sabato 27 giugno 2015

K.I.S.S. (Elogio della semplicità)

Tra le vittime delle mie interviste virtuali non poteva mancare l’ambientalista Luca Pardi, attuale presidente di ASPO Italia, che è stato uno dei padri spirituali del mio blog ed è tuttora un “amico di web”. 
Con lui parleremo – com’è inevitabile - della crisi ecologica ed energetica che ci sta complicando la vita e del potere taumaturgico della “semplicità”. LUMEN


LUMEN – Allora dottor Pardi, a che punto è la notte ?
PARDI - Con la fine della prima metà dell’era del petrolio, e il raggiungimento di ogni limite biofisico del pianeta, siamo giunti all’ultima tappa del processo. Il mondo è pieno e c’è un solo modo di evitare una catastrofe, rallentare e riorganizzare le nostre società in modo diverso.
 
LUMEN – E in Italia, come siamo messi ?
PARDI – Non bene. Recentemente sono stato a Ravenna, per parlare di petrolio e delle nuove spinte alle trivellazioni in Adriatico.
 
LUMEN – Mi pare che, in quella occasione, abbiate fatto un parallelo con la caduta dell’Impero Romano.
PARDI – Esatto. L’Impero Romano d’Occidente è uno dei tanti esperimenti di civilizzazione (e globalizzazione) che hanno trovato un limite invalicabile nella limitatezza delle risorse su cui si erano sviluppati. Quello che non fu fatto, ed era impossibile fare nel V secolo (e forse, a quanto pare, anche oggi) è semplificare.
 
LUMEN - Cioè il contrario di quello che si fa.
PARDI – Appunto. La nascita e lo sviluppo delle civiltà possono essere viste come un progressivo processo di aumento della complessità dei sistemi socio-economici che le costituiscono. La complessificazione è un processo di aumento delle infrastrutture, delle figure professionali, delle istituzioni, delle tecnologie, e delle interazioni e retroazioni fra individui, fra gruppi di individui e fra istituzioni. La complessificazione è il modo specifico con cui le civiltà risolvono i problemi.
 
LUMEN – Cosa che, all’inizio, funziona benissimo.
PARDI - Ogni civilizzazione basa questo processo su un suo specifico flusso di energia e materia dalla natura. Fino a tempi relativamente recenti questo flusso poteva essere assicurato solo su una base energetica limitata: quella dell’energia solare che è abbondante, ma poco densa territorialmente e intermittente. I muscoli animali e umani, energizzati dal cibo interamente proveniente dalla fotosintesi e dunque dall’energia solare, facevano il lavoro aiutati dalle tecnologie del tempo che altro non sono che sistemi di concentrazione dell’energia muscolare.
 
LUMEN – Quindi con dei limiti notevoli ed oggettivi.
PARDI - La civiltà industriale globale nella quale viviamo, che si è sviluppata a partire dal debutto della modernità nel XV secolo ha trovato una straordinaria accelerazione dal momento in cui a partire dalla metà del XVIII secolo l’invenzione “prometeica” della macchina a vapore ha messo a disposizione dell’uomo i combustibili fossili: carbone, petrolio e gas. L’accelerazione è aumentata con l’ingresso del motore a scoppio e del petrolio.
 
LUMEN – La possiamo chiamare l’età del petrolio.
PARDI - In effetti, la base energetica del globalismo economico contemporaneo sono proprio gli idrocarburi. Oggi siamo prossimi alla fine della prima metà dell’età del petrolio. La metà della quantità di gas e petrolio di cui il pianeta era inizialmente dotato è stata approssimativamente consumata. Siamo quindi prossimi all’inizio del declino della risorsa base di questa civilizzazione.
 
LUMEN – Il famoso “picco”.
PARDI - Nel 2005 abbiamo superato il picco del petrolio convenzionale, il petrolio che viene dal lascito storico dell’industria petrolifera, il petrolio facile. Quello che viene dai grandi giacimenti (perché come in una battaglia navale i giacimenti più grandi tendono ad essere scoperti e sfruttati per primi), quello con un ritorno energetico sull’energia investita maggiore. Il petrolio a buon mercato, quello con il costo di estrazione minore.
 
LUMEN – E l’altro ?
PARDI - Quello che viene ancora scoperto e presentato come un nuovo “eldorado” è in realtà un petrolio più costoso da estrarre. Il sistema comincia a sentire il depauperamento della sua risorsa base. Per questo nasce una disposizione politica che appare maniacale, dettata dalla disperazione. Cercano di estrarre idrocarburi dovunque sia possibile e produrre combustibili liquidi in qualsiasi modo, anche quando non conviene. La mania trivellatrice e i toni ultimativi e minacciosi nei confronti di chi si oppone, sono un sintomo di disperazione.
 
LUMEN – Un sintomo però, che ben pochi sembrano prendere sul serio.
PARDI - Oggi potremmo permetterci di fare – grazie alle conoscenze storiche, antropologiche, sociali e scientifiche acquisite proprio nei secoli della rivoluzione industriale - quello che gli uomini del V secolo non potevano fare. Ovvero, decidere di agire in senso opposto a quello percorso. Sappiamo che non è possibile protrarre la complessificazione indefinitamente, come non è possibile una crescita materiale infinita. Non è possibile e non è neppure saggio.
 
LUMEN – Ma, per il momento, non lo facciamo.
PARDI - La complessificazione va, come la tecnologia, incontro ad un fenomeno noto come effetto dei rendimenti decrescenti. Ciò significa che oltre un certo limite una ulteriore dose di complessità non rende più benefici come faceva prima. Ve ne siete accorti? Molte delle soluzioni tecnologiche, istituzionali, politiche o economiche tendono a renderci la vita sempre più impossibile e finiamo, in maggioranza, per rimpiangere non l’età della pietra, ma tempi recenti, che erano però più semplici.
 
LUMEN – Com’è vero.
PARDI – Per cui rimpiangiamo magari il vecchio cellulare anni ’90, che funzionava perfettamente anche se non ti faceva perdere ore a guardare dove sono in vacanza amici e conoscenti; o la vecchia macchina che si faceva ripartire usando mezzi di fortuna, mentre ora ci vuole il soccorso stradale; o il computer da connettere alla centralina, ecc. ecc. Benefici o rendimenti decrescenti.
 
LUMEN – E questo oggi lo possiamo capire.
PARDI - Ma sembra che non lo capiscano le classi dirigenti, politiche, accademiche, imprenditoriali, sindacali e religiose. Come invasati, impugnando la retorica dell’ottimismo tecno-scientifico, cercano di convincerci del contrario lanciandosi nell’unica cosa che sanno fare, costruire un futuro fatto di maggiore complessità, numeri più alti, crescita, consumo, produttività, efficienza, infrastrutture, competitività. Non sono cattivi, o comunque non tutti lo sono: come Jessica Rabbit, sono stati disegnati così.
 
LUMEN – Buona, questa.
PARDI - Il modo di risolvere problemi è stato fino ad oggi, da tempo immemorabile, aumentare la complessità. Con la fine della prima metà dell’era del petrolio, e il raggiungimento di ogni limite biofisico del pianeta siamo giunti all’ultima tappa del processo. Il mondo è pieno e c’è un solo modo di evitare una catastrofe, rallentare e riorganizzare le nostre società in modo diverso.
 
LUMEN - Altrimenti ci penseranno le leggi naturali.
PARDI – Appunto. Oggi per affrontare la seconda metà dell’età del petrolio e dei combustibili fossili dovremmo scegliere la direzione opposta e farlo al più presto possibile, mettendo in conto qualche sofferenza ora, per evitare un collasso spontaneo del sistema più tardi.
 
LUMEN – Quindi, per dirla all’americana, usare il metodo KISS (keep it simply, stupid).
PARDI – Un bell’acronimo. Oggi abbiamo bisogno di semplificare, ridurre, lavorare meno (ma tutti), recuperare tempo per la socialità e la produzione sostenibile di cibo e beni indispensabili, collaborare invece di competere, lavorare alla riparazione degli ecosistemi piuttosto che ad aumentare la produttività di un sistema distruttivo dell’ambiente, scegliere le tecnologie appropriate invece di idolatrare la tecnologia in quanto tale.
 
LUMEN – Grazie dottor Pardi.
PARDI – Di nulla. E un KISS a tutti.

8 commenti:

  1. Un'intervista che ho apprezzato, condivido le preoccupazioni di Luca Pardi.
    Purtroppo non s'intravede nessun cambiamento di rotta. A meno che l'enciclica di Bergoglio - che invita alla sobrietà, alla riduzione degli sprechi, alla solidarietà - non abbia avuto in sordina il nullaosta della ... Cia, di Obama, del Bilderberg, della Trilaterale, dei Rothschild ecc. Non sappiamo cosa abbiano deciso i padroni del vapore. Non capiamo nemmeno ciò che sta avvenendo per "salvare" la Grecia - e l'euro, l'UE, il Portogallo, la Spagna, l'Italia, la Francia.

    L'imperativo, ciò che tutti vogliono è uno solo: la crescita. Giustamente invece Bergoglio dice che un diritto a una certa crescita, a un po' di benessere, a un maggior benessere ce l'hanno i dannati della terra che sono ancora tanti. Ma noi? Cosa vogliamo ancora di più, non abbiamo già tutto o quasi?
    I Greci hanno bisogno di cibo e beni assolutamente necessari (elenchiamoli!) o di crescita finanziaria? Certo coi soldi si possono comprare quei beni necessari e tante altre belle cose. Ma il cibo e l'acqua per esempio? Non dobbiamo temere una guerra per assicurarci questi beni fondamentali? La Cina compra o affitta terre in Africa in vista di problemi in patria.

    L'arresto definitivo della crescita - che tanti temono - significherebbe inevitabilmente anche una ridistribuzione di ciò che c'è, volenti o nolenti gli abbienti. In prospettiva - anche secondo l'enciclica - l'avvento del comunismo o socialismo, la fine della proprietà privata. Galoppo con la fantasia, do i numeri? Non credo proprio. Oggi un socialista svizzero chiedeva un piano "perequazione finanzaria europea", come fanno già i cantoni svizzeri: i più ricchi versano agli altri contributi annui, ma lo fanno con stridor di denti (quest'anno hanno ottenuto uno sconto dagli altri cantoni, che sono naturalmente maggioranza e ingordi).

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    1. Peccato che il Pontefice rimanga 'negazionista' rig.do al disastroso impatto di una crescita demografica umana in(de)finita sull'ambiente & sulle società (cfr. sez. 50 dell'Enciclica)...
      Cmq., ottima intervista!

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    2. Ciao Claudio, benvenuto.
      Il Papa ha già fatto fin troppo ad intervenire preoccupandosi dell'ambiente.
      Non sono mai stato tenero nei confronti della Chiesa (come avrai visto leggendo il blog), ma questa volta devo dire che ha provato a fare qualcosa di utile.
      Purtroppo si sia fermato a metà strada, tralsciando tragicamente il problema demografico, che è la causa prima di tutti gli altri.
      Peccato; una buona occasione persa.

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  2. << L'arresto definitivo della crescita - che tanti temono - significherebbe inevitabilmente anche una ridistribuzione di ciò che c'è, volenti o nolenti gli abbienti. In prospettiva (...) l'avvento del comunismo o socialismo, la fine della proprietà privata. >>

    Caro Sergio, temo che la prospettiva che tu ipotizzi sia estremamente reale.
    In fondo noi siamo abituati ad associare la democrazia liberale alla crescita economica, ed è ben possibile che le due cose non siano solo collegate storicamente, ma proprio causalmente.

    E che quindi la penuria di beni (intesa in senso pro capite) porti con sè INEVITABILMENTE un regime di ferreo controllo statalista.
    Il quale potrà essere un regime social-comunista, ma anche no; sarà però comunque una dittatura.

    La cosa mi preoccupa, ovviamente, ma mi preoccupano molto di più le modalità del trapasso, che potrebbero essere piene di violenze e di crudeltà.
    Spero solo di non esserci più quando succederà. Altre speranze non le nutro.

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    1. "Spero solo di non esserci più quando succederà."

      Non bisogna nemmeno pensarla una cosa simile - perché inevitabilmente si diventa fatalisti e magari anche menefreghisti: après moi le déluge! Io magari me la cavo, gli altri - i posteri - vedano loro come arrangiarsi, saranno grane loro.

      Invece dobbiamo farci dei pensieri preoccuparci, innanzi tutto per i nostri figli e nipoti (che io non ho), ma anche per questa povera umanità e questa povera terra. È chiaro che noi due possiamo fare ben poco, quasi nulla. Ma se pensiamo che non possiamo più fare assolutamente niente ciò non può non avere ripercussioni sul nostro stato di salute psichico (e poi anche fisico ovviamente: il corpo non mente, se rimuovi qualcosa lui non ci sta e si fa sentire, siamo nella psicosomatica).
      Noi dobbiamo passare il testimone, cioè tramandare qualcosa. A uno stato bassissimo di consapevolezza tramanderemo solo i nostri geni (il più grande coglione mette al mondo dei figli che poi magari abbandona). Noi (o io) vorremmo però che si salvi qualcosa di più, la nostra bella Italia per esempio. O tanta cultura. Possibile che non ci sia più niente da salvare, che non ci siano valori a cui teniamo? Non già quelli non negoziabili di Ratzinger, e nemmeno la Quinta di Beethoven. Fosse pure la scienza da salvare, qualcosa di buono i nostri padri hanno pur fatto, o no?

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    2. << perché inevitabilmente si diventa fatalisti e magari anche menefreghisti >>

      Sì, purtroppo sto passando un periodo così.
      Picasso aveva i periodi colorati, io invece ho questi.

      Ma forse hai ragione tu: per quanto poco possiamo fare, non dobbiamo cessare di preoccuparci e far senitre la nostra voce.

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  3. A proposito della complessità crescente dei sistemi trovo su MicroMega questo articolo che mi sembra fare al caso:

    http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-modello-panopticon-dalla-nsa-al-jobs-act/

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    1. Un articolo molto interessante e condivisibile.
      E molto acuta la frase di chiusura:
      << se la democrazia era quel sistema in cui tutto doveva essere reso pubblico e trasparente ma in cui doveva essere preservata la libertà inviolabile dell’individuo/cittadino (,,,), oggi siamo alla assoluta opacità del potere (anche quando si chiama democrazia), ma alla assoluta trasparenza di ciascuno. >>

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