sabato 14 febbraio 2015

L'Uomo Qualunque

<< L’uomo circuito dai mass media è in fondo, fra tutti i suoi simili, il più rispettato: non gli si chiede mai di diventare che ciò che egli è già. In altre parole, gli vengono provocati desideri studiati sulla falsariga delle sue tendenze >>.
In questa frase di Umberto Eco (incipit del famoso saggio  “Fenomenologia di Mike Bongiorno”) c’è tutta la triste pochezza di un sistema mediatico-consumistico che non spinge più le persone ad imparare, a migliorarsi, ad aprire le proprie menti, ma cerca invece di convincerle – per propria convenienza - a restare passivamente se stesse.
Il testo (con l’impietoso ritratto del noto presentatore televisivo) risale al lontano 1963, ma mi sembra attuale e godibile anche oggi. Buona lettura.
LUMEN


<<  Il caso più vistoso di riduzione del superman all’everyman [uomo qualunque] lo abbiamo in Italia nella figura di Mike Bongiorno e nella storia della sua fortuna.

Idolatrato da milioni di persone, quest’uomo deve il suo successo al fatto che in ogni atto e in ogni parola del personaggio cui dà vita davanti alle telecamere traspare una mediocrità assoluta unita (questa è l’unica virtù che egli possiede in grado eccedente) ad un fascino immediato e spontaneo spiegabile col fatto che in lui non si avverte nessuna costruzione o finzione scenica: sembra quasi che egli si venda per quello che è e che quello che è sia tale da non porre in stato di inferiorità nessuno spettatore, neppure il più sprovveduto. Lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti.

Per capire questo straordinario potere di Mike Bongiorno occorrerà procedere a una analisi dei suoi comportamenti, ad una vera e propria «Fenomenologia di Mike Bongiorno», dove, si intende, con questo nome è indicato non l’uomo, ma il personaggio. Mike Bongiorno non è particolarmente bello, atletico, coraggioso, intelligente. Rappresenta, biologicamente parlando, un grado modesto di adattamento all’ambiente. (...)

Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi. Entra a contatto con le più vertiginose zone dello scibile e ne esce vergine e intatto, confortando le altrui naturali tendenze all’apatia e alla pigrizia mentale. Pone gran cura nel non impressionare lo spettatore, non solo mostrandosi all’oscuro dei fatti, ma altresì decisamente intenzionato a non apprendere nulla.

In compenso Mike Bongiorno dimostra sincera e primitiva ammirazione per colui che sa. Di costui pone tuttavia in luce le qualità di applicazione manuale, la memoria, la metodologia ovvia ed elementare: si diventa colti leggendo molti libri e ritenendo quello che dicono. Non lo sfiora minimamente il sospetto di una funzione critica e creativa della cultura. Di essa ha un criterio meramente quantitativo. In tal senso (occorrendo, per essere colto, aver letto per molti anni molti libri) è naturale che l’uomo non predestinato rinunci a ogni tentativo. (…)

L’ammirazione per la cultura tuttavia sopraggiunge quando, in base alla cultura, si viene a guadagnar denaro. Allora si scopre che la cultura serve a qualcosa. L’uomo mediocre rifiuta di imparare ma si propone di far studiare il figlio. Mike Bongiorno ha una nozione piccolo borghese del denaro e del suo valore («Pensi, ha guadagnato già centomila lire: è una bella sommetta!»). Mike Bongiorno anticipa quindi, sul concorrente, le impietose riflessioni che lo spettatore sarà portato a fare: «Chissà come sarà contento di tutti quei soldi, lei che è sempre vissuto con uno stipendio modesto! Ha mai avuto tanti soldi così tra le mani?». (…)

Mike Bongiorno accetta tutti i miti della società in cui vive: alla signora Balbiano d’Aramengo bacia la mano e dice che lo fa perché si tratta di una contessa (sic). Oltre ai miti accetta della società le convenzioni. È paterno e condiscendente con gli umili, deferente con le persone socialmente qualificate. (...)

Mike Bongiorno parla un basic italian. Il suo discorso realizza il massimo di semplicità. Abolisce i congiuntivi, le proposizioni subordinate, riesce quasi a rendere invisibile la dimensione sintassi. Evita i pronomi, ripetendo sempre per esteso il soggetto, impiega un numero stragrande di punti fermi. Non si avventura mai in incisi o parentesi, non usa espressioni ellittiche, non allude, utilizza solo metafore ormai assorbite dal lessico comune. (...)

Non è necessario fare alcuno sforzo per capirlo. Qualsiasi spettatore avverte che, all’occasione, egli potrebbe essere più facondo di lui. Non accetta l’idea che a una domanda possa esserci più di una risposta. Guarda con sospetto alle varianti. Nabucco e Nabuccodonosor non sono la stessa cosa; egli reagisce di fronte ai dati come un cervello elettronico, perché è fermamente convinto che A è uguale ad A e che tertium non datur. (...)

Mike Bongiorno è privo di senso dell’umorismo. Ride perché è contento della realtà, non perché sia capace di deformare la realtà. Gli sfugge la natura del paradosso; come gli viene proposto, lo ripete con aria divertita e scuote il capo, sottintendendo che l’interlocutore sia simpaticamente anormale; rifiuta di sospettare che dietro il paradosso si nasconda una verità, comunque non lo considera come veicolo autorizzato di opinione.

Evita la polemica, anche su argomenti leciti. Non manca di informarsi sulle stranezze dello scibile (una nuova corrente di pittura, una disciplina astrusa... «Mi dica un po’, si fa tanto parlare oggi di questo futurismo. Ma cos’è di preciso questo futurismo?»). Ricevuta la spiegazione non tenta di approfondire la questione, ma lascia avvertire anzi il suo educato dissenso di benpensante. Rispetta comunque l’opinione dell’altro, non per proposito ideologico, ma per disinteresse.

Di tutte le domande possibili su di un argomento sceglie quella che verrebbe per prima in mente a chiunque e che una metà degli spettatori scarterebbe subito perché troppo banale: «Cosa vuol rappresentare quel quadro?» «Come mai si è scelto un hobby così diverso dal suo lavoro?» «Com’è che viene in mente di occuparsi di filosofia?».

Porta i clichés alle estreme conseguenze. Una ragazza educata dalle suore è virtuosa, una ragazza con le calze colorate e la coda di cavallo è «bruciata». Chiede alla prima se lei, che è una ragazza così per bene desidererebbe diventare come l’altra; fattogli notare che la contrapposizione è offensiva, consola la seconda ragazza mettendo in risalto la sua superiorità fisica e umiliando l’educanda. In questo vertiginoso gioco di gaffes non tenta neppure di usare perifrasi (...).

Per lui, lo si è detto, ogni cosa ha un nome e uno solo, l’artificio retorico è una sofisticazione. In fondo la gaffe nasce sempre da un atto di sincerità non mascherata; quando la sincerità è voluta non si ha gaffe ma sfida e provocazione; la gaffe (in cui Bongiorno eccelle, a detta dei critici e del pubblico) nasce proprio quando si è sinceri per sbaglio e per sconsideratezza. Quanto più è mediocre, l’uomo mediocre è maldestro. Mike Bongiorno lo conforta portando la gaffe a dignità di figura retorica, nell’ambito di una etichetta omologata dall’ente trasmittente e dalla nazione in ascolto.

Mike Bongiorno gioisce sinceramente col vincitore perché onora il successo. Cortesemente disinteressato al perdente, si commuove se questi versa in gravi condizioni e si fa promotore di una gara di beneficenza, finita la quale si manifesta pago e ne convince il pubblico; indi trasvola ad altre cure confortato sull’esistenza del migliore dei mondi possibili. Egli ignora la dimensione tragica della vita.

Mike Bongiorno convince dunque il pubblico, con un esempio vivente e trionfante, del valore della mediocrità. Non provoca complessi di inferiorità pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo. Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello. Nessuna religione è mai stata così indulgente coi suoi fedeli. In lui si annulla la tensione tra essere e dover essere. Egli dice ai suoi adoratori: voi siete Dio, restate immoti. >>

UMBERTO ECO

24 commenti:

  1. Povero Mike, non si meritava un simile ritratto. L'Italia degli anni Cinquanta era ai suoi piedi, non tutti avevano la televisione e il giovedì sera tutto il palazzo si ritrovava dal fortunato che ne aveva uno. E la Bolognani che sapeva tutto di calcio, ma sbagliò la risposta decisiva ma si pappò lo stesso i cinque milioni perché - disse lei - quel tal giocatore aveva giocato solo alcune partite, era una riserva ...

    Eppure eppure. Tempo fa ho visto una intervista a Mike Bongiorno della televisione ticinese fatta nel suo 'buen retiro' a La Punt in Engadina. Be' non è proprio quel fesso che dipinge Eco, anzi era un drittone. Poi ve la cerco, l'ho trovato simpatico.

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    1. http://www.tvsvizzera.it/intrattenimento-e-cultura/Mike-Bongiorno-intervistato-durante-una-sua-vacanza-in-Svizzera-2281981.html

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    2. "quel fesso che dipinge Eco, anzi era un drittone."

      Il problema n.1 dello sviluppo italiano della seconda fase del dopoguerra, quella dell'ormai raggiunto benessere, secondo me e' consistitito proprio in cio' che impersona Umberto Eco, non Mike Bongiorno: la prima generazione che ha potuto alfabetizzarsi e addirittura acculturarsi grazie alla scolarizzazione di massa ad un certo punto non ha piu' capito, e ha rifiutato, la generazione immediatamente precedente, quella che ha creato i presupposti di ricchezza per mandarla a scuola, come sempre considerati "dati" e ovii dalla successiva. Una specie di "frattura edipica" fra generazioni, amplificata dal completo cambiamento delle condizioni di vita materiale, negli anni formativi, fra le due, frattura che non si e' piu' risolta, ed e' secondo me alla radice dello spaesamento e del vuoto odierno.

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    3. Accidenti, ma come hai fatto a trovare il link per l'intervista a Mike?
      "Controluce", la bella trasmissione di Michele Fazioli è andata in pensione col suo moderatore già alcuni anni fa, mi hanno detto alla TV ticinese. e le interviste non sono più disponibili nel sito della RSI. Sei un genio.

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    4. "Sei un genio"

      Ehi, sui blog quando si vuole fare un complimento si dice: "troll idiota coglione e maledetto"!

      Per forza non trovi niente. ;)

      Comunque ho solo usato google forse con l'opzione "site:", o il motore della rsi stessa, con l'insistenza con variazioni che tipicamente richiede il computer.

      Per tornare "sul pezzo", rimarco il fatto che il problema e' Eco, con la spocchia intellettuale che ha marchiato la cesura devastante fra la nostra classe intellettuale e il substrato (secondo essa letamico) che l'ha resa possibile mantenendola materialmente. Cesura che si trascina e permane ai nostri giorni, sebbene con crescente perplessita'. Mike sara' incolto ma l'ha capito, Eco sara' intelligente ma non l'ha.

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  2. << non è proprio quel fesso che dipinge Eco, anzi era un drittone >>

    Caro Sergio, il vero volto dei personaggi della TV è sempre difficile da scoprire per gli spettatori.
    Molti non sono come sembrano, ma hanno semplicemente creato dei personaggi che funzionano e li "interpretano".
    Così, per esempio, mi hanno detto che Enzo Tortora, con le persone comuni che popolavano i suoi programmi, era molto meno buonista di quello che voleva apparire,
    D'altra parte è lo stesso Eco a precisare all'inizio che nel suo saggio su Mike Buongiorno " è indicato non l’uomo, ma il personaggio".

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    1. Mike era italo-americano dall'italiano un po' approssimativo - cosa che Mike accentuava appositamente perché si sa che gli errori fanno molta tenerezza, come il famoso "se sbaglio mi corriggerete" di Wojtyla alla sua prima uscita (non molto dissimile dal buona sera bergogliano). Ma allora è come noi, uno dei nostri, ignorante o alla buona come noi, evviva!

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    2. La sua fortuna (e anche bravura, perchè no ?) è stata quella di portare in Italia delle idee americane che il nostro mondo dello spettacolo non conosceva.
      Oggi la transizione è rapidissima, ma allora le "novità" americane impiegavano 10 anni per arrivare da noi.

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  3. @ Diaz

    << Una specie di "frattura edipica" fra generazioni, amplificata dal completo cambiamento delle condizioni di vita materiale, >>

    Caro Diaz, credo di fratture tra le generazioni l'Italia ne abbia vissute parecchie e che praticamente dal dopoguerra ad oggi ogni generazione si sia trovata "spostata" in maniera significativa da quella precedente, e non sempre in meglio.

    Non so se ci sia un collegamento, ma il livello della scuola italiano pare calato di molto e c'è la sensazione che le ultime generazioni (per colpa della scuola, della televisione, dei telefonini o di chi volete voi) sia non certo meno intelligente e sveglia, ma sicuramente meno colta e preparata dal punto di vista formale.
    Che dite ? Sono un patetico "laudator temporis acti", o c'è qualcosa di valido nel mio ragionamento ?

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    1. "fratture tra le generazioni l'Italia ne abbia vissute parecchie e che praticamente dal dopoguerra ad oggi ogni generazione si sia trovata "spostata" in maniera significativa da quella precedente"

      Mmmh, la frattura fra la generazione educata nell'anteguerra (diciamo la classe fino agli anni 20, che e' quella dei miei genitori) e una qualsiasi posteriore, e' la stessa che c'e' fra una generazione attuale e una di un qualsiasi periodo del medioevo: nell'anteguerra una buona parte della popolazione viveva sulla terra di autoconsumo e baratto o era in grado di ritornare facilmente a tali usanze, aveva il know how: la frattura con il periodo successivo e' totale. Il fatto che sia difficile immaginarlo ne e' ulteriore prova. Il Boeing 747 e il Concorde sono degli anni '60, cosi' come lo e' la motorizzazione di massa, la televisione, la comunicazione istantanea, informativa e materiale, ai quattro angoli del mondo. In quel periodo il tempo ha corso a velocita' mai vista prima. La seconda guerra mondiale, almeno per noi in italia, e' stata uno spartiacque assoluto, quello che e' successo con la prima e' stato solo un momento preparatorio, una specie di "prendere la rincorsa".

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    2. "viveva sulla terra di autoconsumo e baratto"

      Vuol dire potenzialmente senza uso di denaro! Che a sua volta vuol dire con minima possibilita' da parte dello Stato di estrarre risorse ovvero tasse senza che la faccenda venisse vissuta come un'intollerabile prevaricazione fisico-materiale (corvee). Oggi con l'uso del denaro cioo' accade al massimo grado senza che se ne abbia contezza...

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    3. Si, in effetti il passaggio dall'autoproduzione/baratto, al denaro nominale è davvero epocale per una economia, e questo trascina con se tante altre cose.
      Anche Harari (di cui ho parlato la settimana scorsa) vi ha dedicato alcune pagine molto interessanti.

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    4. Nel nostro paese il passaggio completo e' avvenuto nei pochi decenni con centro fra le due guerre mondiali (significativamente segnati dalla crisi del '29): ora credo sia molto interessante notare come la tendenza legislativa e normativa sia di rendere ogni scambio economico non solo obbligatoriamente effettuato tramite denaro, ma pure completamente tracciabile, a scopo sempre piu' pressante di controllo fiscale e di esazione. Cio' e' richiesto dalla stessa sopravvivenza del sistema che, se non fosse evidentemente e intrinsecamente instabile, non richiederebbe sempre incrementata coercizione per funzionare.

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    5. Da cui un ulteriore aumento di complessità del sistema, del quale - guarda la combinazione - ho giusto in programma di parlare nel prossimo post .
      (piccolo "promo" auto-pubblicitario... :-))

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  4. Rividi tempo fà la scena con la Livoli, una cosa sgradevole, come la sua reazione allo scherzo di Barbareschi, presenza di spirito: poca, molto poca. O quando gli portarono il tapiro, uguale. Sentii tempo fà - non ricordo chi lo disse e non so se se è vero- che la notte in cui Tenco si uccise, commentò dicendo di essersi reso conto del malessere del cantante, ma che doveva andare a dormire perché quella stessa sera avrebbe dovuto ancora condurre (cosa che poi fece).
    Una volta, in America, stava su un taxi e parlava al cellulare col figlioccio Fiorello, in diretta alla radio. Questo dice al tassista che in quel momento stava trasportando un passeggero illustre, numero uno della tv italiana e blablabla, e il tassista gli risponde: sì, me l'ha già detto. Grande uomo, Mike.

    "lascia avvertire anzi il suo educato dissenso di benpensante. Rispetta comunque l’opinione dell’altro, non per proposito ideologico, ma per disinteresse".

    "Mike Bongiorno gioisce sinceramente col vincitore perché onora il successo. Cortesemente disinteressato al perdente, si commuove se questi versa in gravi condizioni e si fa promotore di una gara di beneficenza, finita la quale si manifesta pago e ne convince il pubblico; indi trasvola ad altre cure confortato sull’esistenza del migliore dei mondi possibili. Egli ignora la dimensione tragica della vita".

    "Mike Bongiorno è privo di senso dell’umorismo. Ride perché è contento della realtà, non perché sia capace di deformare la realtà"

    Sono rimasto ammirato nel leggere questi passi, Eco ha sempre avuto una capacità divina nel sapere unire l'analisi all'espressività.
    Grazie infinite Lumen, l'ho letto con grande piacere.

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    1. E' vero che uno dei compiti dell'intellettuale e' fare da coscienza critica del proprio tempo e del proprio ambiente sociale, ma e' anche vero che quando tale compito si riduce a difendere la propria tribu' (intellettuale) togliendo non solo legittimita' ma addirittura dignita' di espressione umana all'altra, che e' quello che fa Eco con stile molto brillante ma anche piuttosto adolescenziale ed estremamente offensivo in questo scritto, piu' che di intellettualita' si deve parlare di tribalita'.

      Eco allora era relativamente giovane (ma neanche tanto, 31 anni) e quindi e' comprensibile la foga dell'eta', ma col senno di poi si deve riconoscere che contribui' a fomentare il clima di tribalismo che ci affligge ancora oggi, ed e' quanto di piu' lontano ci sia da una civile tenzone fra adulti _con vedute diverse di pari legittimita'_.

      Poiche' il lavoro intellettuale e' reso possibile dal lavoro delle classi piu' umili, quelle che lavorano di braccio e di "negozi", non sarebbe sgradito che chi profitta del loro apporto materiale per evolvere la propria cultura li vedesse non come un gregge di pecore da sfruttare e dirigere (da cui deriva l'atteggiamento di tanta parte della classe politica che si autodefinisce democratica senza aver ben chiaro il significato del termine, e che per questo stesso motivo regolarmente e prevedibilmente perde le elezioni di fronte al leader di turno del tipo del Mike descritto sopra).

      Quindi forse non sono cosi' intelligenti, ma lo sembrano, e solo a pochi, della cui capacita' di giudizio, visti i risultati, e' lecito dubitare.

      E' facile essere trascinati in ideologie e paradigmi sbagliati quando non demenziali, perche' dominanti nella propria tribu' di riferimento del momento, e cio' vale allo stesso modo per i piu' umili quanto per i piu' colti, per le tribu' grandi quanto per quelle piccole, la storia, anche quella piu' recente, insegna, e sarebbe molto presuntuoso, e probabilmente sbagliato, presumere di esserne immuni nel presente come nel futuro.

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    2. @ Diaz

      Sul rapporto tra popolo ed elites (politiche, economiche intellettuali, ecc.) si potrebbe scrivere a lungo.

      Certo però che chi ci è arrivato (tra le elites intendo), ed ha saputo mantenersi, può dire di aver vinto la sua personalissima gara con l'esistenza, ed ignorare tranquillamente le eventuali critiche che riceve.

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    3. "chi ci è arrivato (tra le elites intendo), ed ha saputo mantenersi, può dire di aver vinto la sua personalissima gara con l'esistenza"

      Cosa intendi per elite, quella volgarmente ritenuta tale, oppure quella che, de-finendo ovvero rendendo possibile per opposizione o contrasto a quella detta sopra, lo e' veramente?

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    4. Per "elite" intendo quella che lo e' veramente e che, come tale, è in condizione di ottenere i privilegi ed i vantaggi che alla gente comune sono negati.

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    5. L'elite non puo' esistere senza la gente comune, ne' la gente comune senza elite. C'e' qualche colllegamento col fatto che il pool genico, per esistere, deve essere distribuito in tutta la popolazione.

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    6. << L'elite non puo' esistere senza la gente comune, ne' la gente comune senza elite. >>

      Certamente. D'altra parte l'uomo è un animale altamente sociale, e non può esistere società senza gerarchia.

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    7. "non può esistere società senza gerarchia"

      Quella che non puo' esistere senza gerarchia e' la societa' complessa, proprieta' emergente degli ultimi millenni della storia dell'umanita', che ha trasformato l'umanita' in un errore, in un tumore anche relativamente a se stessa.
      La societa' "naturale" e' quella della piccola tribu', senza alcuna gerarchia, siamo noi 5 in questo blog.
      Perfino tutti gli eserciti del mondo sono organizzati in compagnie di al massimo 150 persone perche' oltre quel numero la socialita' spontanea scompare, ci puo' essere solo artifizio e anonimato burocratico da imporre con la forza, non socialita': cioe' lo stato moderno.

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    8. Guarda che la gerarchia regna sovrana a tutti i livelli umani.
      In una pattuglia militare c'è un graduato che la capeggia; in una squadra di basket, fatta da soli 5 giocatori, c'è il capitano o il leader tecnico; persino in una entità piccolissima come la famiglia nucleare permane il concetto di capofamiglia.

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  5. Grazie a te Francesco e bentornato.
    Era da un po' che non leggevo più i tuoi commenti e ne sentivo la mancanza.

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