sabato 19 aprile 2014

Il Dawkins egoista - 1

Ho già parlato più volte in questo blog del libro che io considero fondamentale per capire la vera essenza della natura umana, ovvero IL GENE EGOISTA del grande biologo evoluzionista Richard Dawkins.
Quelle che seguono sono alcune pagine tratte dalla parte iniziale del libro. Una lettura piacevole ed appassionante.
LUMEN

 
<< La vita intelligente su un pianeta raggiunge un traguardo cruciale quando per la prima volta comprende le ragioni della sua stessa esistenza. Se delle creature superiori provenienti dallo spazio visiteranno mai la terra, la prima domanda che faranno, per valutare il livello della nostra civilizzazione, sarà “hanno già scoperto l’evoluzione?”.
Organismi viventi sono esistiti su questa terra, senza nemmeno sapere perché, per più di tre miliardi di anni, prima che la verità finalmente albeggiasse su uno di loro. Il suo nome era Charles Darwin.

Ad essere onesti, altri avevano raggiunto piccoli frammenti della verità, ma fu Darwin che per primo mise insieme una spiegazione coerente e sostenibile del perché noi esistiamo. Darwin ci ha permesso di dare una risposta sensata al bambino curioso la cui domanda dà il titolo a questo capitolo: [Perché esistono le persone].
Non dobbiamo più ricorrere alla superstizione quando ci troviamo di fronte ai problemi profondi: la vita ha un significato? Perché esistiamo? Che cosa è l’uomo?

Dopo aver posto l’ultima di queste domande, l’eminente zoologo G. G. Simpson si espresse come segue: “Quello che voglio enfatizzare adesso è che tutti i tentativi di rispondere a questa domanda prima del 1859 sono privi di valore, e faremmo meglio ad ignorarli completamente”.
Oggi la teoria dell’evoluzione non è soggetta a dubbi più di quanto lo sia la teoria che la terra gira intorno al sole, ma le implicazioni vere della rivoluzione di Darwin devono ancora essere largamente comprese.

La zoologia è ancora una materia secondaria nelle università, ed anche coloro che scelgono di studiarla prendono spesso questa decisione senza apprezzare il suo profondo significato filosofico.
La filosofia e le materie cosiddette umanistiche vengono ancora insegnate come se Darwin non fosse mai vissuto. Non c’è dubbio che questo cambierà col tempo. Comunque, questo libro non va inteso come un’apologia generale del darwinismo.
Invece, esplorerà le conseguenze della teoria dell’evoluzione in una questione particolare. Il mio scopo è esaminare la biologia dell’egoismo e dell’altruismo.

A parte il suo interesse accademico, l’importanza umana di questa materia è ovvia. Tocca ogni aspetto delle nostre vite sociali, il nostro amare e odiare, combattere e cooperare, il nostro donare e rubare, la nostra cupidigia e generosità.
Anche altri libri come “On Aggression” di Lorenz e “The social contract” di Ardrey avrebbero potuto accampare quest’obiettivo. Il guaio di questi libri è che i loro autori hanno sbagliato completamente tutto.

Hanno sbagliato perché hanno frainteso il modo in cui funziona l’evoluzione. Hanno fatto l’assunzione errata che la cosa importante nell’evoluzione sia il bene della specie (o del gruppo) anziché il bene dell’individuo (o del gene). (…)
Prima di incominciare il mio argomento, vorrei spiegare brevemente che tipo di argomento è, e che tipo di argomento non è.

Se ci dicessero che un uomo ha vissuto a lungo, ed ha fatto carriera, nel mondo della malavita di Chicago, ci sentiremo legittimati a fare delle assunzioni su che tipo di uomo fosse. Potremo aspettarci che abbia alcune qualità come la durezza, il grilletto facile, e la capacità di attrarre amici leali.
Queste non sarebbero deduzioni infallibili, tuttavia è lecito fare delle inferenze sul carattere di un uomo se sai qualcosa della condizione in cui egli è sopravvissuto ed ha fatto carriera.

L’argomento di questo libro è che noi, e tutti gli altri animali, siamo macchine create dai nostri geni.
Come i gangster di successo a Chicago, i nostri geni sono sopravvissuti, in alcuni casi per milioni di anni, in un mondo altamente competitivo. Questo ci legittima ad aspettarci delle precise qualità nei nostri geni. Io sosterrò che una qualità predominante da aspettarsi in un gene di successo sia il totale egoismo.

Questo egoismo del gene di solito produrrà egoismo nel comportamento dell’individuo che possiede quel gene. Però, come vedremo, ci sono circostanze speciali in cui un gene può realizzare al meglio i suoi obiettivi egoistici incoraggiando una forma limitata di altruismo al livello dei singoli animali.

“Speciale” e “limitata” sono parole importanti in quest’ultima frase. Per quanto ci piaccia credere diversamente, l’amore universale e il bene della specie nel suo complesso sono concetti che semplicemente non hanno alcun senso, evolutivamente parlando.
Questo mi porta alla prima cosa da puntualizzare su cosa questo libro non è.

Io non sto sostenendo una moralità basata sull’evoluzione. Io sto dicendo come le cose si sono evolute.
Non sto dicendo come noi esseri umani dovremmo comportarci moralmente. Vorrei enfatizzare questo punto, perché so che corro il pericolo di essere frainteso da quelle persone, molto numerose, che non riescono a distinguere una dichiarazione di credenza in ciò che è vero, da una dichiarazione di credenza in ciò che dovrebbe essere.

La mia convinzione è che una società umana basata semplicemente sulla legge genetica dell’egoismo universale sarebbe una orribile società in cui vivere. Ma, sfortunatamente, non importa quanto possiamo deplorare qualcosa, questo non la fa smettere di essere vera.
Questo libro è scritto soprattutto per essere interessante, ma se volete estrarne una morale, considerate questo un avvertimento.
Siate avvertiti che se volete, come me, costruire una società in cui gli individui cooperano generosamente e altruisticamente verso un bene comune, potete aspettarvi poco aiuto della natura biologica.

Cerchiamo di insegnare la generosità e l’altruismo, perché siamo nati egoisti.
Comprendiamo quali sono gli obiettivi dei nostri geni egoisti, perché allora potremmo almeno avere la possibilità di sventare i loro piani, cosa che nessun’altra specie ha mai aspirato a fare.
Come corollario a queste osservazioni sull’insegnamento, va precisato che è una fallacia — molto comune — supporre che delle caratteristiche ereditate geneticamente siano per definizione fisse ed immutabili.

I nostri geni possono istruirci ad essere egoisti, ma non siamo necessariamente obbligati ad obbedire loro per tutta la nostra vita. Potrebbe soltanto essere più difficile imparare l’altruismo di quanto lo sarebbe se fossimo geneticamente programmati per essere altruisti.
Tra gli animali, l’uomo è l’unico dominato dalla cultura, dalle influenze apprese e tramandate. Alcuni direbbero che la cultura è così importante che i geni, egoisti o meno, sono virtualmente irrilevanti per la nostra comprensione della natura umana.

Altri non sarebbero d’accordo. Dipende tutto da dove vi collocate nel dibattito “natura contro cultura” come determinanti degli attributi umani.
Questo mi porta alla seconda cosa che questo libro non è: non è una difesa di una posizione o l’altra nella controversia natura/cultura.
Naturalmente ho le mie opinioni su questo, ma non le esprimerò, se non implicitamente nella visione della cultura che presenterò nell’ultimo capitolo.

Se i geni si rivelano totalmente irrilevanti per la determinazione del moderno comportamento umano, se siamo davvero unici tra gli animali in questo aspetto, quantomeno è ancora interessante indagare sulla regola di cui siamo recentemente diventati l’eccezione.
E se la nostra specie non è così eccezionale come ci farebbe piacere pensare, è ancora più importante che studiamo questa regola.

La terza cosa che questo libro non è: non è una descrizione dettagliata del comportamento dell’uomo o di qualunque altra specie animale. Userò i dettagli fattuali solo come esempi illustrativi.
Non dirò “se guardate il comportamento dei babbuini scoprirete che sono egoisti; quindi c’è un’alta probabilità che anche il comportamento umano sia egoista”.

La logica del mio argomento del “gangster di Chicago” è molto diversa. È la seguente. Gli umani e i babbuini si sono evoluti per selezione naturale.
Se guardate il modo in cui funziona la selezione naturale, sembra predire che qualunque cosa si evolve per selezione naturale debba essere egoista. Quindi, quando andiamo ad osservare comportamento dei babbuini, degli umani, e di tutte le altre creature viventi, dobbiamo aspettarci che siano egoisti.

Se ci accorgiamo che la nostra aspettativa è sbagliata, ad esempio perché il comportamento umano è davvero altruistico, allora siamo di fronte a qualcosa di strano, qualcosa che ha bisogno di una spiegazione
Prima di procedere, ci serve una definizione. Un’entità, come un babbuino, si dice altruista se si comporta in modo tale da migliorare le condizioni di vita di un’altra entità simile alle spese di se stessa.

Il comportamento egoistico ha esattamente l’effetto opposto. “Condizioni di vita” è definito come “probabilità di sopravvivenza”, anche se l’effetto sulle vere prospettive di vita e di morte è così piccolo da sembrare trascurabile.
Una delle sorprendenti conseguenze della versione moderna della teoria di Darwin è che influenze apparentemente minuscole ed irrilevanti sulla probabilità di sopravvivenza possono avere un enorme impatto sull’evoluzione.

Questo a causa dell’enorme quantità di tempo disponibile, che fa sì che anche delle influenze minuscole acquistino peso notevole.
È importante capire che le definizioni di cui sopra di altruismo ed egoismo sono comportamentali, non soggettive.

Qui non mi sto preoccupando della psicologia degli scopi. Non mi sto chiedendo se le persone che si comportano altruisticamente lo stanno facendo in realtà per scopi segretamente o inconsciamente egoistici.
Forse lo stanno facendo e forse no, e forse non lo sapremo mai, ma in ogni caso non è di questo che parla il libro. La mia definizione si preoccupa solo se la conseguenza di un’azione aumenta o diminuisce le prospettive di sopravvivenza del presunto altruista e le prospettive di sopravvivenza del presunto beneficiario.

È molto complicato dimostrare gli effetti del comportamento sulle prospettive di sopravvivenza a lungo termine. Nella pratica, quando applichiamo la definizione al comportamento reale, dobbiamo qualificarla con la parola “apparentemente”.
Un atto apparentemente altruistico è un atto che, superficialmente, sembra aumentare (anche di pochissimo) le probabilità che l’altruista muoia, e che il beneficiario sopravviva.

Spesso, guardando da vicino, si scopre che alcuni atti di apparente altruismo sono in realtà atti di egoismo dissimulati.
[Non è importante] che gli scopi soggiacenti siano segretamente egoistici, ma che l’effetto reale dell’azione sulle prospettive di sopravvivenza sono il contrario di ciò che in origine si pensava. >>

RICHARD DAWKINS

(continua)

3 commenti:

  1. Caro Lumen,

    dopo aver letto una seconda volta attentamente questo lungo, lunghissimo testo devo esprimerti la mia profonda insoddisfazione. Oserei persino dire che "così non va", volendo dire che uno sprovveduto che capitasse qui e leggesse questo articolo non ci capirebbe molto e ne sarebbe di conseguenza deluso.
    Ma cos'è che non va precisamente? Il testo contiene tante, troppe affermazioni che lasciano perplessi, suscitano domande che naturalmente resteranno senza risposta (sì, certo, qualcosa si può chiedere e penso che tu gentilmente risponderesti - ma quando le domande sono troppe?).
    Già quella prima affermazione all'inizio: "... libro che io considero fondamentale per capire la vera essenza della natura umana" suona un po' fanfaronesco (i filosofi possono parlare di "vera essenza della natura umana", ma non le persone serie ...). Che poi siamo finalmente in possesso di un'opera geniale che ci permette di capire la vera essenza ecc. è anche questa un'affermazione azzardata, da filosofi, che amano riempirsi la bocca di concetti sublimi che non di rado non significano niente.

    Mi permetto di fare qualche osservazione da semi sprovveduto, cioè di persona di media cultura (soprattutto letterario-filosofica) che ha orecchiato qualche concetto scientifico.

    Dicono, sembrerebbe, che il gene ha un unico scopo: replicarsi. Tutto il resto è contorno. Il gene vuole solo una cosa, contro tutto e tutti, ed è ovviamente amorale. In fondo non è che un pezzetto di materia che tende meccanicamente a riprodursi (per qualche legge chimico-fisica). Nel corso dell'evoluzione sorgono però degli esseri sempre più complessi che devono applicare raffinate strategie di sopravvivenza il cui ultimo scopo è sempre di riprodursi, a spese di tutti gli altri esseri. A un certo momento dell'evoluzione il gene scopre che l'altruismo può servire ai suoi scopi. È ovviamente un altruismo peloso, con più di una arrière-pensée: io ti aiuto perché tu mi aiuti, in due siamo più forti, ma ovviamente il fine ultimo e che sopravviva io e - se necessario - schiatti tu. Un altruismo assolutamente disinteressato è impensabile, in fondo insensato. La forma massima di altruismo è il sacrificio di se stessi, ma sappiamo che sacrificarsi ha uno scopo preciso, utilitaristico: per il credente significa conquistare il paradiso, dunque vincere alla grande, imporsi definitivamente. Per chi non crede il sacrificio, l'immolarsi, si configura come un corto-circuito mentale, un autoinganno. Mi sacrifico perché la mia visione del mondo s'imponga, o perché sopravvivano i miei figli portatori dei miei geni. Comunque la si giri è sempre l'interesse che guida le nostre azioni. Questo discorso non può piacere a chi crede negli ideali: ridurre tutto a meschino utilitarismo urta la sua sensibilità. In effetti il meccanicismo utilitaristico è molto spoetizzante: "che pensieri, che cori, o Silvia mia" - invece vogliamo farci tutti i cavoli nostri, facendo credere agli altri che il loro interesse è il nostro interesse.
    (continua)

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    1. (continuazione)

      Noi siamo soliti pensare che solo gli esseri umani hanno una morale. Gli animali non umani agiscono secondo l'istinto e per sopravvivere e non può essere loro fatto alcun rimprovero. Ma gli animali a noi più prossimi, i primati, hanno o non hanno una morale almeno loro. Difficile dire, propenderei per il no. Gli scimpanzé uccidono individui di altri gruppi, ma istituire tribunali per loro pare assurdo. La morale sarebbe dunque prerogativa della nostra specie (e magari forse del Neandertaler). Ma perché saremmo esseri morali, che cosa significa in ultima analisi la morale? Credo che i fondamenti della morale siano la rinuncia a una parte di sovranità nell'interesse di tutto il gruppo e il rispetto delle regole della convivenza. Non rispettare le regole implica sanzioni, è ovvio. Noi umani esigiamo il rispetto delle regole - che servono a tutti e a ciascuno - e puniamo i trasgressori che minacciano l'insieme e ciascuno. Il complesso delle norme è il codice morale.
      E il gene che fa? Accetta il codice e si sottomette? Non sempre, donde conflitti, aspri, asperrimi, fino all'annientamento degli avversari.
      Il gruppo è di sostegno al gene egoista di ognuno, il gene di ognuno s'impegna a sostenere il gruppo. L'interesse è reciproco, ma lo stesso l'equilibrio tra i divergenti interessi è instabile e probabilmente ineliminabile. A meno che non si elimini questa specie alquanto mal riuscita (con l'atomica o con la modifica del patrimonio genetico, oggi possibile).

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  2. << Il gruppo è di sostegno al gene egoista di ognuno, il gene di ognuno s'impegna a sostenere il gruppo. L'interesse è reciproco, ma lo stesso l'equilibrio tra i divergenti interessi è instabile e probabilmente ineliminabile. >>

    Caro Sergio, rispetto senza problemi le tue perplessità per le teorie di Dawkins, che invece per me sono la stella polare per la comprensione dell'uomo e della società.
    Ed è una stella polare che mi funziona a meraviglia, riempiendo di buone risposte le mille domande che mi facevo inutilmente da tempo, e che quindi, per il momento, mi tengo ben stretta.

    Il tuo commento comunque dimostra che, pur non apprezzando le teorie di Dawkins, che sono in effetti piuttosto borderline (come piace a me), ne hai ben compreso il senso profondo, e questo mi fa molto piacere.

    Comunque, in settimana arriverà la seconda parte. Estote parato.

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