisi e l'altra). Ma è appunto da chiedersi se tutto ciò ha davvero migliorato anche la conoscenza di noi stessi: siamo più consapevoli, pacifici, soddisfatti, contenti, magari saggi? Ho più di un dubbio. E il fatto che ancora leggiamo e apprendiamo dai classici antichi ci fa capire che così tanti progressi nella conoscenza di noi stessi non ne abbiamo fatti. Anzi, il futuro appare tutt'altro che roseo, in certi momenti persino nero, nerissimo.
      Fra parentesi: sapevi che quando Einstein scoprì la relatività, nemmeno un secolo fa, pensava che la nostra galassia, la Via lattea, costituisse l'intero universo? Sembra incredibile. Oggi il numero stimato di galassie è di circa cento miliardi, pazzesco.
      "Così tra questa immensità s'annega il pensier mio."

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    3. << sapevi che quando Einstein scoprì la relatività, nemmeno un secolo fa, pensava che la nostra galassia, la Via lattea, costituisse l'intero universo? Sembra incredibile >>

      No, non lo sapevo.
      Ed in effetti, sembra davvero incredibile.
      Ma Eistein, che rispetto ad oggi aveva a disposizione una tecnologia decisamente modesta, era proprio un cervellone ed era famoso per i suoi c.d. "esperimenti mentali".

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    4. https://it.wikipedia.org/wiki/Edwin_Hubble

      Cento miliardi non e' poi molto, e' circa il numero di neuroni del nostro cervello. E ogni neurone pare abbia decine di migliaia di sinapsi.

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    5. Da wiki: << Il sistema nervoso centrale ... è costituito da almeno trenta miliardi di neuroni interconnessi tra loro ... L'uomo dispone di 10^14 o 10^15 sinapsi. >>
      Miliardo più, miliardo meno :-)

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    6. In queste cose importa il cosiddetto "ordine di grandezza", l'esponente in base dieci, cioe' il numero di zeri della cifra.

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    7. Per farsi un'idea intuitiva di quelle cifre, basta pensare ad un cubo di un metro di lato: se lo dividiamo in un griglia tridimensionale di 1 millimetro di lato, vuol dire che contiene 1000x1000x1000, cioe' un miliardo di cubetti da 1 mm. Se dividiamo ognuno di quei cubetti a sua volta in una griglia da un decimo di mm, otteniamo che ognuno di quel miliardo di cubetti contiene 10x10x10=1000 parti. Il cubo da un metro originario a quel punto e' scomposto in 1.000 miliardi di parti: e' gia' un ordine di grandezza, cioe' dieci volte maggiore, del numero di galassie dell'universo, o di stelle della nostra galassia.
      Immaginare un metro cubo diviso in cubetti da 1 decimo di millimetro di lato e' semplice, e si vede che quindi non e' un numero cosi' intrattabile come a dirlo o scriverlo con tutti quegli zeri.

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    8. En passant vedo che ormai un normale microprocessore commerciale intel i7 ha 1400 miliardi di transistor...

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    9. No, scusate, 1.4 billions sono 1.4 miliardi...

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    10. Accidenti ! E' persino di più dei lettori di questo blog ( :-) )

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