mercoledì 7 marzo 2018

Il genio di Darwin – 2

(Continua la pubblicazione di alcuni stralci del libro “Perché non possiamo non dirci darwinisti” di Edoardo Boncinelli” - seconda parte. Lumen)  


<< Poiché si sta parlando di una spiegazione scientifica e della ricostruzione storica di una serie di eventi naturali, appare fondamentale chiedersi fin dall'inizio che cosa ci sia veramente da chiarire. Ovvero, che cosa deve mostrare e dimostrare una teoria dell'evoluzione che aspiri a un minimo di scientificità.
 
Non c'è niente in biologia che non abbia attraversato un processo evolutivo e tutto ciò va illustrato e spiegato. È chiaro però che alcuni aspetti di questo complesso di eventi ci colpiscono di più e si presentano più difficili da comprendere.
 
Occorre dare ragione di almeno tre osservazioni fondamentali che io metto in un ordine che non è quello consueto: l'incredibile diversità e varietà dei viventi, la loro presenza in ogni più impervia plaga della Terra, il notevole livello di adattamento al loro proprio ambiente che sembrano mostrare gli individui appartenenti alla maggior parte delle specie. 

Esiste poi un terzo aspetto della questione molto meno oggettivabile degli altri due, ma invariabilmente presente nei nostri pensieri e nella nostra concezione delle forme viventi, in virtù della nostra biologia e della nostra storia: la maggior parte delle forme viventi alle quali istintivamente pensiamo ci appaiono adatte e quindi adattate all'ambiente nel quale vivono.
 
Un organo, una struttura o un comportamento si possono dire adattati a una determinata caratteristica ambientale se sembrano progettati per sfruttarne in qualche misura la specificità o per sfuggirne le insidie.
 
L'occhio del gufo è adattato al suo stile di vita e di caccia notturne, le zampe dei trampolieri sono adattate alla natura delle acque basse e limacciose in cui vivono, la forma generale del corpo e la pelliccia della foca sono adattate alla sua vita nelle acque dei mari polari e la struttura e la fisiologia di un cactus sono adattate alle condizioni di elevata temperatura e di ridotta umidità delle zone desertiche. E se questo è vero, va certamente spiegato.
 
Il problema è che si pone di solito un'enfasi eccessiva e spesso affettata su questo particolare aspetto della vita. C'è tutta una letteratura incentrata sulle «mirabilie» della natura e sulle sue «miracolose» proprietà. Secondo questa concezione la natura sarebbe un'opera perfetta e meravigliosa, necessariamente posta in essere da una Potenza Superiore. «Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, non fu mai vestito come uno di loro» (Matteo 6, 28-29).
 
Anche chi non ha una dichiarata fede religiosa resta affascinato e rapito da tutta una serie di proprietà biologiche che «sembrano fatte apposta» per raggiungere un certo scopo, come la lingua del formichiere, perfetta per tirar su le formiche da un formicaio, o come la coda del castoro, robusta e tozza quanto basta per spatolare e compattare il fango sulle dighe che costruisce per vivere.
 
Potremmo andare avanti all'infinito con esempi del genere — lo stesso Darwin ce ne ha indicati e «spiegati» moltissimi — e non c'è dubbio che molti studiosi si sono dedicati e si dedicano tutt'oggi alla biologia perché attratti da fenomeni del genere.
 
Il motivo per cui ho relegato tale problema solo al terzo posto della mia piccola graduatoria di cose da spiegare è piuttosto sottile e merita un approfondimento più avanti.
 
Qua ci basti dire che l'adattamento, tanto di un organo all'adempimento di una specifica funzione quanto di un intero organismo alla vita nell'ambiente nel quale si trova a vivere, non è una grandezza facilmente definibile e misurabile, in quanto frutto di una visione prepotentemente antropocentrica e indebitamente finalistica, che ci porta quasi invariabilmente a gravi errori logici che sono tipici più delle pseudoscienze che della scienza.
 
L'adattamento a un numero crescente di condizioni ambientali vecchie e nuove può a sua volta condurre all' innovazione biologica, cioè alla comparsa di tipi nuovi di organizzazione. Oltre a un'enorme espansione della diversità degli organismi, gli ultimi tre-quattro miliardi di anni hanno visto infatti la comparsa di sempre nuove forme di organizzazione della materia vivente, alcune delle quali sembrano mostrare una complessità crescente, anche se il fenomeno è molto difficile da definire da un punto di vista scientifico.
 
Sono state importanti innovazioni la comparsa di organismi Pluricellulari prima, dei Vertebrati poi e infine dei Mammiferi placentati, per fare solo qualche esempio. Quello della comparsa di organismi sempre più complessi è uno degli aspetti del processo evolutivo che ci colpiscono di più e spesso lo si assume erroneamente come l'essenza stessa, se non come il fine, dell'evoluzione.
 
La nostra psicologia ci porta poi a identificare la complessità con la somiglianza agli esseri umani e un aumento di complessità con l'acquisizione di tratti tipici della nostra specie. È una visione piuttosto semplicistica che finisce per privilegiare certi aspetti del processo evolutivo e trascurarne altri.
 
Se alcune linee evolutive procedono infatti verso forme viventi più complesse, moltissime altre appaiono ferme, tese a conservare e a perpetuare forme di organizzazione relativamente semplici originatesi magari più di tre miliardi di anni fa. Non bisogna dimenticare che i veri padroni del nostro pianeta, i vincitori indiscussi della lotta per l'esistenza, sono i batteri e le alghe elementari, organismi unicellulari che non mostrano neppure un nucleo cellulare ben distinto. >>

EDOARDO BONCINELLI
 

(continua)

6 commenti:

  1. Per chi fosse interessato, la prima puntata è stata pubblicata il 7 febbraio. Le altre seguiranno, con frequenza variabile, nei prossimi mesi.

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  2. In questo passo l'ottimo Boncinelli analizza in particolare il classico, complesso e fondamentale tema della legittimità dell'attribuzione di una dimensione finalistico-teleologica all'evoluzione biologico-naturale: un'attribuzione che (in effetti) appare direttamente ricollegabile alla psicologia (cognitiva) umana, tendenzialmente e per certi versi inevitabilmente antropocentrico-antropomorfica, molto più che ai concreti e "oggettivi" risultati dell'indagine scientifica: a tale riguardo, anche l'accenno conclusivo al trionfo dei batteri e delle alghe elementari sembra molto illuminante...

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    1. "appare direttamente ricollegabile alla psicologia (cognitiva) umana"

      Se non sbaglio fu Russell a dire che ogni animale o vegetale e' imperialista, e non e' facile dargli torto...
      Quello che ha di unico la psicologia umana e' che condisce tutto di un moralismo (insopportabile) che serve solo a tentare di stabilire gerarchie di predominanza etico-intellettuale fra gli uomini.

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    2. @ Diaz

      Beh, certo, il moralismo è insopportabile, ma solo perchè è la degenerazione della morale.
      Mentre la morale è un elemento obbligato e fondamentale per una specie profondamente sociale come quella umana.
      Purtroppo non c'è virtù che non possa degenerare facilmente in un eccesso.

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    3. @ Claudio

      L'antropocentrismo è dentro di noi, profondamente radicato ed inestirpabile nel DNA della nostra specie.
      Non per nulla i nostra antenati seguivano una spiritualità di tipo animistico, in cui tutti gli esseri (viventi e non) avevano una loro identità, volontà e progettualità, come i loro simili.

      Per fortuna, per essere ambientalisti sinceri non è assolutamente necessario perdere l'antropocentrismo (compito superiore alle nostre forze): basta applicarlo in modo intelligenze e lungimirante.

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    4. "il moralismo è insopportabile, ma solo perchè è la degenerazione della morale"

      Gia', ma purtroppo a giudicare cosa sia degenerato o no e' la morale, che e' sempre anche un moralismo se vista da qualche altro punto di vista morale.

      "Per essere ambientalisti sinceri" non occorre l'intelligenza, bastano le buone intenzioni (che l'intelligenza di solito si rende conto di quanto servano a mascherare secondi fini inconfessabili anche a se stessi, ed e' quindi semmai un intralcio).

      Interessante l'esempio che porti dell'animismo, in cui l'uomo tende ad estendere a tutto, persino a cio' che la nostra cultura definisce inanimato, il suo modo "intenzionale" e "coscienzioso" di essere: ma persino l'attribuire una specie di coscienza a tutto, alla fine, diventa una forma di "imperialismo culturale", piu' o meno come intendo sopra quando accenno all'ipocrisia inconsapevole del riferire tutto, in fin dei conti, al proprio modo di essere e ai propri desideri etici, mascherandoli di necessita' oggigiorno con gran spreco di formule e grafici matematici.

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