venerdì 9 luglio 2021

Sovrappopolazione: domande e risposte – 4

Obiezioni e risposte sul tema della sovrappopolazione, in un testo dell'associazione Umanitamtam (quarta parte). LUMEN.


<< 15) “Per ridurre la fertilità è sufficiente migliorare la condizione delle donne tramite l’istruzione!”

No, non è sufficiente. È una delle cose da fare, non l’unica. Non si dovrebbero più sentire frasi come “Lo so che i miei figli sono tanti, ma mio marito li vuole, che ci posso fare?”.

Questo non toglie che l’educazione a una moderazione della fertilità possa essere dedicata anche agli uomini. Tutti devono essere consapevoli dei problemi che la sovrappopolazione porta al mondo, alle nazioni e alle famiglie. La cosa migliore è responsabilizzare tutti, nessuno escluso.


16) “L’agro-ecologia sarà in grado di alimentare anche 20 miliardi di persone!”

I principi dell’agro-ecologia sono già stati applicati in passato. Alcuni sono convenienti e quindi si usano ancora oggi: rotazione delle colture, coltivazione sullo stesso appezzamento di terreno di produzioni di diverso tipo, scelta delle culture a seconda del tipo di terreno, minor utilizzo possibile di acqua.

Altri principi dell’agro-ecologia venivano applicati in passato semplicemente perché consistono nel non usare ciò che al tempo non esisteva: fertilizzanti chimici e sofisticati macchinari. Si tratta di una rinuncia che oggi sarebbe certo non funzionale a nutrire più persone, e anzi diminuirebbe la produzione. Quindi no, l’agro-ecologia non permette né permetterà di alimentare 20 miliardi di persone.

I sostenitori dell’agro-ecologia come soluzione al problema della fame nel mondo basano la loro proposta su un sistema ideale, utopistico, in cui la produttività si ottiene estendendo al mondo intero esperienze svolte in piccola scala, su culture specifiche e in condizioni ottimali, con operatori sempre motivati e competenti, in un contesto economico protetto.

Ma la realtà del mondo agricolo è complessa: c’è da tenere conto di competenze diseguali, terreni inadatti, vincoli economici, guerre, dittature, eventi climatici eccezionali. Infine, di nuovo, non esiste solo la questione di sfamare tutte le persone presenti nel pianeta. Occorre farle vivere in armonia con l’ambiente, senza che per coltivare sempre di più si abbattano altre foreste.

A questo la coltivazione non intensiva non contribuisce più di quella industriale. Sarà un’ottima cosa aumentare la pratica dell’agro-ecologia, ma potremo permetterci di farlo solo dopo che la popolazione mondiale sarà diminuita di molto.


17) “Con gli alimenti che il primo mondo spreca potrebbero essere sfamati i paesi poveri!”

No, per niente. Se anche riuscissimo nell’impossibile impresa di eliminare gli sprechi nel primo mondo, questo non sarebbe di alcun aiuto al terzo mondo. Viene istintivo, a un primo sguardo superficiale, pensare che il cibo sprecato nel primo mondo potrebbe essere spedito nel terzo mondo. Ma se consideriamo la deperibilità dei prodotti e i costi dei trasporti, ci accorgiamo che è impraticabile.

Ha invece senso inviare ai paesi poveri denaro per finanziare iniziative locali (molto meglio se per mettere questi paesi in condizione di autosostentarsi da un certo momento in poi piuttosto che fornire un aiuto a breve termine, che dev’essere costantemente ripetuto).

Lo spreco è una cosa antipatica, ma è inevitabile dove c’è benessere. I livelli di spreco sono il risultato dell’industrializzazione dell’agricoltura, che ha fortunatamente ridotto i costi di produzione, consentendo a un numero maggiore di persone di alimentarsi senza cadere in povertà.

Anche volendo vedere isolatamente lo spreco come qualcosa di fastidioso, non si può fare a meno di notare che se la popolazione aumenterà, si produrrà più cibo, quindi anche lo spreco aumenterà, secondo logiche che riguardano l’economia sia aziendale che familiare: la causa principale degli sprechi è il prezzo basso dei cibi, in particolare quelli confezionati, gran parte dei quali viene buttato via perché il costo della sua prolungata conservazione sarebbe maggiore del guadagno ricavabile dalla vendita.

Dal punto di vista economico, e talvolta anche ecologico, è meglio accettare che ogni tanto, per un errore di valutazione, capiti di buttare via del cibo rispetto a imporre una rigorosa precisione nella quantità di cibo da comprare, il che comporterebbe dover prendere più spesso l’automobile per andare a fare la spesa.

Analogamente per un supermercato rischiare di esaurire le scorte significherebbe rischiare di scontentare i propri clienti, e siccome è impossibile bilanciare con estrema precisione domanda e offerta, e fare tanti piccoli ordini sarebbe impossibile e sconveniente da un punto di vista logistico, economico e ecologico, l’azienda preferisce per sicurezza eccedere nelle quantità di alimenti ordinati al grossista, sapendo che parte di essi supereranno la data di scadenza senza essere acquistati e verranno quindi buttati via.

Il tutto non costituisce alcuno svantaggio né mancato vantaggio per i paesi poveri. Altro discorso sono le iniziative locali: ad esempio a volte i clienti di un supermercato possono mettere alcuni dei prodotti alimentari appena acquistati in un apposito contenitore situato vicino all’uscita, che serve alla raccolta di cibo destinata agli indigenti della stessa città.

Inoltre le associazioni che localmente si occupano di indigenti possono ricevere in dono dai supermercati prodotti che hanno oltrepassato la data del termine minimo di conservazione (cncetto diverso da “data di scadenza”). Tutto questo non c’entra con l’eliminazione degli sprechi a favore dei paesi del terzo mondo e tanto meno è un argomento che autorizza a sottovalutare il problema della sovrappopolazione. >>

UMANITAMTAM

(segue)

venerdì 2 luglio 2021

Dall'oro alle reliquie

Sono stati molti, e diversi tra loro, i materiali che l'umanità, nella sua storia, ha utilizzato come moneta, per favorire una migliore circolazione delle merci e delle ricchezze che venivano prodotte.

In genere, i cambiamenti si verificavano per motivi pratici, legati alla disponibilità dei materiali utilizzati, ma una delle sostituzioni più curiose avvenne con il passaggio dall'Impero Romano al Medioevo.

Ce ne parla Ugo Bardi nel testo che segue, tratto dal sito Medioevo Elettrico.

LUMEN.


<< I romani [dell'Impero] avevano soldi: li coniavano. Avevano il controllo delle più ricche miniere di metalli preziosi del mondo antico, nella regione settentrionale della Hispania. Lì, decine di migliaia di schiavi, forse centinaia di migliaia, erano impegnati (…) nel processo di frantumazione della roccia in sabbia per estrarre i minuscoli granelli d'oro e argento che conteneva.

Con l'oro e l'argento che estraevano, i romani pagavano le loro legioni. Poi, le legioni invadevano le regioni al di fuori dell'Impero e catturavano schiavi che avrebbero estratto più oro per pagare più legioni. E, finché le miniere producevano, i romani avevano oro in abbondanza, anche se molto veniva inviato in Cina e in altre regioni dell'Asia per pagare i beni di lusso che importavano e che facevano funzionare la macchina economica dell'impero. Perché esista un impero, il denaro è tutto. (…)

Poi, le cose hanno iniziato ad andare storte, come sempre succede. Per l'Impero Romano, il controllo di un territorio che si estendeva dalla Britannia alla Cappadocia richiedeva un apparato militare enormemente costoso e stava diventando sempre più difficile trovare abbastanza soldi per il compito.

Non abbiamo notizie quantitative sulla produzione delle miniere di metalli preziosi in epoca romana, ma, dai dati archeologici, sembra che l'esaurimento fosse già un problema durante i primi secoli dell'Impero. È tipico delle risorse minerari: non si esaurisce nulla all'improvviso, ma il costo dell'estrazione continua ad aumentare. (…) La discesa iniziò circa all'inizio del 2° secolo d.c.. Un secolo dopo, le miniere imperiali avevano cessato di produrre qualsiasi cosa.

Non si sarebbero mai riprese. Niente oro, niente impero. Il crollo minerario portò quasi alla fine dell'impero durante il terzo secolo. Era una serie di effetti che si rinforzavano a vicenda.

L'oro inviato in Cina non poteva essere sostituito dall'estrazione mineraria. Quindi, meno oro significava meno truppe, il che significava meno schiavi, e questo, a sua volta, significava ancora meno oro. Il risultato fu una serie di guerre civili, invasioni straniere, disordini e declino economico generale. (…)

Quando l'Impero Romano svanì, fu sostituito in Europa dall'era che chiamiamo Medioevo. Quindi, le persone si sono trovate con un grosso problema: come tenere unita la società senza i metalli preziosi necessari per coniare denaro? E, peggio ancora, senza un mercato dove quei soldi che avrebbero potuto essere spesi? Il Medioevo era un periodo di piccoli regni frammentati e villaggi sparsi, ma c'era ancora bisogno di un sistema commerciale che spostasse le merci. Ma come crearlo senza soldi in metallo?

I nostri antenati medievali hanno risolto il problema in modo creativo con un tipo di denaro completamente nuovo. Era basato sulle 'reliquie'. Sì, le ossa di santi uomini, raccolte meticolosamente, autenticate e rilasciate dall'autorità del tempo, la Chiesa cristiana. Non solo le reliquie erano rare e ricercate, ma potevano anche fornire un servizio che nemmeno l'oro romano poteva fornire quando era abbondante: la salute sotto forma di interventi divini.

Queste reliquie erano una forma di denaro virtuale ma, in fondo, tutto il denaro è virtuale. Anche una moneta d'oro promette qualcosa (ricchezza) che di per sé non può garantire a meno che non esista un mercato dove poterla spendere. E il fatto che il denaro possa essere speso dipende dal fatto che le persone credano che sia denaro "vero", un atto di fede.

Allo stesso modo, una reliquia è un oggetto virtuale che non ha valore in sé. Promette qualcosa (salute) che può arrivare se ci credi. Era, ancora una volta, un atto di fede basato sulla convinzione che i piccoli pezzi di osso che le reliquie contenevano provenissero effettivamente dal corpo di un sant'uomo del passato.

La bellezza del sistema monetario basato sulle reliquie era che le reliquie non venivano "spese" nei mercati. Potevi possedere reliquie, ma potevi concedere i loro benefici per la salute ad altri e conservarle comunque. In altre parole, potevi spendere i tuoi soldi (mangiare la tua torta) e averla ancora! Il mercato delle reliquie era gestito principalmente da istituzioni pubbliche come monasteri e chiese. Possedevano le reliquie più preziose ed erano i luoghi in cui i pellegrini accorrevano per essere guariti dalla potente aura sacra che queste reliquie emanavano.

Il sistema commerciale del Medioevo si è evoluto in gran parte attorno alle reliquie. Il viaggio è stato incoraggiato sotto forma di pellegrinaggi ai luoghi santi, e questo creava un'economia di scambio basata sulla carità. Un consumo cospicuo semplicemente non era possibile nell'economia relativamente povera del Medioevo.

Di conseguenza, la filosofia cristiana ha de-enfatizzato il consumo e ha condannato la disuguaglianza sociale. La virtù più alta per una persona medievale era quella di sbarazzarsi di tutti i suoi beni materiali e vivere un'austera vita di privazione. Certo, era più teorico che pratico, ma alcune persone lo mettevano in pratica per davvero: basti pensare a San Francesco.

Il sistema funzionò perfettamente fino a quando nuove miniere di metalli preziosi nell'Europa orientale iniziarono a funzionare nel tardo Medioevo e ciò riportò la valuta metallica in Europa. >>

UGO BARDI


venerdì 25 giugno 2021

Sovrappopolazione: domande e risposte – 3

Obiezioni e risposte sul tema della sovrappopolazione, in un testo dell'associazione Umanitamtam (terza parte). LUMEN.


<< 9) “La diminuzione della popolazione danneggerà le imprese, che avranno meno clienti. Anche se si tratta di persone sottopagate o disoccupate un minimo consumano e acquistano comunque, favorendo l’economia”

I soldi spesi dalle persone disoccupate provengono dal welfare o dai loro genitori. Nel primo caso si tratta di soldi prelevati tassando le aziende stesse (non solo quelle che vendono beni e servizi a queste persone). Nel secondo caso si tratta di soldi di cui i genitori avrebbero diritto di tenere per sé per potersi permettere, in età avanzata, una badante o una casa di riposo senza bisogno di chiedere soldi allo stato.

Se parliamo di bambini certo, questi determinano indubbiamente un indotto. Ma di nuovo, si tratta di soldi del welfare e quindi provenienti dalla tassazione se i genitori sono poveri, oppure si tratta di soldi che i genitori, se non avessero avuto figli, avrebbero comunque speso, pur diversamente, oppure soldi che avrebbero messo da parte per un bisogno futuro. Non si può sperare che una persona, bisognosa di mettere soldi da parte per il futuro, debba rinunciare a farlo per necessità di crescere dei figli.


10) “Se la popolazione decresce non ci saranno sufficienti lavoratori che pagheranno le pensioni!”

Da decine di anni è in aumento la percentuale disoccupati. Quindi far decrescere la popolazione non significa diminuire il numero di persone che in futuro lavoreranno e verseranno i contributi pensionistici. Piuttosto significa diminuire il futuro numero di disoccupati, che non verseranno alcun contributo e in più, raggiunta una certa età, riscuoteranno comunque una seppur minima pensione, e nel corso della loro vita beneficeranno di beni e servizi pagati dai contribuenti.

Inoltre, al di là della questione della disoccupazione, basare la tenuta del sistema pensionistico sua strategia secondo cui ogni fascia di età è più numerosa della precedente significa creare una spirale senza fine, come in uno schema Ponzi, rimandando la soluzione di un problema che si ripresenterebbe successivamente in scala sempre più grande.


11) “Chi si prenderà cura degli anziani? L’invecchiamento della popolazione renderà la popolazione sempre meno dinamica!”

Non ci sono prove che un paese con un’età media più elevata sia meno dinamico. I paesi più sviluppati sono quelli che generalmente hanno una popolazione più anziana. La cura degli anziani può migliorare con un’adeguata allocazione di risorse.

Pensare di poterlo fare generando più figli è totalmente irrazionale e peggiorerebbe solo le cose: i giovani di oggi saranno gli anziani di domani, che quindi a loro volta richiederanno più cure. In un contesto di disoccupazione cronica, come quello attuale, certo non manca il personale che si può prendere cura degli anziani.

12) “Dobbiamo occuparci dello sviluppo, prima!”

No. Dobbiamo occuparci dello sviluppo non prima, ma contemporaneamente. Lo sviluppo è necessario per contrastare la povertà, ma se tutti i paesi sovrappopolati del mondo avessero uno sviluppo pari a quello dei paesi benestanti (che stanno diminuendo la loro popolazione), aumenterebbero enormemente i danni ambientali.

La Cina ha un fortissimo impatto sull’ambiente perché si sta avvicinando a un livello di sviluppo nord-occidentale, e al tempo stesso ha una popolazione enorme (seppure in decrescita), tanto da portarla a cercare terre in tutto il mondo per sfamare i suoi abitanti.

Lo sviluppo di una nazione è deleterio per tutto il mondo se non è accompagnato dal rispetto dell’ambiente, che va di pari passo con la moderazione demografica. Inoltre la crescita demografica ostacola lo sviluppo, come si vede in Africa, in cui molti paesi non riescono a soddisfare le esigenze in termini di istruzione, formazione e salute, e hanno perfino difficoltà a garantire la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture minime necessarie all’economia.


13) “Ma i dati dicono che col crescere dello sviluppo diminuisce la fertilità!”

Sì, ma dicono anche che non è abbastanza. Per ridurre la fertilità è assolutamente insufficiente affidarsi al fatto che le persone dei paesi più sviluppati, e quindi più istruiti, pensano più razionalmente e pianificano la propria famiglia in base alle proprie possibilità economiche. Le campagne per l’educazione alla moderazione della fertilità, dovendo risolvere un problema urgente e che peggiora ogni giorno, devono essere condotte subito e in modo specifico.

Non si può semplicemente sperare che fra 10 o 15 anni, grazie al maggiore benessere (peraltro difficile da raggiungere per via della sovrappopolazione) aumenti la scolarità, poi di conseguenza l’elasticità mentale nelle future generazioni e sperare che poi, di conseguenza, maturi un qualche atteggiamento razionale che porti a una pianificazione responsabile. Il messaggio deve arrivare adesso, anche e soprattutto alle persone povere e poco istruite.


14) “È necessario prima affrontare il problema della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza!”

No, non è necessario farlo prima. È necessario farlo contemporaneamente. Il grande errore dei nostri tempi è proprio questo: la ridistribuzione della ricchezza, di per sé ottimo intento che darebbe maggiore stabilità delle nostre società, viene perseguita dimenticando l’opportunità di risolvere la sovrappopolazione.

È un atteggiamento problematico per due motivi:

1= la demografia responsabile è indispensabile per ottenere una più equa distribuzione della ricchezza, perché la disoccupazione generata dalla sovrappopolazione diminuisce il potere contrattuale dei lavoratori dipendenti e quindi il loro salario, e perché i genitori lasceranno in eredità una quantità minore di beni per ogni figlio quanto maggiore sarà il numero di figli;

2= se l’unico cambiamento rispetto alla situazione attuale fosse un’equa distribuzione della ricchezza, i danni ecologici si moltiplicherebbero, perché tutti avrebbero una pur modesta automobile e usufruirebbero dei vari oggetti e servizi che consumano energia, ad es. gli elettrodomestici; a livello globale il consumo di risorse aumenterebbe, perché l’impronta ecologica è principalmente legata al consumo delle classi medie. >>

UMANITAMTAM

(segue)


giovedì 17 giugno 2021

Sovrappopolazione: domande e risposte – 2

Obiezioni e risposte sul tema della sovrappopolazione, in un testo dell'associazione Umanitamtam (seconda parte).  LUMEN.


<< 5) “Il tasso di crescita della popolazione è in costante calo, presto si stabilizzerà, e non sarà più un problema.”

La sovrappopolazione e le sue problematiche conseguenze sono già una realtà. Quindi non è sufficiente che la popolazione aumenti sempre meno. È necessario non aumenti per nulla, e che anzi diminuisca.

Comunque, se proprio vogliamo parlare di velocità di crescita, possiamo fare alcune considerazioni. Prima della rivoluzione industriale in tutto il mondo c’erano alta mortalità e alta natalità, e queste erano più o meno equilibrate. Con la rivoluzione industriale nei paesi in via di sviluppo si sono abbassati mortalità e natalità: è il famoso meccanismo di transizione demografica.

Ma oggi le due cose sono assai lontane dal compensarsi a vicenda. La diminuzione della mortalità ha un effetto doppio rispetto alla riduzione della natalità, perché le persone in più che vivono raggiungono l’età fertile, e così cresce il numero assoluto di figli.

È vero che con l’avanzare della transizione demografica la popolazione cresce man mano più lentamente, come accade da 50 anni (siamo passati da una crescita del 2,1% l’anno nel periodo 1965-1970 a una crescita dell’1,1-1,2% all’anno di oggi). Ma non per questo c’è da essere ottimisti: questo calo del tasso di crescita riguarda un periodo relativamente piccolo, che ha rappresentato un’eccezione.

Per capirlo basta allargare lo sguardo e guardare il tasso annuale di crescita di 100 anni fa, che era dello 0,5%. Rispetto a questo nel 2016 il tasso di crescita annuale era doppio. Allargando ancora lo sguardo possiamo considerare che tra l’anno 1 e il 1800, quando è stato raggiunto il primo miliardo di abitanti del mondo, il tasso di crescita era inferiore allo 0,1%. E nei secoli e millenni precedenti era ancora più basso.

Al di là di tutto questo, come già detto, il dato più importante è la crescita assoluta. Il tasso dell’1,1% di oggi si applica a una popolazione che è più del doppio rispetto agli anni ‘60. Fra il 1960 e il 1970, una crescita dell’1,1% significava una crescita di 70 milioni all’anno. Una crescita dell’1,1% oggi significa un aumento di più di 80 milioni all’anno. Non bisogna farsi ingannare da numeri apparentemente piccoli: l’1,1% di crescita annuale significa un raddoppio della popolazione nell’arco di 64 anni.

Per quanto riguarda la stabilizzazione della crescita, quando avverrà? Le previsioni del passato si sono rivelate troppo ottimistiche. Nel 2000 si parlava dell’anno 2050 o poco più tardi. Oggi si stima che avverrà solo intorno all’anno 2100.

Sempre a proposito di previsioni, quale sarà la popolazione mondiale nel 2050? Nel 2009 l’ONU prevedeva 9,1 miliardi. Nel 2011 l’ONU si è corretta: 9,3 miliardi. Nel 2013, nuova correzione: 9,6 miliardi. Nel 2015, nuova correzione: 9,7 miliardi.

E nel 2100, quanti saremo? Nel 2010 le Nazioni Unite prevedevano 10,1 miliardi. Nel 2019 sempre le Nazioni Unite prevedevano 11,2 miliardi.


6) “La natura ha sempre ripristinato l’equilibrio!”

Sì, e lo ha fatto lasciando morire di fame gli animali che non avevano abbastanza cibo con cui nutrirsi o spazio da abitare. La parola “natura” evoca qualcosa di bello quando guardiamo un bel panorama o un tenero gattino, ma quando parliamo di ripristino dell’equilibrio, ricordiamoci che esso comprende la cosiddetta legge della giungla, a cui l’essere umano si è voluto comprensibilmente sottrarre per creare la civiltà.

Civiltà significa, in questo caso, fare l’opposto di quello che fa la natura, cioè evitare più possibile conflitti, sofferenza e morte precoce. Così come preferiamo usare la medicina per salvare la vita a una persona con cui la natura non è stata clemente, è bene non lasciare che sia la natura a ristabilire l’equilibrio demografico con guerre e carestie: meglio una pianificazione razionale e pacifica.


7) “La crescita demografica dei paesi del sud, attraverso la migrazione, consentirà ai paesi del nord di compensare il declino della fertilità.”

Non c’è alcun bisogno compensare il declino demografico dei paesi del nord, perché non si tratta di un male, ma di un bene: i paesi del nord sono già densamente popolati, più di quanto siano mai stati nei decenni precedenti. Uniche eccezioni sono Canada e Russia, paese, quest’ultimo, in cui comunque la disoccupazione è altissima e in cui un incremento demografico la farebbe peggiorare.

Inoltre si stima che nel 2100 il calo demografico del nord del mondo ammonterà a 100 milioni di persone, molto meno dei 3 miliardi che rappresentano la crescita dell’Africa se verrà mantenuto l’attuale ritmo.


8) “Il problema della sovrapopolazione sarà risolto da una grande guerra o da un’epidemia.”

Sarebbe decisamente immorale fare affidamento a questo tipo di soluzione, che va in direzione opposta rispetto a quanto vogliamo ottenere con la nostra campagna. L’esplosione demografica costituisce un grave fattore che facilita la competizione nell’accaparramento delle risorse e la destabilizzazione di società, e quindi guerre.

Ma il problema della sovrappopolazione dev’essere risolto con la volontà e senza sofferenza, non favorendo o auspicando catastrofi. E comunque, ad eccezione della grande peste del XIV secolo, che probabilmente eliminò fra il 5 e il 10% dell’umanità, né una guerra né un’epidemia hanno mai influenzato in modo determinante la popolazione mondiale nel corso della storia delle grandi civilità.

I periodi di guerra sono stati spesso seguiti da un aumento demografico che compensava largamente i decessi e la mancanza di nascite dovuta al conflitto. Ad es. il XX secolo ha visto contemporaneamente l’epidemia di influenza cosiddetta “spagnola”, le due guerre mondiali, e l’esplosione demografica più grande, sia in termini relativi che assoluti, con un quadruplicarsi della popolazione (+4,4 miliardi di abitanti). >>

UMANITAMTAM

(segue)

venerdì 11 giugno 2021

Sovrappopolazione: domande e risposte – 1

Molte sono le obiezioni che i natalisti ad oltranza oppongono a chi si preoccupa dellla sovrappopolazione.

L'associazione Umanitamtam ne ha individuate 31, dando a ciascuna di esse una precisa e puntuale confutazione.

Il testo – molto interessante e documentato - è stato diviso in più parti, a causa della notevole lunghezza. Buona lettura.

LUMEN.


<< 1) “La Terra è quasi vuota: molti luoghi sono deserti.”

Oggi la maggior parte dei deserti (Antartide, Groenlandia, Sahara, zone di alta montagna) non sono abitabili dagli umani.

La foresta amazzonica e alcune foreste primarie africane potrebbero essere abitabili, ma questo significherebbe disboscarle completamente e porre fine all’esistenza di tantissime specie animali.

Rimangono poi la Siberia e alcune regioni a nord del Canada, ma non ovunque, visto il clima rigido e il suolo difficile da coltivare. Queste regioni sono le uniche in cui esiste una grande quantità di fauna selvatica al di fuori dei parchi nazionali.

La Mongolia, talvolta citata, ha un clima ostile, come la punta sud dell’America. Anche l’Australia centrale è scarsamente popolata, ma è relativamente sterile.

Ricordiamoci che quando un’area è ostile, per renderla abitabile c’è bisogno di importazione di qualsiasi cosa: petrolio, cibo, acqua, con un conseguente danno ambientale ancora maggiore.


2) ”La Terra non può dirsi sovrappopolata: l’intera popolazione terrestre potrebbe essere ospitata sulla sola superficie della Francia o del Texas.”

Mettendo 7,5 miliardi in una superficie come quella della Francia o del Texas la densità di popolazione sarebbe di 10-11mila abitanti per Km quadrato, cioè la metà di quella di Parigi. C’è chi promuove la densificazione della popolazione delle città allo scopo di lasciare i restanti luoghi alla natura.

Questo ricorda il romanzo “The world inside” di Robert Silverberg, dove però la parte non urbanizzata del mondo è dedicata all’agricoltura intensiva. Ma questo non succederà mai, perché la maggior parte di persone, comprensibilmente, preferisce vivere in campagna o comunque in luoghi non affollati.

Del resto fa parte della natura umana desiderare il contatto con la natura e non solo col cemento.


3) “L’Africa è un continente sottopopolato: la sua densità di popolazione è di soli 54 abitanti per km quadrato.”

Questa considerazione è fuorviante: un terzo dell’Africa è inabitabile (deserti del Sahara, della Namibia e di alcune altre regioni), e quindi è utile considerare la densità della popolazione dell’Africa abitabile.

Ad esempio l’Egitto, considerato interamente, ha una densità di 90 abitanti per Km quadrato, ma la sua parte abitabile (le zone vicine al Nilo) ha una densità di 2000 abitanti per Km quadrato, e non a caso non è autosufficiente in termini di derrate alimentari.

Molti paesi africani sono già densamente popolati: Burundi e Ruanda hanno 450 abitanti per Km quadrato. L’Etiopia ha 100 milioni di abitanti. La Nigeria quasi 200 milioni e, secondo le proiezioni delle Nazioni Unite nel 2100 ne avrà 750 milioni, cioè 2 volte e mezzo in più degli USA, che hanno una superficie 10 volte maggiore.

La Nigeria, con 7,6 figli per ogni donna, detiene il record mondiale di fertilità. Di questo passo l’Africa, che oggi ha 1,3 miliardi di abitanti, nel 2100 ne avrà quasi il triplo, cioè 4 miliardi di abitanti, venti volte in più rispetto al 1950. Con 4 miliardi di abitanti, l’Africa abitabile avrà così 200 abitanti per Km quadrato, più dell’Asia (170 ab. per Km quadrato).

L’urbanizzazione di aree scarsamente popolate equivarrebbe a distruggere ciò che resta della natura, in particolare le foreste dell’Africa equatoriale e la grande fauna che ancora oggi il continente preserva.


4) “Il problema non è la sovrappopolazione, ma lo stile di vita. Un cittadino del Mali o dell’Etiopia rispetto a uno statunitense o un europeo inquina e consuma risorse naturali fra le 40 e le 200 volte in meno.”

Sono entrambi argomenti importanti e non c’è alcun motivo di occuparsi solo di uno solo dei due. Tanto più che fra i due quello più importante è la sovrappopolazione. Occuparsi solo dello stile di vita è sicuramente insufficiente per due motivi:

= Gli stili di vita più dispendiosi oggi riguardano solo una minoranza degli abitanti del pianeta: un solo miliardo su 8 miliardi (popolazione che la Terra avrà di questo passo nel 2025). Chiedere una frugalità generale significa chiedere a miliardi di poveri di rimanere poveri.

Se vogliamo che le popolazioni attualmente povere diventino benestanti senza aumentare l’impatto ambientale è matematicamente obbligatorio far sì che decrescano numericamente.

= I rapporti d’impatto ecologici fra terzo mondo e primo mondo sono spesso sopravalutati. Di sicuro sono sopravalutati per l’aspetto alimentare, per ovvie ragioni fisiologiche (non è che un europeo mangia 100 volte in più di un etiope).

Inoltre un confronto fra i casi estremi non serve a rendere l’idea della reale situazione: è molto più rappresentativo un confronto fra lo standard di vita del 20% più povero del pianeta con quello del 20% più ricco.

Da questo confronto emerge che i rapporti sugli impatti ecologici non sono di 1 a 40 e tanto meno di 1 a 200, ma di 1 a 5. E va considerato il clima, che nei paesi del nord genera una maggiore esigenza di energia per il riscaldamento. >>

UMANITAMTAM

(continua)

venerdì 4 giugno 2021

La distruzione creativa

Joseph Schumpeter è stato un economista mittel-europeo del primo '900.
Il suo contributo più importante alla scienza economica è il concetto di “distruzione creatrice”, che, secondo l'autore, rappresenta la molla decisiva dello sviluppo capitalistico.
Alla spiegazione ed all'analisi di questo concetto è dedicato il post di oggi, tratto dal sito di Sollevazione.
LUMEN


<< La teoria economica prima di Schumpeter descrive le economie di mercato come dei sistemi essenzialmente statici in cui le imprese producono sempre gli stessi beni ed utilizzano sempre le stesse tecnologie produttive. In questo schema, la concorrenza per la conquista di nuovi clienti si svolge essenzialmente sul fronte dei prezzi. La concorrenza è una battaglia tra imprese combattuta esclusivamente a colpi di ribassi sui prezzi.

Il mondo reale però è molto diverso da questa costruzione teorica. Nel mondo reale, osserva Schumpeter, le imprese non producono sempre gli stessi beni con tecniche immutate ma introducono di tanto in tanto nuovi prodotti, migliorano la qualità dei prodotti preesistenti, adottano nuove tecnologie produttive come pure nuovi modelli di organizzazione del lavoro. Anzi, l’introduzione di prodotti innovativi oppure di processi produttivi più efficienti rappresentano proprio gli strumenti più usati dalle imprese per farsi concorrenza.

I clienti non si conquistano solamente con prezzi più bassi ma, soprattutto, si conquistano sfornando beni più appetibili e sviluppando tecniche di vendita più sofisticate. Insomma, l’interpretazione tradizionale della concorrenza basata solo sul prezzo non rappresenta per Schumpeter una descrizione soddisfacente di quello che accade nel mondo concreto degli affari. In questo mondo, gli imprenditori non combattono solo con i prezzi ma anche con altre armi come l’innovazione ed il marketing.

Il termine solitamente usato per sintetizzare la visione del capitalismo di Schumpeter è quello di Distruzione Creatrice. Al centro di questa visione si staglia la figura dell’imprenditore. L’imprenditore è colui che rischia sia risorse proprie sia risorse prese in prestito per investire in innovazione.

L’innovazione, a sua volta, assume forme diverse. In alcuni casi, si tratta dell’introduzione di un prodotto a cui nessun altro imprenditore ha pensato prima. In altri casi, invece, consiste nell’introduzione di macchine e di tecniche produttive che abbattono i costi di produzione. Altre volte ancora, l’innovazione consiste nell’adottare nuove forme di organizzazione del lavoro che permettono di reagire con maggiore prontezza ai mutamenti del mercato.

Quando lo sforzo di innovazione è coronato da successo allora si può affermare che l’imprenditore ha modificato lo scenario economico, ha fatto sorgere un nuovo mercato oppure ha introdotto un nuovo metodo di produzione. Questo è il lato creativo dell’innovazione.

Ma se questa creazione genera profitto per chi ne è stato l’artefice, è anche vero che essa genera perdite per coloro che ne subiscono le conseguenze negative. Si tratta degli imprenditori le cui merci e tecniche sono soppiantate dai nuovi prodotti e dai nuovi metodi di produzione, le loro imprese sono destinate al declino ed alla chiusura. Questo è il lato distruttivo dell’innovazione.

Un corollario della teoria della distruzione creatrice è la critica di Schumpeter agli schemi tradizionalmente usati per giudicare se un settore sia concorrenziale o meno. In base a questi schemi, la concorrenzialità di un settore dipende esclusivamente dal numero di imprese che vi operano.

Se queste imprese sono numerose il settore è molto concorrenziale, se invece sono poco numerose il settore è poco concorrenziale. Al limite, se esiste una sola impresa, siamo agli antipodi della concorrenza dato che il settore è in monopolio.

Per Schumpeter, tuttavia, il grado di concorrenzialità di un settore non può essere identificato e misurato solo sulla base del numero di operatori. Anche un robusto monopolista, infatti, potrebbe essere destinato ad un improvviso ed imprevisto declino se un innovatore insidia la sua posizione.

In breve, Schumpeter sostiene che oltre alla concorrenza effettiva occorre anche tener conto della concorrenza potenziale da parte di nuovi soggetti che potrebbero irrompere con nuovi prodotti o con nuove tecniche.

In questo contesto, anche un’impresa che appare in una solida posizione di forza deve comportarsi come se avesse dei concorrenti e tentare di prevenire le mosse dei potenziali concorrenti futuri. Un valido metodo di prevenzione consiste proprio nell’anticipare le innovazioni altrui cosicché la spinta innovativa dei monopolisti potrebbe essere uguale se non maggiore rispetto a quella delle imprese più esposte alle pressioni competitive.

La distruzione creatrice è il meccanismo primario che governa l’evoluzione dei sistemi capitalistici. Per Schumpeter, le guerre, le rivoluzioni e, più in generale, i fattori esogeni di ordine sociale, politico, demografico etc. possono essere causa di mutamento economico. Ma si tratta comunque di fattori che hanno una rilevanza secondaria rispetto alla distruzione creatrice stimolata dalla ricerca di profitto.

E’ come se il capitalismo, per sua stessa costituzione, disponesse di un meccanismo endogeno di rinnovamento. Questo meccanismo di rinnovamento, però, non agisce con la stessa efficienza e la stessa velocità in tutti sistemi economici concreti. In alcune economie, infatti, le innovazioni vengono introdotte più velocemente mentre in altre più lentamente.

E’ pertanto compito degli economisti scoprire quali sono i fattori responsabili di queste differenti dinamiche ed, in definitiva, spiegare che cosa decreta il successo o l’insuccesso di un paese sul piano dello sviluppo economico. (...)

Per Schumpeter, sono la finanza e le banche private che svolgono un compito essenziale nel convogliare le risorse dell’economia nella direzione di investimenti destinati a produrre innovazione. Esse, infatti, da un lato consentono di mobilitare il capitale necessario per innovazioni particolarmente costose e, dall’altro, sono in grado di giudicare meglio di un qualsiasi funzionario pubblico se una certa idea imprenditoriale meriti di essere finanziata o meno.

Il tasso di sviluppo economico di un paese è dunque direttamente legato al buon funzionamento del settore finanziario e creditizio. >>

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