domenica 10 dicembre 2023

Occidente e Democrazia

Siamo talmente abituati ai vantaggi della democrazia in cui viviamo, che, talvolta, finiamo per attribuirle anche dei meriti che forse non ha.
Di questa opinione è, per esempio, Uriel Fanelli, che nel post di oggi (tratto dal suo blog) prova a ribaltare qualche luogo comune sull'argomento.
Un post molto provocatorio, ma anche molto interessante.
LUMEN


<< L’idea di democrazia che le persone hanno e’ del tutto infondata rispetto alla realta’. Nel dopoguerra, l’Europa post-coloniale ebbe un gigantesco balzo economico, che arrivo’ insieme alla imposizione da parte americana delle democrazie in Europa.

Un mondo che usciva dal colonialismo (o che ne stava ancora uscendo) era un mondo economicamente unipolare: sebbene apparentemente diviso in due poli politici e militari (USA e URSS) sul piano economico era del tutto unico. C’era un solo mercato (...), c’era un solo polo industriale e tecnologico, c’era una sola fonte di domanda.

Chiunque nel mondo avesse prodotto qualcosa aveva una sola speranza: venderla in occidente. Chiunque avesse materie prime aveva una sola speranza: venderle ad occidentali. Chiunque avesse forza lavoro aveva una sola speranza: lavorare per occidentali. Il prezzo? In condizioni di monopolio della domanda, lo faceva l’occidente.

Non solo le nazioni occidentali erano le uniche a consumare, ma eravamo anche gli unici a comprare: questo era il mondo emerso alla fine del colonialismo. Dunque, il prezzo lo facevamo noi. Le condizioni le facevamo noi.

I benefici del periodo storico sono stati confusi coi benefici della “democrazia”, al punto da pensare che la democrazia sia una specie di divinita’ capace di garantire al suo popolo la ricchezza e la prosperita’. Questa superstizione si e’ diffusa al punto che in caso di disastro economico per prima cosa il popolo chiede i soliti rituali religiosi: “elezioni, cambio di governo, dimissioni, manifestazioni,…”: si tratta del corrispondente di quello che si fa quando non piove e si fa una processione per la pioggia.

Quello che si crede [in sostanza] e’ che la democrazia sia una divinita’ che garantisce ricchezza al suo popolo: bastera’ dunque che la Dea democrazia sia felice del proprio popolo, e ci ricompensera’. Cosi’, ad ogni crisi si fanno tutti i rituali della Dea democrazia, e ci si aspetta che la Dea provveda . 
 
E se l’economia va male, per prima cosa si lamenta di non aver fatto abbastanza rituali, ovvero di non aver fatto abbastanza elezioni (o di non aver votato quello giusto), di non aver cambiato abbastanza il governo, di non aver avuto abbastanza dimissioni, di non aver manifestato abbastanza: senza queste cose la Dea democrazia e’ adirata coi suoi fedeli, e li punisce con una carestia. Amen.

Ovviamente e’ un falso. Costruire un’economia funzionante e’ una questione tecnica. C’e’ riuscito Hitler come ci sono riusciti i cinesi, per dirne una. Avere ricchezza non e’ una prerogativa delle democrazie, dal momento che i paesi che crescono maggiormente sono in gran parte delle tirannie, e se prendiamo per esempio un periodo felice dell’ Europa, come il rinascimento, di democrazie ne troviamo ben poche.

Non e’ impossibile per un governo tirannico costruire un buon sistema produttivo ed economico, e’ solo una questione di tecnica economica. La Spagna verso’ in condizioni pietose per tutto il dopoguerra, finche’ Franco chiamo’ i cosiddetti “tecnocrati” (...) i quali riuscirono a fare delle riforme tecnicamente corrette, che causarono un periodo di crescita che permise alla Spagna, finita la dittatura, di avere i requisiti per entrare nella UE e di arrivare al 79% del reddito pro-capite europeo. Eppure, il regime franchista non era certo una democrazia.

Alla democrazia, cioe’, vengono attribuiti con metodi simili alla superstizione dei risultati che sono puramente economici, indipendenti dal tipo di governo, ottenibili da qualsiasi genere di governo a patto di affidarsi a tecnici preparati.

Un altro punto e’ il mito della liberta’. Circola voce insistente sul fatto che in una democrazia la gente sia “libera”, ovvero capace di fare quello che vuole senza interferenze da parte dei governi.

Il problema a questo punto e’ che la democrazia la si confronta con i regimi del recente passato (comunismo e fascismo) ma non la si confronta con gli ultimi 2000 anni di storia. Negli ultimi 2000 anni, tranne pochissimi periodi, il cittadino qualsiasi subiva MOLTE meno interferenze da parte dello stato, rispetto ad oggi.

Non intendo scrivere cose come “poveri ma felici” perche’ i poveri sono infelici, ed e’ proprio questo il punto: prima degli ultimi 50 anni le masse stavano male per ragioni economiche, non politiche. (...)

Il cittadino di Re Luigi, in altre parole, era di gran lunga piu’ libero del cittadino francese di oggi. Se avesse avuto il tempo, l’alfabetizzazione e la scuola, non aveva leggi che regolavano [per esempio] la musica, se non il divieto di ledere sua maesta’. Ma se escludiamo questo semplice contenuto, uno solo, poteva cantare tutto il resto sulla strada.

Oggi, la legge francese obbliga una certa percentuale di canzoni francesi. Obbliga che tutti i contenuti considerati “inadatti” siano bollati secondo la classificazione ICRA. Oggi ci sono orari, luoghi deputati, eta’ ammissibili, classificazioni, iscrizioni ad associazioni, nullaosta dell’autorita’. Sei libero di fare le cose, che pero’ vengono “regolate”. Ovvero, non sei affatto libero. (...)

Il nostro cantautore francese ha i mezzi ECONOMICI per fare la sua musica. Ha i mezzi materiali per studiare musica, per comprare gli strumenti, per non ammazzarsi di lavoro sui campi. Ma questo glielo da’ l’economia, non la democrazia. I cinesi hanno ottenuto risultati economici lasciando entrare in Cina il mercato, non la liberta’.

Allora il problema vero e’: perche’ allora quando misuriamo la liberta’ delle democrazie esse appaiono piu’ “libere” degli altri sistemi di governo? E’ molto semplice: perche’ la liberta’ si misura in quantita’ di democrazia. Basta che un popolo possa partecipare ai rituali della democrazia perche’ venga definito libero.

Le misure della liberta’ dentro le democrazie sono drogate per la semplice ragione che si assume che la democrazia stessa sia una forma di liberta’. Se misuriamo la liberta’ delle democrazie e delle tirannidi semplicemente mettendo la liberta’ di voto tra le liberta’, e’ ovvio che la misura sara’ distorta a favore delle democrazie.

Inoltre, il problema delle misurazioni a questo riguardo e’ che esse misurano la liberta’ di gruppi, ma non la liberta’ del singolo cittadino. La democrazia come sistema, cioe’, non si occupa di definire le liberta’ dei singoli. La democrazia definisce SOLO liberta’ di gruppo e solo liberta’ regolate. Il “regolate” e’ il succo della trappola. (…)

Nella nostra amata democrazia, la nostra volonta’ non e’ MAI sufficiente. Non possiamo MAI fare qualcosa solo perche’ lo vogliamo, per la semplice ragione che tutto e’ “regolato”. In molti sistemi meno democratici, invece, ci sono cose che NON possiamo fare perche’ mettono a rischio il governo. Ma su tutte le altre la nostra volontà è sufficiente. >>

URIEL FANELLI

9 commenti:

  1. La democrazia non esiste. Esiste l'oligarchia, dappertutto. Nelle polis greche i cittadini che esercitavano il diritto di voto per acclamazione nell',agorà rappresentano circa l'8/10 % della popolazione....

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    1. A volte lo penso anche io.
      Dal punto di vista formale, certamente, siamo una democrazia, anche se rappresentativa, perché le elezioni sono davvero libere, tutti possono votare e ogni voto conta per uno.
      Il problema nasce dal rapporto di rappresentanza, che appare poco più che teorico.
      Eppure le alternative sembrano sempre peggiori.

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  3. In estrema sintesi:
    1) la Democrazia senza Liberalismo corrisponde alla "dittatura della maggioranza"
    2) il Liberalismo senza Democrazia corrisponde all'arbitrio dei più forti/potenti/ricchi
    3) la divisione dei poteri (esecutivo, legislativo, giudiziario) risulta fondamentale
    4) tutto il resto è autocrazia o (peggio) totalitarismo ideologico-politico-religioso.
    Saluti

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    1. Caro Claude, sulla c.d. dittatura della maggioranza si potrebbe discutere a lungo.
      Anche perché negli Stati moderni le decisioni sono talmente tante e diverse da creare spesso delle maggioranze variabili.
      Inoltre un ruolo eccessivo delle minoranze può portare a ritardi, compromessi o anche gravi inefficienze nelle decisioni da assumere.
      Qualcuno ha detto che la dote principale della democrazia liberale, a parte il ricambio pacifico dei governanti, sta nella limitata efficienza del potere politico.
      E potrebbe non avere tutti i torti.

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  4. COMMENTO di GP VALLA

    Personalmente non ricordo di aver mai sentito affermare che gli Stati avanzati (in sostanza il cosiddetto Occidente) siano tali perché democratici; del resto è ovvio che sia un governo democratico, sia uno autoritario possono seguire politiche economiche efficaci, così come il contrario (sul punto concordo con Fanelli).
    Lo scrittore sembra invece capire poco del funzionamento della democrazia: le elezioni non sono un rito propiziatorio vodù, ma il metodo ed il meccanismo con cui cambiare una maggioranza, e quindi una politica economica che si sia rivelata inefficace. Con i regimi dittatoriali la faccenda è più complicata...
    Semmai mi pare che sia quello di Fanelli una sorta di pensiero magico: l'economia è una materia esoterica, da riservare agli iniziati, o meglio agli "Esperti", ai druidi, agli sciamani, che soli conoscono la formula magica inaccessibile ai profani. Meglio non disturbare il manovratore e non far votare la plebaglia.
    Ma se si esclude l'economia, a che proposito dovrebbero votare i cittadini? L'economia è tutto e sono le scelte economiche dei governi che determinano la vita concreta delle persone.
    LE scelte: Fanelli sembra non capire che non esiste MAI un'unica scelta "giusta", in possesso degli esperti di cui sopra: ne esistono tante, che impattano diversamente sulle varie classi sociali e sui loro differenti interessi.
    Introdurre una tassa sui grandi patrimoni è ben diverso dall'aggravare le imposte sui beni di largo consumo; detassare le imprese per limitare le conseguenze di una spinta inflazionistica non è come istituire la scala mobile per stipendi e salari; privatizzare un servizio pubblico in monopolio è un affare per gli acquirenti, spesso è un dramma per gli utenti.
    In realtà ogni qual volta l'economia è stata affidata agli "esperti" - sia quelli nazionali, da Ciampi a Monti a Draghi, sia quelli internazionali di FMI, Banca Mondiale, BCE e UE, la formula magica è sempre stata la medesima ("there is not alternative", TINA, come diceva la Thatcher): tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni, compressione dei diritti dei lavoratori, pieni poteri al mercato, anzi a "I Mercati" : onnipotenti, onniscenti, divini e provvidenziali (per chi li controlla e manovra).
    È il Washington consensus, la teologia economica che da circa mezzo secolo ispira l'azione dei governi, domina negli organismi internazionali e viene imposta nelle Università, l'ortodossia di von Hayek e Milton Friedman.
    Naturalmente non c'è nulla di scientifico, di verificato o verificabile nei presupposti e nel contenuto: è pura ideologia al servizio degli interessi delle oligarchie. Non è un caso che la sua prima applicazione su vasta scala sia avvenuta da parte dei Chicago boys nel Cile di Pinochet.
    Una volta si chiamava lotta di classe, la lotta dei ricchi, e soprattutto dei super ricchi) contro tutti gli altri; e l'hanno vinta.

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    1. Caro Beppe, non credo che le scelte economiche dei governi siano l'unica cosa che conta nella vita delle persone.
      Sono importanti, certo, perchè determinano la quantità di beni disponibili e l'accesso al loro consumo.
      Ma in una società complessa come la nostra molte altre norme, di carattere unicamente morale o sociale, sono considerate importanti dalla popolazione.
      Basta vedere quanto si sono sempre accapigliati i diversi partiti sui temi più sensibili quali l'aborto, il divorzio, il fine vita, l'identità sessuale, la legittima difesa, ecc.
      Non si tratta solo di strumenti di 'distrazione di massa' (anche se a volte è così), ma di temi sentiti profondamente dalla gente, che su di essi si divide ed è pronta a mobilitarsi.

      Quanto ai governi tecnici (nel senso economico del temine) è ovvio che facciano gli interessi delle elites.
      Li hanno messi lì apposta e, se esuliamo dal giudizio morale, bisogna ammettere che sono bravi, competenti ed efficienti (ovviamente per i loro obbiettivi).

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  5. COMMENTO di GP VALLA

    Mi pare inevitabile che, più una società è ampia e complessa, maggiore sia la normativa che la disciplina.
    Quanto al buon vecchio Ancien Régime:
    Inquisizione cattolica e protestante, Indice dei libri proibiti, controllo pervasivo del clero (di tutte le confessioni), caccia alle streghe, servitù della gleba, Jan Hus, Giordano Bruno, Michele Serveto (ex multis, ahimè), "cuius regio eius et religio", plebei "taillables et corvéables à merci", corporazioni...
    Del resto non è necessario ritornare all'Ancien Régime: anche oggi nulla importa al Potere di ciò che pensa o dice un sottoproletario.

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    1. << anche oggi nulla importa al Potere di ciò che pensa o dice un sottoproletario. >>

      Sì e no.
      I sottoproletari, se arrabbiati oltre un certo limite, possono anche creare scompiglio, distruggere qualcosa e mettere in pericolo la pace sociale, tanto necessaria per gli interessi delle elites.
      Pertanto, il loro pensiero viene in qualche modo monitorato, in modo da intervenire (per il minimo indispensabile) quando necessario.

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