mercoledì 18 aprile 2018

Il mito del Risorgimento

Torno a parlare del "mito" del Risorgimento e dell’Unità d’Italia, con le sue luci e le sue ombre, attraverso gli occhi disincantati di un eccellente storico-saggista come Giordano Bruno Guerri (dal libro “Il sangue del Sud”). Lumen  


<< Ciò che accadde nel 1861 realizzava il sogno secolare di poeti, politici e intellettuali. L'Italia «una d'arme, di lingua, d'altare, di memorie, di sangue e di cor», invocata da Alessandro Manzoni, non era più un'astrazione. (…)
 
Realizzata dalla classe dirigente piemontese grazie soprattutto all'abilità diplomatica di Cavour e al temperamento incendiario di Garibaldi, l'Unità integrava davvero identità, culture, tradizioni, persino lingue diverse? Oppure si raggiungeva soltanto l'unità politica?
 
«Si è fatta l'Italia, ma non si fanno gli Italiani», recitava la celebre sentenza di Massimo d'Azeglio, con retorica sufficiente a velare un'intenzione che non c'era - almeno non in tutta la classe dirigente - e non ci sarebbe stata. (…)
 
[Si tratta] di una classe dirigente a cui dobbiamo riconoscere i meriti storici di avere realizzato un processo unitario non più rinviabile. Allo stesso tempo, i padri della patria devono essere giudicati anche sui piedistalli dove, intangibili, li ha collocati la retorica di un Risorgimento popolato solo da piccole vedette lombarde, tamburini sardi e giganti del patriottismo. (…)
 
Il primo guasto del Risorgimento nasce dal distacco tra la classe dirigente e quello che oggi chiameremmo il «paese reale», ovvero il popolo. La moltitudine degli italiani era indifferente all'Italia e chiedeva soltanto un'esistenza più umana. Le esigenze, le aspirazioni dei poveri e quelle degli idealisti non avevano niente in comune.
 
I moti della prima metà dell'Ottocento non furono - a differenza di quelli francesi - il frutto dell'incontro di un'élite con il popolo. La gente chiedeva pane, mentre gli intellettuali volevano la Costituzione, ritenuta un balsamo per ogni male. Invece occorreva prima risolvere il problema del «popolo italiano».
 
Era l'idea fissa di Giuseppe Mazzini, che proprio per questo, a cose fatte, sarebbe diventato l'«apostolo» del Risorgimento. I tentativi precedenti erano falliti – Mazzini era categorico - per colpa delle aristocrazie intellettuali, che non avevano coinvolto gli italiani, aspettando dall'estero il segnale della rivolta. La rivoluzione doveva invece nascere dal popolo, agognato protagonista della storia nazionale.
 
Mazzini, inoltre, opponeva la soluzione di un unico Stato, dalle Alpi alla Sicilia, al federalismo di Melchiorre Gioia e di Carlo Cattaneo, che tenevano conto della storica divisione degli italiani.
 
Gli intellettuali erano pronti a battersi per l'indipendenza e l'unità, senza capire che, al Nord come al Sud, l'unico elemento comune era la povertà. Sul popolo non si poteva contare finché non si fosse affrontato il nodo della miseria e dell'arretratezza. Per dirla con un'espressione oggi abusata, ci si doveva occupare della «questione sociale».
 
Neppure i più progressisti, rivoluzionari e repubblicani, vollero accorgersi che il popolo era affamato. Mazzini, per esempio, viveva all'estero grazie alla filantropica cortesia di aristocratici e mecenati, per lui era facile parlare del popolo: lo conosceva pochissimo e conosceva ancora meno i suoi problemi.
 
Proprio Mazzini commetteva un errore forse più grave illudendosi che la «questione sociale» si sarebbe risolta, presto e bene, una volta liquidata la «questione nazionale». La nazione non era, come gli sembrava, un rimedio miracoloso che avrebbe reso più sopportabili sofferenze e privazioni.
 
Un altro motivo, non meno importante, gli impedì di conquistare consensi e risultati: la sua visione laica dello Stato, la sua aperta opposizione al potere temporale del papa.
 
Per la maggior parte degli italiani era un tabù: potevano immaginare un'Italia libera dagli stranieri, potevano spingersi anche a pensarla unita, ma non avrebbero mai potuto immaginarla orfana del potere del papa.
 
Era un'idea che ripugnava al popolo, alla sua psicologia e al suo narcisismo: perché, nel bene come nel male, la presenza sulla Penisola del papa - e del suo potere - aveva sempre reso gli italiani diversi dagli altri, unici nel mondo intero.
 
Dopo i primi eccessi antireligiosi, la Rivoluzione francese aveva posto le basi dei moderni rapporti fra Stato e Chiesa, ovvero la libertà di culto. In Francia e nei Paesi conquistati furono però presi pure provvedimenti radicali, come la possibilità per i sacerdoti di sposarsi, la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici, il divorzio e il diritto di scelta, da parte dei fedeli, di parroci e vescovi.

La Chiesa rigettò in blocco le novità, sostenuta dalla maggioranza degli italiani: l'unica speranza del popolo era il premio che avrebbe avuto dopo la morte.

Quando, nel 1796, il ministro degli Esteri francese chiese ai suoi inviati nella Penisola un parere sulla possibilità di creare una repubblica italiana, gli venne risposto unanimemente che «gli italiani non erano maturi per la libertà, perché corrotti dalla superstizione religiosa e dalla servitù politica». >>

 GIORDANO BRUNO GUERRI

24 commenti:

  1. A dir la verità la famosa frase di d'Azeglio suona così:
    "«Abbiamo fatto l'Italia. Ora si tratta di fare gli italiani». C'era dunque la volontà di farli questi italiani.

    Comunque se non altro oggi la superstizione religiosa è praticamente scomparsa. O forse ne è nata un'altra di superstizione, la religione dei consumi e delle aspettative crescenti: tutto e subito, altro che aspettare la vita eterna. Ha cambiato pelle pure la Chiesa nel tentativo di resistere alla miscredenza dilagante, adesso vanno bene anche Lutero e Maometto e Brunetto Latini.

    Per Guido Ceronetti Mazzini era un criminale, un pazzo. Ma davvero conosceva così poco gli italiani? Possibile, il solito intellettuale dei miei stivali, altro che "Giovine Italia", "Giovine Europa", "I doveri dell'uomo" ecc. Era pure acceso anticlericale (perciò gli piaceva Gioachino Belli - che però ahimè aveva paura dell'inferno e finì bigotto dopo quella straordinaria "commedia umana" che aveva rappresentato descrivendo la plebe romana).

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    1. Lumen ha pietosamente omesso il resto, espresso in forma privata, e riportato nella stessa fonte:

      "Lo stesso d'Azeglio scrisse, in una
      lettera privata: «La fusione coi Napoletani mi fa paura; è come mettersi a letto con un vaiuoloso».

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    2. E' vero: l'ho omessa perchè mi sembrava inutilmente offensiva.
      Però, in effetti, la ricerca storica è fatta anche di queste cose.

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    3. Inutilmente offensiva per la nostra sensibilita', ma evidentemente non per quella di D'Azeglio, il che serve molto per capire la sua personalita' e il contesto in cui pensava e viveva. Analogamente, Cavour, come il resto della classe nobiliare piemontese, era di un razzismo classista addirittura iperbolico e per noi inimmaginabile, considerava poco piu' (o forse poco meno) che un animale chiunque non appartenesse alla cerchia della sua classe nobiliare.

      Questa e' la feccia che ha fatto, nella pratica, l'italia, e questo e' il peccato originale che non si cancella.

      Aneddoto (purtroppo reale): i tedeschi che rimorchiarono un sottomarino italiano in avaria durante la seconda guerra, si stupirono che, pur nello spazio ridottissimo di un sottomarino, gli italiani separassero rigidamente la mensa degli ufficiali da quella dei marinai.

      Quando ero piccolo, mi madre che ha combattuto in guerra, mi racconto' che nelle mense americane, incfredibile, i generali mangiavano assieme ai soldati! Quando feci io il servizio militare 40 anni dopo, in tempo di pace a differenza di mia madre che alla fine della guerra si becco' anche una condanna a morte dai fascisti (come Montanelli), gli ufficiali erano serviti in guanti bianchi, mentre la truppa se non era costretta a mangiare per terra con le mani, come i cani, poco ci mancava. Mi sono bastate due settimane nell'esercito italiano per capire come mai nelle ultime due guerre i nostri soldati preferissero sparare ai propri ufficiali che ai nemici.

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  2. << C'era dunque la volontà di farli questi italiani. >>

    Caro Sergio, sono convinto anch'io che la buona intenzione ci fosse, ma a quei tempi metterla in pratica era un'impresa difficilissima, quasi disperata, anche a metterci tutto l'impegno e la buona volontà.
    Pare invece che i metodi utilizzati dall'ex Regno Sabaudo fossero, in concreto, abbastanza discutibili.
    Ci fosse stata la società dei consumi di oggi, o anche solo la televisione, sarebbe stato tutto più semplice...

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  3. Avevano ragione i sostenitori della prospettiva federalista e laico-illuminista (Cattaneo e pochi altri); invece sfortunatamente prevalse (e sotto molti aspetti continua a prevalere) l'approccio idealistico-romantico ("calato dall'alto", centralista e mistico-retorico), che saltava a piè pari le rilevanti differenze economico-politiche e socio-culturali oggettivamente esistenti tra i vari Stati e Staterelli della Penisola, con le pesanti conseguenze tuttora ben visibili...

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    1. << Avevano ragione i sostenitori della prospettiva federalista >>

      Sono d'accordo con te.
      Purtroppo nella storia certi treni passano una volta sola, e li devi prendere così come sono.
      E' possibile (o addirittura probabile) che se non si fosse fatta l'unità d'Italia per tramite dell'espansionismo sabaudo, la cosa avrebbe anche potuto non succedere mai.
      E' il fascino (ed il divertimento) della c.d. fanta-storia.

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    2. Breve Addendum:

      Forse, in tempi di 'sovranismi' e populismi vari (nuovamente) trionfanti, vale la pena di ricordare che lo Stato nazionale ottocentesco NON è un Assoluto metafisico extratemporale cui sacrificare tutto quanto il resto, bensì una costruzione storica e (dunque) revisionabile/modificabile qualora il contesto locale-regionale opp. quello continentale e globale lo rendano opportuno, necessario o "semplicemente" utile.

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    3. In effetti, ogni forma di stato, ogni struttura di governo, è figlia diretta del suo tempo (ovvero della struttura economico-energetica prevalente in quel periodo).
      Non per nulla sono in molti, oggi, a suonare il 'de profundis' allo stato nazionale classico, in quanto ormai superato dalla storia.
      Vedremo.

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    4. "il 'de profundis' allo stato nazionale classico, in quanto ormai superato dalla storia."

      Ancora non ho capito o letto da qualche parte che cosa si voglia mettere al posto dello stato nazionale. Sì sì, è vero che certi problemi non possono essere risolti a livello nazionale. Intanto vediamo concretamente quali sono questi problemi (l'energia, le materie prime, la disoccupazione?) e vediamo se davvero c'è bisogno di una concertazione globale (nel frattempo tutti si fanno gli affaracci loro, USA, Cina, Russia, Arabia Saudita, anche Francia, Germania, UE e nel suo piccolo pure l'Italia).
      Collaborazione, cooperazione, scambi di ogni tipo: benissimo. Ma perché lo stato nazionale è obsoleto, un'anticaglia, ridicolo ecc. ecc.? Nessuno ha ancora richiesto a chiare lettere l'abolizione dei confini e degli eserciti o almeno lo smantellamento degli arsenali nucleari. Sì, gli economisti ci starebbero, dicono che il prodotto globale esploderebbe, sarebbe decuplicato. Mah! E l'effetto serra? Si risolvererebbe anche quello, grazie alla fusione e alla tecnologia. Davvero?
      Ci sono parole che detesto come populismo e sovranismo. I populisti sono ovviamente fascisti, razzisti e mentecatti, e i sovranisti pure (dice il Foglio).
      Al momento attuale ci sono circa duecento Stati, riconosciuti e armati. Sono duecento individui che vogliono sopravvivere. Alcuni vorrebbero abolire anche gli individui o l'individuo. L'individuo nel suo piccolo è uno sporco sovranista (fascista e razzista pure, ça va sans dire). Uguaglianza o barbarie, dice quell'imbecille di Flores d'Arcais, filosofo e
      neocomunista, credo lo pensi anche il papa, comunista pure lui. Il comunismo è ancora vivo e vegeto.
      Io no do del fascista, nazista, razzista, antisemita, populista, sovranista ecc. ecc. a nessuno. Chi usa questi termini per me è un coglione.

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    5. "Al momento attuale ci sono circa duecento Stati, riconosciuti e armati. Sono duecento individui che vogliono sopravvivere."

      Tutte le burocrazie, come pure i memi, e non solo i geni, vogliono sopravvivere e riprodursi (altrimenti, tautologicamente, non esisterebbero, non sarebbero e non saremmo arrivati fin qui, vaste programme).

      Comunque se dici non dico a un libertario o un anarchico, ma anche solo ad un liberale classico, che lo Stato e' un individuo, di prenderti del nazicomunista e fascista e' il minimo che ti puoi aspettare :)

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    6. È il momento di lasciarsi, sono anni che ci rompi i coglioni con la tua scienza. A volte ho pensato che sei un troll, sempre e solo distruttivo. Qualsiasi cosa uno dica o scriva, arriva il genio Diaz coi suoi distinguo.
      E grazie del nazicomunista e fascista. Ma che schifo certa gente. Ciao Lumen, è stato lo stesso abbastanza divertente scambiarsi qualche idea in tutti questi anni. Tutti questi blog alla fine stancano, si finisce sempre a pesci in faccia. Non leggerò e non aprirò più questo blog, ma nemmeno gli altri che seguivo un po'. Agobit era abbastanza interessante, ma se no che schifo.

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    7. Bravo Diaz, lo Stato nazionale ottocentesco "a sovranità assoluta" e l'Individuo liberale classico sono sempre stati tendenzialmente antitetici: in ultima analisi, si tratta di decidere se lo Stato esista in funzione dei Cittadini oppure viceversa. Ovviamente ciascuno è libero di scegliere, ma tale scelta rivela parecchio della "visione del mondo" di chi la compie...

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    8. Claudio, la questione e' un po' piu' seria: non c'e' niente di peggio per un liberale che dare dignita' di (super)individuo allo stato o alla nazione, come ha chiaramente espresso sergio, cosa invece tipica di qualsiasi forma di fascismo e nazismo, per definizione stessa di fascismo e nazismo.

      Questo ovviamente non significa che il liberale sia superiore o piu' nel giusto rispetto al fascista, al nazista (o al comunista), si tratta solo di punti di vista diversi (anche se purtroppo pare che il liberale sia l'unico a pensarla cosi'...).

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  4. "Chi usa questi termini per me è un coglione"

    La raffinatezza logico-argomentativa e l'eleganza stilistica qui esplicitate farebbero impallidire il buon vecchio Kant, il quale tra l'altro (poveraccio!) già a fine Settecento aveva proposto una (Con)Federazione mondiale degli Stati "per la pace perpetua"...

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    1. Se una volta ti decidessi a parlare o scrivere in italiano ne sarei contento: non capisco infatti quasi mai quel che vuoi dire. Mi sembra di aver capito che sei uno di lettere e filosofia, Kant, Hegel e compagnia bella. Non ci servono più, anche se senza di loro non avremmo né lo smartphone, né la televisione, la bomba atomica, la lavastoviglie ecc. come dice Severino. Sì, senza Platone non saremmo dove siamo, non c'è dubbio.

      Prova a essere un po' più cordiale se ci riesci, scendi dalla cattedra, sei antipatico e scostante (ma argomentativamente raffinato ed elegante, certo). Perché frequenti questo blog? Con Lumen m’intendo e ci siamo persino simpatici perciò intervengo. Ma con certa gente è impossibile intendersi. Passo e chiudo, buona fortuna.

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    2. Mi pare che tutto si possa dire di Claudio fuorche' abbia mai manifestato la minima aggressivita' o fastidio contro alcunche'.
      Non scrive come Montanelli? Be' la chiarezza espressiva e' il peggiore degli inganni, la realta' del mondo, qualunque essa sia, e' all'estremo opposto della falsa chiarezza della buona retorica.

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  5. Poscritto.

    Per frequentarsi e magari imparare qualcosa bisogna provare un po' di simpatia, oltre ad avere idee affini, qualcosa in comune. Non che stiamo a farci reciprocamente complimenti, a cantarcela e suonarcela da soli, ma insomma un po' dobbiamo piacerci, no? Se no non vale la pena, che senso ha prendersi a pesci in faccia come fanno alcuni nei blog? Constati che hai a che fare con idioti, zoticoni, maleducati ecc.? Saluti e te ne vai.
    Io frequento due o tre blog, non di più, ce ne sono centinaia, migliaia. Un po' mi sono divertito, ma mi sono stufato. In fondo non ho niente da dire o quel che avevo da dire l'ho detto e torno a coltivare il mio giardino.

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    1. Il tono di queste risposte, nelle quali pur riconoscendo di 'non capire quasi mai quel che vuoi dire' definisce 'coglione, imbecille, antipatico, scostante' ecc. chi cerca di esprimere idee non necessariamente conformi ai desiderata di qualcuno, (di)mostra inequivocabilmente che è stato toccato un nervo scoperto.

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    2. Non ti ho dato affatto del coglione e dell'imbecille, ma ti trovo antipatico e anche un po' saccente, questo sì. Mai un minimo di cordialità, qualche battuta, uno scherzo. E sono anni che ci scambiamo qui qualche idea. Quanto sei serioso. Quanto al nervo scoperto non so di che parli. Sì, certo, sono allergico a certi personaggi e a certe idee, come tutti, ma non so a quali alludi. Vabbè, rilassati e goditi un po' la vita.

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  6. Cari amici, inviterei tutti voi a prenderla con un po' più di serenità.
    In fondo, stiamo discutendo solo per divertimento (intellettuale).

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    1. Be' mi pare che alle manifestazioni di odio e aggressivita' in atto, reagiamo tutti con la massima serenita' e sangue freddo, un caso piu' unico che raro nei blog :)

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  7. Per tornare all'argomento del post sembra che l'unita' d'Italia fu favorita non solo dall'accondiscendenza dell'Inghilterra e dalle imprese garibaldine. Pare che un aiuto importante fu dato da Cavour con la sua politica verso la Francia. Questa si era sempre opposta, ufficialmente per proteggere il Papa, in realtà' perché' temeva la nascita di una potenza politica e militare ai propri confini. Ma Cavour ricorse ad un'arma per quei tempi sofisticata: mando' sua cugina, la bellissima contessa di Castiglione Virginia Oldoini dall'imperatore Napoleone III con il compito di fargli cambiare idea. E vi riusci' benissimo, si dice infatti che durante gli amplessi lo costringesse a gridare: Viva l'Italia! Prosaicamente l'unita' del nostro paese ha a che fare più' con donne di facili costumi che con i grandi ideali. E Cavour meritatamente e' ricordato come il facitore dell'Italia unita

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    1. Caro Agobit, la storia è uno strano miscuglio di caso e di necessità (toh, sembra di leggere Monod).
      Certo, i grandi eventi ed i grandi cambiamenti sono il prodotto di situazioni oggettive protratte nel tempo, che finiscono per avere il loro sbocco naturale.
      Però, magari, la miccia che li accende è legata alle piccole vicende personali di alcune persone comuni, come era, in fondo, la nostra bella eroina.
      Anche questo è il fascino della storia.

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