mercoledì 27 maggio 2020

L'elitismo nella pratica

Tutte le forme di governo che si sono succedute nella storia della civiltà hanno avuto le loro elités, chiamate con nomi diversi, ma sempre destinate a guidare la società nel loro principale interesse.
Anche le democrazie moderne, quindi, nonostante le differenze formali ed i pregi indiscutibili, finiscono per condividere la stessa sorte.
Ma come funziona, come viene strutturata nella pratica, una società elitaria di tipo democratico ? Ce ne parla Marco Pierfranceschi in questo interessantissimo post, tratto dal suo blog.
LUMEN


<< Col termine Democrazia si indica una forma di governo in cui il potere non è in mano ad una o più figure autoritarie, ma al popolo stesso. La maniera in cui questo potere viene esercitato è per solito in forma rappresentativa: il popolo viene periodicamente chiamato ad esprimersi attraverso il voto e ad eleggere i propri rappresentanti, ai quali viene affidato il governo della nazione.

Di norma, in un sistema di governo democratico vengono identificati tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario, che devono essere esercitati da entità separate e distinte. (…) [Ma] l’accumulo di ricchezza da parte di imprese private rappresenta una sorta di quarto potere, in grado di influenzare da un lato l’opinione pubblica, dall’altro l’operato dei rappresentanti eletti, e in ultima istanza l’efficacia dei poteri collegati.

Per quanto concerne l’influenza sull’opinione pubblica va rilevato che il potere economico controlla, in maniera diretta ed indiretta, gli strumenti di comunicazione di massa. In maniera diretta attraverso il possesso della proprietà, o di quote azionarie, in maniera indiretta per mezzo della pubblicità e dell’investimento nella realizzazione di prodotti di intrattenimento.

Ad esclusione della televisione di stato, i mass media sono essi stessi imprese commerciali, spesso di proprietà di altre imprese. Nel caso della proprietà diretta è evidente che un giornale, posseduto da un’impresa di costruzioni edili, o da un fabbricante di autoveicoli, tenderà a fornire una visione dei fatti perlomeno orientata agli interessi dei propri proprietari (l’indipendenza dei singoli giornalisti non può travalicare le scelte editoriali).

Meno evidente, ma altrettanto concreto, è che gli introiti della stampa ‘indipendente’ (ma il discorso vale per i media in generale) derivino dalla concessione di spazi pubblicitari, mentre il ricavato della vendita delle copie in edicola non basta più nemmeno a coprire i costi di stampa e distribuzione. In un quadro del genere, qualsiasi testata si guarderà bene dal pubblicare contenuti che la sua primaria fonte di sostentamento, gli acquirenti degli spazi pubblicitari, possa ritenere sgraditi.

Questa forma di controllo economico, diretto ed indiretto, ha come ultimo esito una narrazione pubblica totalmente appiattita sui desiderata delle imprese e del mondo finanziario in generale, che a sua volta si riflette in un significativo appiattimento del dibattito pubblico per quanto riguarda i temi micro e macro-economici, ed in un’enfasi del tutto ingiustificata su questioni sostanzialmente secondarie come le identità etniche, politiche o religiose.

L’ultimo tassello del controllo dell’economia sulla comunicazione è rappresentato dai prodotti di intrattenimento e dei circuiti di distribuzione ad essi collegati, solitamente imprese commerciali essi stessi. Il progetto di un film o di una serie televisiva deve individuare dei finanziatori prima di poter partire, andrà a cercarli tra chi dispone delle maggiori quantità di denaro da investire e difficilmente ne troverà se proporrà temi sgraditi agli investitori. (...)

L’esito di questo controllo, diretto ed indiretto, sui mezzi di informazione ed intrattenimento è la diffusione di un ‘pensiero unico’ sui temi economici e sociali; un controllo non dissimile da quanto messo in atto nei sistemi dittatoriali ma molto più sottile, capillare, pervasivo ed in ultima istanza accettabile dalla popolazione. Quello che ha conferito ai mass media la definizione, ironica ma calzante, di “armi di distrazione di massa”.

Da quanto esposto fin qui si individua una prima forma di invadenza del sistema economico nei meccanismi democratici, sotto forma di un orientamento diffuso delle opinioni dei cittadini, che poi troverà espressione nel momento del voto. Ma l’invadenza non si ferma qui.

Ricordiamo che le imprese, al di là dell’avidità di chi le gestisce, si fanno bandiera di una sorta di ‘obbligo morale’ nel produrre ricchezza per sé e per i propri investitori. Ne consegue la necessità, riconosciuta e pubblicamente accettata, di intervenire per orientare a proprio vantaggio le decisioni dei poteri democratici: legislativo, esecutivo e giudiziario.

Da questo punto di vista, il soggetto speculare ai produttori e distributori di contenuti culturali, nell’ambito politico, sono i partiti. Al pari delle grandi testate giornalistiche, i partiti sono in parte espressione diretta di interessi economici (al punto da non doverlo neanche nascondere… Forza Italia di Berlusconi docet), in parte soggetti sedicenti ‘indipendenti’, sorretti da sistemi di finanziamento raramente trasparenti.

La pressione dei potentati economici sulle decisioni delle linee politiche da promuovere si esprime, quindi, anche indipendentemente dai meccanismi corruttivi tradizionali, mentre il caso estremo di invadenza agisce per mezzo di trasferimenti di denaro, a singoli uomini politici o figure tecniche in ruoli di grande responsabilità, effettuati in totale segretezza grazie ai paradisi fiscali. Il trait d’union formale tra mondo economico e mondo politico è rappresentato dai cosiddetti lobbisti, che hanno il ruolo di mediare tra gli interessi delle imprese e quelli della classe politica.

Il controllo dei potentati economici sui partiti si riflette nell’emanazione di leggi che favoriscono interi comparti, quando non singole imprese, e nelle scelte di destinazione di fondi pubblici (ad esempio quelli destinati all’estensione e manutenzione della rete stradale, che favorisce il comparto del trasporto e della mobilità privata ai danni delle reti su ferro e del trasporto pubblico).

Per inciso, non è strettamente necessario che le leggi approvate siano esplicitamente a favore di determinati interessi economici. È infatti sufficiente che tali leggi siano confuse, inapplicabili, farraginose e prive di decreti apllicativi perché portino acqua al mulino di chi ha investito per renderle inefficaci.

Così come non è strettamente necessario che i poteri economici siano legali perché possano prodursi i meccanismi sovra descritti: sistemi economici criminali come quelli legati al narcotraffico, che ha una rilevanza significativa su PIL nazionale, hanno anch’essi canali di accesso ai piani alti della politica. Pecunia non olet, dicevano i latini.

Quali sono le conseguenze ultime di questo quadro? Da diverso tempo una delle mie citazioni preferite è la frase di Mark Twain: “se votare servisse a qualcosa, non ce lo lascerebbero fare”. Più vado avanti ad analizzare i meccanismi sottesi all’esercizio di governo democratico, ed alla loro sostanziale corruttibilità, più mi convinco della veridicità di tale assunto.

Possiamo attenderci, ad esempio, che le esigenze di salute pubblica vengano poste in secondo piano rispetto alla redditività delle imprese. In Italia abbiamo innumerevoli esempi, dall’inquinamento diffuso nelle aree più ‘produttive’ (…), fino all’onnipresente invadenza del trasporto privato causata da scelte urbanistiche e trasportistiche scellerate, con tutto il suo portato di morti e feriti.

Possiamo attenderci che le misure di contrasto al crimine organizzato siano poche ed inefficienti, ed è facilmente verificabile come anche questa situazione si verifichi con frequenza. Possiamo attenderci che la certezza della pena sia messa in discussione da una legislazione eccessivamente garantista, e che l’efficacia degli iter processuali sia minata da una quantità di problemi, lungaggini e questioni tecniche derivanti da norme inutilmente complesse e disfunzionali.

Possiamo attenderci un teatrino della politica in cui i partiti ‘di destra’ promulgano impunemente politiche a favore dei grandi gruppi industriali, mentre i partiti sedicenti ‘di sinistra’ mettono in atto anch’essi politiche di destra anteponendo l’interesse dei grandi gruppi privati a quello pubblico, al più mascherandole da misure necessarie o scegliendo di rinunciarvi e perdere la successiva tornata elettorale per fare in modo che le stesse scelte politiche possano essere portate avanti dai loro teorici oppositori.

Il trucco sta nel mantenere l’apparenza di un sistema democratico, quando sono invece grandi imprese e gruppi finanziari a controllare quello che pensiamo, attraverso i mass media, e quello che decidono di fare i rappresentanti che eleggiamo, attraverso i partiti. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

9 commenti:

  1. Vorrei aggiungere due considerazioni a proposito di queste famose elitès.

    La prima è che la loro attività non è sempre inutile o dannose, perchè, con i suoi investimenti su vasta scala, può apportare ricchezza e benessere a tutta la nazione.

    La seconda è che questa utilità è strettamente collegata alla loro nazionalità.
    Quando la Fiat - per fare un esempio - era davvero italiana, i loro guadagni portavano ricchezza un po’ a tutta l’Italia.
    Ora che sono diventati una multinazionale, invece, ecco che l’economia italiana rischia di prendersi gli ‘incommoda’ senza avere i ‘commoda’.

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  2. COMMENTO DI SERGIO (inserito da me per motivi tecnici)

    Siccome io delle élites non so niente, non ho letto i classici
    sull’argomento, non sono in grado di commentare questo
    articolo. Vedo però che alcuni, anzi non pochi - per es.
    il prode Lorenzo - sanno tutto o molto sulle élites e vorrebbero
    aprirci gli occhi sull’argomento. Che ignorante e scemo
    che sono: ignoro atti e misfatti delle élites che condizionano
    la vita dell’umanità e anche la mia in particolare.
    Accidenti, sono rovinato. Che una delle infamie delle
    élite non sia proprio quella di far credere che le élites
    non esistono? Un po’ come quel furbacchione del
    diavolo che tenta i mortali suggerendo loro che
    il diavolo non esiste - per poterli poi far cadere
    più facilmente in tentazione? Così ci raccontavano
    le suore in collegio.
    Ma esistono o non esistono le élites? Ma che domanda,
    sei proprio scemo! Vabbè, istruitemi, fatemi capire.
    Vagamente lo sospettavo perché un intellettuale
    come Ortega y Gasset - che ho scelto per mio maestro -
    sosteneva che ci saranno sempre le élites, il
    popolo non essendo in grado di capire e autogovernarsi.
    Mah, sì, probabile, basta vedere la sua passione
    per il calcio e altre sciocchezze con cui le élites
    lo distraggono, le “armi di distrazione di massa”
    (buona questa definizione, raffinate le élites).

    Dalla mia modestissima esperienza di vittima delle
    élites posso però umilmente affermare che in
    natura esistono davvero delle differenze fra
    gli individui, addirittura fra tutti gli esseri viventi.
    Differenze di prestanza fisica, d’intelligenza.
    Donde il formarsi di “gerarchie” tutt’altro che
    abominevoli. Alcuni individui s’impongono
    per chiare virtù e capacità e sono davvero
    in grado di guidare gli altri, non per biechi
    interessi personali ma nell’interesse di tutti
    (quello che oggi si usa chiamare “bene comune”).
    Dunque ben vengano “élites illuminate”?
    Direi che la questione è aperta.
    Forse io sono un pidocchio, un niente assoluto
    per le élites (illuminate o criminali).

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    1. Caro Sergio, l'esistenza delle elites nelle società umane è un fatto abbastanza pacifico e riconosciuto da tutti gli storici ed i sociologi.

      Quello che invece è meno noto, e quindi fonte di accese discussioni, è il loro impatto effettivo sulla vita delle loro società.
      Alcuni sostengono che le elites si limitano a godersi la vita, sfruttando il loro potere e la loro ricchezza, mentre altri, all'opposto, affermano che, pur restando dietro le quinte, tirano le fila di tutti gli eventi significativi che avvengono in quella società.
      Poi ci sono le varie posizioni intermedie.

      Quindi c'è posto per tutti, anche per il tuo ironico scetticismo.
      Ma se guardi bene, quasi tutte le opere più grandi della letteratura mondiale, lasciano trapelare chiaramente l'esistenza di queste strutture apicali. Non si scappa.

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  3. COMMENTO DI SERGIO


    Caro Lumen,
    vediamo di intenderci un po’. Tra due persone
    che si stimano e che possono ragionare
    pacatamente anche quando non sono d’accordo
    (capita ogni tanto, non siamo due cloni)
    non solo non è impossibile,
    ma nemmeno troppo difficile.

    Nel mio commento sopra ho fatto dell’ironia,
    ma riconoscendo o meglio constatando che
    in natura si formano delle gerarchie
    a tutti i livelli ho ammesso
    implicitamente anche l’esistenza di elite -
    che però non conosco, o solo per sentito
    dire. Immagina un attimo che cosa mi
    risponderebbe quel tale di nostra conoscenza!
    Forse: non devi conoscere i burattinai
    personalmente, ti basta - dovrebbe bastarti,
    ma purtroppo ti hanno fatto il lavaggio
    del cervello e sei per sempre perduto -
    vedere gli effetti devastanti ed evidenti
    del loro operare, per esempio l’ingegneria
    sociale a cui siamo tutti sottoposti.
    Ci vogliono far credere che uno vale
    uno - un imbecille vale un fisico nucleare
    in democrazia -, che bisogna includere
    tutti (in televisione è un bombardamento
    continuo di individui non proprio normali,
    ma che “arricchiscono” l’umanità con
    la loro diversità), addirittura che uomo
    e donna pari sono, che bisogna abolire
    persino i sessi. Le donne presto si
    scocceranno di gravidanze e figli,
    molto meglio il Mondo Nuovo di Huxley.

    Ma torniamo alle elite. Ci sono, ci devono
    essere, è l’evidenza stessa addirittura
    (ma non si vedono, sono defilate, agiscono
    nell’ombra).
    Ma ce ne sarebbero di due tipi come scrivi tu.
    Il primo si gode la vita tra agi e ricchezze
    senza infierire sull’umanità, ma ovviamente
    cercando di conservare agi e ricchezze.
    Il secondo tipo sarebbe invece quello
    che si diverte a tormentare gli altri
    esseri umani, addirittura a volere modificare
    la natura umana (né uomo né donna,
    tutti uguali, reddito di cittadinanza universale,
    figli in provetta ecc. ecc.).
    Insomma, dei veri e propri criminali che
    non possiamo tollerare solo perché ci
    danno delle elemosine, ci garantiscono
    il minimo vitale (e nemmeno quello a volte).

    Ma mentre tu sembri accettare questo
    stato perché ineliminabile, il Nostro non ci
    sta e chiama alla resistenza - beccandosi
    le tue ironie: quale resistenza, questi in
    quattro e quattr’otto ti fanno fuori se
    attenti seriamente ai loro privilegi (i
    furbacchioni creano persino gli antisistema
    come il Nostro per far credere che
    il dissenso non è solo tollerato, ma persino
    promosso - siamo in democrazia), ma
    al momento giusto schiacceranno dissenso
    e dissidenti.

    Ma allora? “Io speriamo che me la cavo”,
    si salvi chi può, “nun fa’ l’eroe”, pensa
    alla pellaccia? O invece: “fatti non fummo
    a viver come bruti, ma per seguir virtute
    e canoscenza”.

    Io sto almeno un po’ dalla parte del Nostro,
    non mi rassegno. Con tutto che mi hanno
    fatto il lavaggio del cervello (pensa un po’:
    suore, salesiani, clero vario, studi universitari
    inutili - l’università di massa come intrattenimento,
    parcheggio per futuri disoccupati in attesa
    di ripresa economica ecc. ecc.)

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    1. Caro Sergio,
      la mia posizione sulla natura delle elites è sostanzialmente intermedia, nel senso che aderisco alla tesi delle c.d. elites opportunistiche.
      Le quali, pur avendo come (ovvio) scopo fondamentale quello di mantenere il proprio status, non si lanciano in imprese complicate e costosissime per plasmare una nuova umanità a sè congeniale, ma si limitano a captare il vento delle nuove tendenze, che spontaneamente si verificano, e piegarle ai propri fini.
      Quindi, per fare un esempio pratico, non hanno provocato le migrazioni di massa, ma le stanno gestendo; non hanno voluto l'Europa Unita, ma hanno guidato il suo processo di sviluppo; non hanno provocato il corona-virus, ma lo stanno cavalcando. E così via.

      Tu però hai fatto una domanda molto specifica, che solleva un problema fondamentale: una volta appurato questo, cosa può fare in concreto la gente comune per non soccombere ?
      La mia risposta non ti piacerà, ma te la dò lo stesso: assolutamente nulla.
      Una volta acquista la consapevolezza di come gira il mondo, le persone comuni hanno raggiunto il massimo obbiettivo possibile, che consente loro (e non è poco) di evitare i danni peggiori o, quanto meno, la presa per i fondelli.
      Le rivoluzioni servono solo a sostituire una elite con un'altra e quindi preferisco lasciarle ai 'mai cresciuti'.

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  4. COMMENTO DI SERGIO

    Finalmente ho capito: più chiaro di così ... Ma come dici tu stesso la tua risposta o precisazione non mi piace (molto). Che aver capito come gira il mondo sia il massimo per la gente comune perché può poi evitare o cercare di evitare danni peggiori mi sembra una ... resa, anzi codardia, anzi cosa indegna. A che pro allora informarsi, istruirsi, lottare - se restiamo sempre in serie B o C ? Meglio morti che rossi, dicevano una volta i conservatori o reazionari di un tempo. Si può osservare: che stupidi, sicuramente meglio rossi e vivi, si può sempre sperare di poter cambiare il colore. Se invece sei morto (hai fatto l'eroe) che te ne viene? Mah, l'hai fatto per i figli, per l'umanità, per l'ideale. E lo dico senza sentirmi la stoffa dell'eroe.
    Arrivati a un certo grado di consapevolezza - forse casuale - non credo che si possano accettare passivamente prevaricazioni, ingiustizie, torti. L'italiano medio dice: ma chi te lo fa fare (d'inguaiarti per niente)? Be', proprio per niente non dire, per non farsi schifo guardandosi allo specchio. Ma certo, primum vivere ecc.

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    1. Caro Sergio, per fortuna non siamo tutti uguali a questo mondo.
      C'è chi è convinto che si debbano combattere tutte le battaglie che si ritengono giuste, anche quelle senza speranza.
      E c'è chi, invece, ritiene che si debbano combattere solo le battaglie che si possono vincere (il che non vuol dire vincerle tutte, ma solo partire da una buona probabilità).
      Io, ovviamente, appartengo alla seconda categoria, ma forse c'entra anche la mia innata pigrizia (perchè combattere inutilmente ?).

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  5. Personalmente apprezzo non poco la lucida argomentazione di Pierfranceschi che procede per paradossi (la democrazia come paravento). Mi viene in mente che molte volte nella storia la parola "democrazia" è stata utilizzata in questo modo, penso al Comitato di Salute Pubblica durante la rivoluzione francese o più in generale all'uso dello strumento plebiscitario per dare voce al popolo.

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    1. Caro Agostino, in effettin il termine democrazia si presta ad interpretazioni molto ampie e diverse, a partire da quella, fondamentale per i costituzionalisti, tra democrazia diretta (quella delle polis greche) e democrazia rappresentativa (quella delle nazioni moderne).

      Secondo me, quella in cui vivamo oggi in occidente può essere definita come una semplice "democrazia elettorale", in cui il popolo è libero di votare (periodicamente) per il partito che preferisce, e basta.
      Che detenga il potere, invece, anche solo in forma rappresentativa, non credo proprio che lo si possa dire.

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