sabato 22 agosto 2015

A tempo debito – 1

E' molto probabile che la causa principale della grave crisi ecologica e demografica che ci attende sia il successo mondiale dell'economia capitalista, che ha ormai conquistato, con poche e trascurabili eccezioni, tutto il pianeta. Ne consegue che, secondo alcuni, sarebbe necessario un superamento del capitalismo.
Però "economia capitalista" vuol dire anche "economia del debito" e l'invenzione del "debito", nella storia umana, ha dato grandi vantaggi alla nostra civilità, vantaggi ai quali sarebbe difficile rinunciare. Si tratta quindi di un sistema che ha i suoi “pro” ed i suoi “contro” e che non è facile né migliorare, né sostituire.
Ce ne parla l’ambientalista Gail Tverberg in questo lungo post, tratto da Effetto Risorse. 
LUMEN


(prima parte)

<<  Il debito è ciò che tiene insieme la nostra economia in rete. Il debito, e le altre promesse, permettono la divisione del lavoro, perché ognuno può “pagare” gli altri del gruppo per il lavoro con una promessa di qualche genere, piuttosto che con un pagamento immediato in beni. L'esistenza del debito ci permette di avere molte forme di pagamento convenienti, come le banconote, le carte di credito e gli assegni. Indirettamente, le molte forme convenienti di pagamento permettono il commercio ed anche il commercio internazionale.

Ogni debito, e - di fatto - ogni promessa di qualsiasi tipo, comporta due parti. Dal punto di vista di una parte, l'impegno è quello di pagare una certa quantità (o una certa quantità più l'interesse). Dal punto di vista dell'altra parte, si tratta di un guadagno futuro: una quantità disponibile in un conto in banca, o una busta paga o un impegno da parte di un governo a pagare delle indennità di disoccupazione. Le due parti sono in un certo senso legate fra loro da questi impegni in un modo analogo a quello in cui gli atomi sono legati nelle molecole.

Non ci si può sbarazzare del debito senza sbarazzarsi dei benefici che il debito fornisce, il che è un enorme problema.  E' stato scritto molto sulle bolle del debito ed i collassi del passato. La situazione che abbiamo di fronte oggi è diversa. In passato, l'economia mondiale stava crescendo, anche se un'area specifica stava raggiungendo i limiti, come per esempio la troppa popolazione in relazione al terreno agricolo. Anche se un'area locale collassava, il resto del mondo poteva andare avanti senza di loro.

Ora, l'economia mondiale è molto più collegata, quindi un collasso in un'area condiziona anche altre aree. C'è molto più pericolo di un collasso diffuso. La nostra economia è costruita sulla crescita economica. Se la quantità di beni e servizi prodotti ogni anno comincia a scendere abbiamo un enorme problema. Ripagare i prestiti diventa molto più difficile (…) [ed anche] le “promesse” che non sono debito - come le promesse di pagare le pensioni e le spese mediche per gli anziani, come parte delle tasse - diventano a loro volta più difficili da pagare.

La quantità che ci resta di spese voluttuarie diventa molto inferiore. Queste pressioni tendono a spingere un'economia ulteriormente verso la contrazione e rende le nuove promesse ancora più difficili da ripagare.

La natura del debito
In senso allargato, il debito è una promessa di “qualcosa di valore” in futuro. Con questa definizione allargata, è chiaro che una banconota da 10 dollari è una forma di debito, perché è una promessa che ad un certo punto in futuro voi o, la persona a cui passate la banconota da 10 dollari, sarete capaci di scambiare la banconota da 10 dollari con qualcosa di valore. In un certo senso, anche le monete d'oro sono una promessa di valore per il futuro. Questa però non è necessariamente una promessa sulla quale possiamo contare. A volte in passato le monete d'oro sono state confiscate. (…)

Per capire quanto sia importante il debito, dobbiamo pensare ad un'economia senza debito. Un'economia del genere potrebbe avere un mercato centrale dove ognuno porta beni da scambiare. Ma anche in un'economia del genere, ci sarebbe un problema se non c'è una corrispondenza precisa delle necessità. Se porto mele e voi portate patate, possiamo scambiarcele a vicenda (“barattare”). Ma se voi non avete bisogno di patate? Potremmo avere la necessità di portare un terza persone nel cerchio, così ognuno di noi può ricevere ciò che vuole. Visto che il baratto è così complicato, non è mai stato usato per le transazioni quotidiane all'interno delle comunità.

Un approccio che sembrava funzionare meglio è menzionato da David Graeber (…). Con questo sistema, tutto si gestiva con un mercato. L'operatore del mercato forniva un “prezzo” per ogni oggetto, in termini di un'unità comune, come “stai di grano”. Ogni persona poteva portare beni al mercato (e forse anche servizi – lavorerò per un giorno in una vigna) e scambiarli con altri in base al valore. Non servivano in realtà “soldi” perché l'operatore prendeva una tavoletta d'argilla e su quella faceva il calcolo del valore in “stai di grano” che la stessa persona riceveva in cambio e si assicurava che le due cose combaciassero.

Naturalmente, appena permettiamo che “un giorno di lavoro” sia scambiato in questo modo, torniamo al problema delle promesse future e di assicurare che si verifichino realmente. Inoltre, se permettiamo ad una persona di riportare un bilancio da un giorno all'altro – per esempio portando una grande quantità di beni che non possono essere venduti in un giorno – entriamo nell'area delle promesse future. O se permettiamo ad un contadino di comprare semi a credito, con una promessa di ripagarli quando arriva il raccolto entro pochi mesi, ancora una volta entriamo nell'area della promesse future.
Quindi anche in questa situazione semplice, dobbiamo essere capaci di gestire il problema delle promesse future.

Promesse future anche prima del debito
Ogni qualvolta ci sia una divisione del lavoro, ci deve essere un accordo su come avrà luogo quella divisione, quali sono le responsabilità di ogni partecipante.

Nel caso più semplice, ci sono i cacciatori-raccoglitori. Se c'è la decisione per cui gli uomini si occuperanno della caccia e le donne si occuperanno della raccolta e dei bambini, allora deve esserci un accordo su come funzionerà la disposizione. L'approccio usuale sembra sia stato una specie di “economia del dono”. In un'economia del genere, tutti condividevano qualsiasi cosa fossero in grado di ottenere con gli altri e guadagnavano lo status a seconda della quantità che potevano mettere in condivisione.

Al posto del coinvolgimento di un debito formale, c'era un accordo tacito secondo cui se le persone volevano partecipare al gruppo dovevano seguire le regole dettate quella particolare cultura dettava, compreso, molto spesso, condividere tutto. Le persone che non seguivano le regole venivano escluse. A causa della difficoltà di vivere da soli in un ambiente del genere, chi lo era probabilmente moriva. Così, i partecipanti erano in un certo senso legati insieme dai costumi che sottostavano alle economie del dono.

Ad un certo punto, man mano che si è costruita più di un'economia, c'è stata la necessità di uno o più capi, così come un qualche modo di sostenerli finanziariamente. Così, si è presentato anche il bisogno di una specie di tassazione. Mentre la tassazione per sostenere il capo non veniva considerata debito, questa ha molte delle caratteristiche del debito. Si tratta di un obbligo di pagamento continuo. Il capo e gli altri membri del gruppo pianificano le loro vite come se questa situazione dovesse continuare. In un certo senso, i servizi di governo e la tassazione risultante aiutano a legare insieme l'economia. 

Benefici del debito
I benefici del debito sono davvero grandi (…):

1 - Il debito permette che si facciano transazioni che non avvengono esattamente nello stesso momento e luogo. Posso ordinare beni e farmeli consegnare a casa. Un datore di lavoro può pagarmi per un mese di lavoro con un assegno anziché dovermi dare cibo o altri articoli di baratto che corrispondono ad ogni ora che lavoro. Non c'è bisogno di avere miliardi di monete d'oro (o altre valute di metallo prestabilite) per facilitare qualsiasi transazione e di portarsele in giro. Ognuno di noi può avere un conto in banca. Dal punto di vista della banca, la quantità contenuta in un conto bancario è un obbligo (debito) dovuto al depositante.

2 - Il debito addizionale dà potere d'acquisto addizionale ai singoli individui, ai governi o alle imprese. I fondi addizionali disponibili possono essere spesi immediatamente. Molto spesso, il rimborso (con gli interessi) viene spalmato su diversi anni, rendendo accessibili i beni che non lo sarebbero. Così il debito aumenta la “domanda” di beni ed anche di commodity usate per creare quei beni.

3 - Siccome il debito rende i beni più accessibili, il debito addizionale tende a “pompare” il prezzo dei beni. Questi prezzi più alti fanno sì che per le imprese valga la pena di piantare più acri di cibo. Il debito, in particolare il debito a basso costo, rende accessibile alle imprese la costruzione di nuove fabbriche e l'apertura di nuove miniere.

4 - Il debito permette un forte incremento dello standard di vita, come quello ottenuto aggiungendo carbone o petrolio ad un'economia. Il debito permette l'acquisto di beni che cambieranno sostanzialmente il futuro di una persona, come il passaggio in un nuovo paese, o l'acquisto di un'educazione universitaria, o l'acquisto di un veicolo per le consegne per far partire un'attività.

Senza debito, è improbabile che sarebbe mai stato possibile estrarre i combustibili fossili; i consumatori non sarebbero mai stati in grado di permettersi i beni forniti dai combustibili fossili e le imprese avrebbero avuto difficoltà a finanziare le molte nuove fabbriche necessarie per produrre i beni usando questi combustibili. (…)

5 - Aggiungere debito è auto-rinforzante. Supponete che una quantità considerevole di debito venga aggiunta per (…) estrarre petrolio in Nord Dakota. Le società petrolifere useranno il debito che ricevono per molti scopi diversi, compreso pagare i dipendenti, le royalty ai proprietari terrieri e le tasse allo stato. I dipendenti compreranno nuove case ed automobili, stipulando prestiti. I residenti del Nord Dakota, che ricevono le royalty, potrebbero decidere di stipulare dei prestiti per ristrutturare le proprie case, aspettandosi che le royalty continueranno ad arrivare.

Lo stato potrebbe sistemare le proprie strade con i propri proventi, dando ulteriore reddito (…) ai lavoratori stradali. Una catena di negozi potrebbe decidere di costruire un nuovo punto vendita (prendendo in prestito soldi per farlo), alimentando ulteriormente la catena. Ciò che accade è che, indirettamente, il debito delle nuove società petrolifere rende molte persone più ricche, almeno temporaneamente. Questi individui temporaneamente più ricchi possono “avere diritto” a prestiti più consistenti di quanto non sarebbe possibile diversamente, dando loro di più da spendere e permettendo ad altri ancora di avere diritto ai prestiti. 

6 - Accordi che non sono debito, ma “debito subordinato”, fanno sentire le persone più sicure nel sistema attuale. Ci sono programmi assicurativi, piani pensionistici e coperture per i conti bancari (…). Questi programmi assicurativi generalmente non contengono molti soldi, in confronto a ciò che assicurano. Ma fanno sentire bene le persone, specialmente se c'è un governo che potrebbe subentrare e prenderle in consegna, al di là del reale finanziamento del programma assicurativo. >>

GAIL TVERBERG

(continua)

19 commenti:

  1. Mentirei se dicessi di aver capito tutto quello che ho letto (un po' di malavoglia proprio perché in parte non capivo in parte non condividevo).

    Sappiamo e accettiamo che un imprenditore per lanciarsi in una sua impresa abbia bisogno di credito (per acquistare materiali, pagari i lavoratori ecc.). Forse praticamente tutti gli imprenditori non possono rinunciare al credito e quind a indebitarsi (a un certo punto però potrebbero investire i propri risparmi senza ricorrere al credito). Chi chiede un credito s'indebita. È tenuto a rimborsare il credito e a pagare interessi. La cosa funziona benissimo fino all'inevitabile crisi, per es. da sovrapproduzione e invendibilità dei prodotti. A questo punto il debitore non può pagare interessi e ovviamente nemmeno restituire il debito e fallisce. Il creditore a questo punto è fregato (come merita, aggiungerei io).
    Sembra, anche a quanto descritto qui sopra, che il debito sia fondamentale per aprire, far funzionare le imprese e creare ricchezza. Tuttavia capita, e sempre più spesso mi sembra, che le cose non vadano sempre così lisce e arrivano puntualmente le crisi, più o meno gravi, talvolta mortali (1929, 2007). Le piccole crisi (fallimenti di privati) possono essere riassorbite perché il sistema regge, è in grado di far fronte a piccoli dissesti. Ma se il dissesto è gigantesco non se ne esce: è crisi generalizzata e profonda con distruzione dei risparmi e persino disperazione (con veri e propri suicidi).

    (continua)

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  2. (continuazione)

    È chiaro che ci sono imprese di grande portata che vanno fatte. Alfred Escher, il fondatore del Politecnico di Zurigo e ideatore della Galleria del Gottardo, guardava lontano. Inimmaginabile una Svizzera senza il Gottardo (e nemmeno l'Europa). Per quel traforo ci volevano soldi che si trovarono (ma non gratuiti ovviamente). Dunque il debito in alcune circostanze e per grandi progetti sembra assolutamente necessario. Ma ormai viviamo in società che senza debiti non possono più funzionare. Ma prima o poi arriva il crac come in Grecia. Per evitare un eccessivo indebitamento l'UE aveva imposto un debito del 3% del BIP, anche per disciplinare economie poco serie come quella italiana (che ha un debito inimmaginabile, assieme a Belgio e Giappone). I paesi s'indebitano però non solo per gettare le basi per l'economia del domani, ma anche per distribuire sinecure ai propri beniamini (si pensi alla Grecia dove sembra che il 50% circa dei dipendenti sono statali, cioè più o meno parassiti improduttivi). Ma arrivati al dunque, cioè alla crisi vera e propria, è inevitabile ricorrere alla scure e operare tagli. Ma i beniamini non ci stanno e scendono in piazza. I tagli (alla sanità, all'istruzione ecc.) sono molto malvisti, comprensibili. Ma prima o poi bisogna farli se no si arriva all'insolvenza, al fallimento, col che addio posti e privilegi.

    Sembra comunque certo che lo Stato non può ragionare come i privati, deve cioè per forza indebitarsi (ma non oltre il 3% , era stabilito nei sacri patti - ma poi nessuno ci si è attenuto, nemmeno la disciplinata Germania).
    A pensarci bene lo Stato è il più grande datore di lavoro (amministrazione, sanità, difesa, istruzione, giustizia ecc.) e deve essere lungimirante, non può accontentarsi del piccolo cabotaggio, deve guardare lontano. Dunque non può non indebitarsi. Ma è proprio così? Intanto solo per pagare gli interessi su debito lo Stato italiano, per esempio, si dissangua. Sono poi soldi che mancano altrove. Che fare allora? "Finché la barca va, lasciala andare", non ci sembra essere altro rimedio. Dopo il crac si ricomincerà in qualche modo.
    Ma adesso c'è un altro immenso problema di cui nessuno parla, osa parlare: siamo oltre sette miliardi, quattro miliardi in più di 45 anni fa.
    Far quadrare i conti è sempre più difficile, prestare sperando in un ritorno con interessi diventa sempre più difficile. Non è un caso che le banche non versino più interessi ai privati viste le montagne di valuta fasulla stampata dalle banchi centrali allo scopo di far ripartire l'economaia (negli USA, nell'UE). Che non riparte, perché la crescita, la tanto invocata crescita, necessità di gente che vuole fare impresa.

    Ognuno di noi nel suo piccolo sa far quadrare i bilanci: tanto guadagno e tanto spendo, se no m'indebito e poi sono rogne. Forse anche i grandi (imprenditori) e gli Stati dovrebbero essere più oculati nell'investire e nell'indebitarsi.
    Ma alla fine della fiera si tratta prima di nutrirsi e di assicurarsi gli altri beni assolutamente indispensabili (alloggio, cure mediche e poco altro).
    Sapranno i nostri eroi assicurare a dieci miliardi di essere umani non già voli sulla Luna e Marte e ritorno, ma il puro indispensabile (alimenti, acqua, magari anche un po' di cultura, i circenses)?

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    1. "si pensi alla Grecia dove sembra che il 50% circa dei dipendenti sono statali, cioè più o meno parassiti improduttivi"

      Anche da noi gli statali sono circa il 50%, se si considerano gli "esterni" formalmente privati ma che lavorano solo per lo stato, e penso che sia piu' o meno cosi' per tutti i paesi europei, nei quali infatti il pil pubblico piu' o meno e' la meta' del pil totale, come pure e' circa la meta' del pil la tassazione.

      Pero' non si puo' dire che siano tutti parassiti, in fin dei conti scuola, sicurezza, giustizia e sanita' non e' che non servono a nulla, non piu' delle aziende private che spesso producono solo fuffa. Semmai, secondo me, la differenza e' che mentre il privato se sbaglia fallisce, il pubblico se sbaglia fa fallire il privato, aumentandogli le tasse.
      Se sbaglia troppo, uccide la gallina dalle uova d'oro e fallisce pure lui. :)

      Ma alla fine la maggior parte della vita della maggior parte delle persone, che lavorino nel pubblico o nel privato, consiste nell'obbedire a ordini e nell'essere degli ingranaggi vincolati ad un meccanismo: essere o non essere parassiti improduttivi e' del tutto al di fuori della loro volonta' e del loro controllo, per cui e' assurdo fargliene una colpa.

      Se poi pensiamo che il libero arbitrio non esiste, la cosa vale ancora di piu' e per tutti. Senza liberta' non esiste responsabilita', come sa qualsiasi soldato di qualsiasi esercito :)

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    2. *Pero' non si puo' dire che siano tutti parassiti, in fin dei conti scuola, sicurezza, giustizia e sanita' non e' che non servono a nulla,"

      Hai naturalmente ragione, la mia è stata un'osservazione avventata, ingiusta. Molti statali oltre ad essere indispensabili sono persone rispettabilissime che svolgono le proprie funzioni con serietà, impegno, dedizione. È però quasi certo che non pochi di loro sono perfettamente inutili, messi lì per raccomandazioni o per assicurare loro uno stipendio. Gli statali sono quasi ovunque in eccesso, anche in Svizzera (tutto il mondo è paese).

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    3. Caro Sergio, mio padre, che ha lavorato nelle Ferrovie italiane per tutta la vita, mi diceva che il vero problema delle organizzazioni statali non è tanto la voglia di lavorare degli impiegati, ma la sostanziale impossibilità, per chi ricopre posizioni di comando, di far eseguire gli ordini o di far rispettare le regole.
      In tal modo, mi diceva, chi vuole lavorare, lavora, chi non vuole lavorare, non lo fa, e nessuno può metterci il becco.
      Ed io sono d'accordo con lui.

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  3. Caro Sergio, in questa prima parte Tverberg ha parlato delle caratteritiche e dei pregi del debito, mentre nella seconda parte (prossimo post) parlerà dei difetti e dovrebbe essere molto più semplice e chiaro.

    Credo che la conclusione, piuttosto amara, stia nel famoso verso latino: NEC TECUM, NEC SINE TE VIVERE POSSUM.
    Solo che non si riferisce ad una bella donna, ma a questo perverso meccanismo economico che tutto coinvolge e tutto collega.

    Prima o poi - com'è inevitabile - i crediti diventeranno inesigibili ed allora salterà per aria tutta la baracca, con una dose di violenza sociale - aggravata dall'ormai altissima densità di popolazione - che non sarà per nulla piacevole.

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    1. "--- a questo perverso meccanismo economico che tutto coinvolge e tutto collega."

      Ma l'economia - la produzione, lo scambio - non deve essere necessariamente perversa. L'homo oltre ad essere sapiens (aha aha aha) è anche oeconomicus. Direi che è un bene, forse persino una necessità. Ma ovviamente est modus in rebus. Più che lo spirito di concorrenza ci vorrà in futuro maggiore cooperazione (ma senza fare i furbi, eh!). Quello spirito di cooperazione che regna all'interno di una famiglia o di un gruppo e in casi ideali anche in uno stato (oggi patria è concetto - dicono - di destra e fascista, ma l'amor patrio era una volta un fattore di coesione, si cantava persino fratelli d'Italia). Certo uno spirito di cooperazione a livello mondiale, che abbracci tutta la terra, è oggi come oggi un sogno, irrealizzabile (ma forse nemmeno auspicabile). Non vogliamo essere tutti uguali, dieci miliardi di replicanti o cloni con gli stessi bisogni, gli stessi desideri, gli stessi pensieri ecc. Purtroppo la diversità crea anche contrasti e conflitti.

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  4. << Più che lo spirito di concorrenza ci vorrà in futuro maggiore cooperazione (...). Quello spirito di cooperazione che regna all'interno di una famiglia o di un gruppo e in casi ideali anche in uno stato >>

    Caro Sergio, è ovvio che lo spirito di cooperazione funziona meglio di quello di concorrenza o di competizione, ma - come dico sempre io - il nostro piccolo gene egoista non ci consente di essere davvero cooperativi se non entro una piccola soglia di gruppo.

    La famiglia è la dimensione ottimale, poi c'è il gruppo sociale (che per gli esperti non può superare le 80-100 persone) nel quale la cooperazione funziona ancora bene, poi... hic sunt leones.

    Sopra questo livello, infatti, dalla città alla regione, allo stato, la competizione prende il sopravvento ed i furbi e gli opportunisti prosperano.
    Figuriamoci come può mai funzionare un mondo globalizzato...

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    1. "Figuriamoci come può mai funzionare un mondo globalizzato..."

      Può invece funzionare. Ma con la violenza, compresa quella sottile violenza che è l'educazione, anche la più blanda e benevola. Per fare funzionare la società ci sono le leggi e ... la religione. La legge non si discute, non si può discutere (Socrate accetta persino una condanna a morte ingiusta perché violare la legge significherebbe il caos). La religione invece s'insinua(va) surrettizziamente nei cuori condizionando anche i pensieri. L'esito è sempre quello (delle leggi e della religione): creare cittadini modello o che accettano lo statu quo. La religione ufficiale dell'Europa è (o meglio era perché nessuno ha più paura dell'inferno, a parte Rosy Bindi) il cristianesimo che è ormai un ferrovecchio inservibile per il potere, per cui ben vengano potenti iniezioni d'islamismo che farà tremare anche gli atei (quel babbeo di Orlando si dice commosso della spiritualità islamica, ormai anche gli ex comunist sono pappa e ciccia con la nuova religione - che è sempre in funzione del potere o ne è l'altra faccia).
      Visti i numeri della popolazione ci vogliono per forza nuovi e potenti condizionamenti per masse sempre più vaste. E non è affatto impossibile. Miliardi di fessi sono Facebook: pensa come sarà facile (dis)informarli e plagiarli.
      Della "congiura mondialista" io non so nulla. Ma non la ritengo una pura fandonia, qualcosa di vero ci deve pur essere. Insomma un mondo dominato da un paese (gli USA) o dalle elite. E se le armi, la legge e la religione non bastassero più s'interverrà sul patrimonio genetico per eliminare o ridurre l'aggressività (innata). La completa eliminazione dell'aggressività potrebbe essere controproducente, perché un popolo o una massa di pecore si farà pure tosare ma probabilmente produrrà poco, brucherà soltanto. Riusciranno i nostri eroi (le elite) a trovare la misura giusta - la giusta dose di aggressività - perché il popolo rincoglionito lavori abbastanza per le elite o il paese dominante?
      Come vedi riusciremo a intrappolare anche il gene egoista, lo ridurremo a più miti consigli: anche lui di deve mettere in testa che è ormai al servizio delle elite. L'avremo fregato. E vissero tutti felici e contenti come tanti babbei.

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    2. << riusciremo a intrappolare anche il gene egoista >>

      Ne sarei davvero lieto. In fondo quale miglior successo di questo, per un povero "fenotipo consapevole" ?

      A parte gli scherzi, trovo un po' inquietante il tuo riferimento ad una eventuale liason tra le elites europee e l'islam in funzione di un più efficace controllo delle percorelle.
      Inquietante, ma forse sensata: se il cristianesimo non funziona più bene, si deve cercare qualcosa di meglio.
      D'altra parte - e lo dico da ateo - la legge da sola non basta: ci vuole la religione per avere un collante davvero efficace per la società (cuius regio, eius religio).

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    3. "D'altra parte - e lo dico da ateo - la legge da sola non basta."

      Ben detto. Ci vuole il consenso che lo Stato o il potere - con uno sforzo spropositato, leggi istruzione obbligatoria - cerca di conseguire appoggiandosi anche sul potere religioso. Quest'ultimo sa (sapeva) usare benissimo il bastone (inferno, roghi) e la carota (Dio ti ama, ti aspetta il paradiso - se fai il bravo).
      La società non potrebbe sussistere un solo momento se non avessimo tutti introiettato alcuni principi basilari (i tre comandamenti: non ammazzare, non dire il falso, non rubare).
      Tutti gli altri sette comandamenti te li regalo, non servono.
      Io penso che ci sia in noi una certa inclinazione a essere sinceri, a non approfittare degli altri, a non rubare e uccidere - abbiamo, credo con Lorenz, dei freni inibitori naturali - ma purtroppo solo in condizioni normali). Ma siccome le condizioni "normali" sono rare ecco che ci trasformiamo in ladri e assassini. Per cui il Padre Eterno è dovuto intervenire di persona dettando i comandamenti (un'ebrea mi dice che la parola corrispondente ebraica significa non comandamenti ma "diciture" - ma non credo che cambi molto).
      Se il 90% e oltre non considerasse "spontaneamente" il furto o l'assassinio riprovevoli, da reprimere, se necessario con la pena di morte, la vita sarebbe impossibile. Ciò significa che siamo tutti ben condizionati, in parte dalla natura e in parte dall'educazione impartita dallo Stato col soccorso delle religione.

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    4. << Ma siccome le condizioni "normali" sono rare ecco che ci trasformiamo in ladri e assassini. >>

      Sono d'accordo. E questo è un motivo in più per rendersi conto dell'enorme importanza che riveste una società "normale", in cui regna una tranquilla pace sociale.

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  5. http://www.ted.com/talks/dan_dennett_on_dangerous_memes?language=it

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    1. Grazie per la dritta, Diaz; cercherò di guardarmi il filmato appena possibile.
      Spero solo che Dennett parlli meglio di come scrive. Di lui ho letto soltanto un libro, ma mi è bastato.

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    2. E' in tema.

      Condivido l'opinione, ma e' un filosofo, non un giornalista-divulgatore, e questo suo racconto e' bello oltre che filosoficamente intrigante:
      https://neuroneproteso.wordpress.com/2006/11/04/dove-sono-prima-parte-%E2%80%93-daniel-dennett/

      Trovo interessante anche questo, che potrebbe aiutarci a inserire nel giusto contesto la ventata di neomillenarismo new age che ci avvolge:
      http://pardonuovo.myblog.it/2015/08/21/bergoglio-il-cattolico-protestante/

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  6. Cito dal pezzo di Gianni Pardo: << In Palestina ci fu un profeta apocalittico, Gesù, la cui predicazione fece tanta impressione sui contemporanei che quell’uomo fu divinizzato e ne nacque una religione >>.

    Caro Diaz, questo è tutto d dimostrare, perchè cercare di ricostruire il Gesù storico basandosi solo sui vangeli canonici mi pare abbastanza risibile.
    La mia opinione, mutuata da Luigi Cascioli, è che si sia trattato di un semplice leader politico-militare della rivolta anti-romana (poi crocifisso proprio per questo); e che sia stato idealizzato e trasformato in un mite profeta solo ex post.
    Se ti interessa ho scritto qualche post sull'argomento.

    Quanto al parallelismo tra l'attuale allarme ecologico-demografico (che condivido) ed ill millenarismo religioso dei secoli passati, mi sembra proprio che non regga, perchè ci troviamo su due piani assolutamente diversi.

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    1. 1- Credo che il nucleo del ragionamento di Pardo stia nel fatto che secondo lui il cristianesimo e' una religione con attitudine apocalittica, il che secondo me e' corretto visto il suo tendere (istituzionale, direi) all'ultra-terreno con giudizio universale e tutto, e lo e' ancora di piu' se si considerano i vangeli non canonici. La figura storica di Cristo e' irrilevante in questo contesto, cio' che conta e' la sua idealizzazione.

      2- ci sono due tipi di scienze sperimentali, quelle "dure", che si occupano di fenomeni ripetibili a volonta' in laboratorio e sempre uguali, e quelle storiche, che si occupano di fenomeni non ripetibili, sempre diversi nel loro divenire, come ad esempio la teoria dell'evoluzione. Le prime danno come risultati delle teorie che, nel loro ambito, permettono di prevedere esattamente il futuro, le seconde assolutamente no, e millantarle per tali e' quanto di piu' antiscientifico.

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    2. In altre parole, se non ci piace un mondo ancora piu' popoloso di questo, basta dire che non ci piace, non occorre dimostrarlo, soprattutto perche' non si puo'.
      Non si puo' perche' gli stessi argomenti che usiamo oggi si potevano usare in qualsiasi altro periodo dell'olocene, eppure siamo ancora qua.
      Litigare su alternative non dimostrabili e' tipico delle religioni, non delle scienza.

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    3. << In altre parole, se non ci piace un mondo ancora piu' popoloso di questo, basta dire che non ci piace, non occorre dimostrarlo, soprattutto perche' non si puo'. >>

      Non sono d'accordo.
      Se una cosa non mi piace non è per capriccio, ma è perchè ritengo che abbia delle controindicazioni.
      E questo, se sono abbastanza competente, posso anche provare a spiegarlo e a dimostrarlo.

      I denatalisti proprio questo fanno: cercano di dimostrare (ovviamente con maggiore o minore efficacia) che un mondo iper-popolato sarebbe incompatibile con la conservazione delle risorse terrestri.

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