mercoledì 19 luglio 2017

I giganti della fede – Il Padre Provinciale

Il capitolo XIX dei “Promessi sposi” si apre con uno dei dialoghi più famosi dell’opera: quello tra il Conte zio ed il Padre provinciale dei frati Cappuccini.
Argomento della discussione è lo scomodo padre Cristoforo, che, per aiutare Renzo e Lucia, ha osato mettersi in urto con l’arrogante Don Rodrigo.
Il confronto ci mostra, meglio di mille dissertazioni, a quali patetiche ipocrisie può abbassarsi la pratica religiosa.
LUMEN

 
<< Due potestà, due canizie, due esperienze consumate si trovavano a fronte. Il magnifico signore fece sedere il padre molto reverendo, sedette anche lui, e cominciò: - stante l'amicizia che passa tra di noi, ho creduto di far parola a vostra paternità d'un affare di comune interesse, da concluder tra di noi, senz'andar per altre strade, che potrebbero... E perciò, alla buona, col cuore in mano, le dirò di che si tratta; e in due parole son certo che anderemo d'accordo. Mi dica: nel loro convento di Pescarenico c'è un padre Cristoforo da ***?

Il provinciale fece cenno di sì.
 
- Mi dica un poco vostra paternità, schiettamente, da buon amico... questo soggetto... questo padre... Di persona io non lo conosco; e sì che de' padri cappuccini ne conosco parecchi: uomini d'oro, zelanti, prudenti, umili: sono stato amico dell'ordine fin da ragazzo... Ma in tutte le famiglie un po' numerose... c'è sempre qualche individuo, qualche testa... E questo padre Cristoforo, so da certi ragguagli che è un uomo... un po' amico de' contrasti... che non ha tutta quella prudenza, tutti que' riguardi... Scommetterei che ha dovuto dar più d'una volta da pensare a vostra paternità.
«Ho inteso: è un impegno, - pensava intanto il provinciale: - colpa mia; lo sapevo che quel benedetto Cristoforo era un soggetto da farlo girare di pulpito in pulpito, e non lasciarlo fermare mesi in un luogo, specialmente in conventi di campagna».
 
- Oh! - disse poi: - mi dispiace davvero di sentire che vostra magnificenza abbia in un tal concetto il padre Cristoforo; mentre, per quanto ne so io, è un religioso... esemplare in convento, e tenuto in molta stima anche di fuori.
 
- Intendo benissimo; vostra paternità deve... Però, però, da amico sincero, voglio avvertirla d'una cosa che le sarà utile di sapere; e se anche ne fosse già informata, posso, senza mancare ai miei doveri, metterle sott'occhio certe conseguenze... possibili: non dico di più. Questo padre Cristoforo, sappiamo che proteggeva un uomo di quelle parti, un uomo... vostra paternità n'avrà sentito parlare; quello che, con tanto scandolo, scappò dalle mani della giustizia, dopo aver fatto, in quella terribile giornata di san Martino, cose... cose... Lorenzo Tramaglino!
 
«Ahi!» pensò il provinciale; e disse: - questa circostanza mi riesce nuova; ma vostra magnificenza sa bene che una parte del nostro ufizio è appunto d'andare in cerca de' traviati, per ridurli...

- Va bene; ma la protezione de' traviati d'una certa specie...! Son cose spinose, affari delicati... - E qui, in vece di gonfiar le gote e di soffiare, strinse le labbra, e tirò dentro tant'aria quanta ne soleva mandar fuori, soffiando. E riprese: - ho creduto bene di darle un cenno su questa circostanza, perché se mai sua eccellenza... Potrebbe esser fatto qualche passo a Roma... non so niente... e da Roma venirle...
 
- Son ben tenuto a vostra magnificenza di codesto avviso; però son certo che, se si prenderanno informazioni su questo proposito, si troverà che il padre Cristoforo non avrà avuto che fare con l'uomo che lei dice, se non a fine di mettergli il cervello a partito. Il padre Cristoforo, lo conosco.
 
- Già lei sa meglio di me che soggetto fosse al secolo, le cosette che ha fatte in gioventù.
 

- È la gloria dell'abito questa, signor conte, che un uomo, il quale al secolo ha potuto far dir di sé, con questo indosso, diventi un altro. E da che il padre Cristoforo porta quest'abito...
 
- Vorrei crederlo: lo dico di cuore: vorrei crederlo; ma alle volte, come dice il proverbio... l'abito non fa il monaco.
 
Il proverbio non veniva in taglio esattamente; ma il conte l'aveva sostituito in fretta a un altro che gli era venuto sulla punta della lingua: il lupo cambia il pelo, ma non il vizio.
 
- Ho de' riscontri, - continuava, - ho de' contrassegni...

- Se lei sa positivamente, - disse il provinciale, - che questo religioso abbia commesso qualche errore (tutti si può mancare), avrò per un vero favore l'esserne informato. Son superiore: indegnamente; ma lo sono appunto per correggere, per rimediare.
 
- Le dirò: insieme con questa circostanza dispiacevole della protezione aperta di questo padre per chi le ho detto, c'è un'altra cosa disgustosa, e che potrebbe... Ma, tra di noi, accomoderemo tutto in una volta. C'è, dico, che lo stesso padre Cristoforo ha preso a cozzare con mio nipote, don Rodrigo ***.
 
- Oh! questo mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace davvero.

- Mio nipote è giovine, vivo, si sente quello che è, non è avvezzo a esser provocato...
 
- Sarà mio dovere di prender buone informazioni d'un fatto simile. Come ho già detto a vostra magnificenza, e parlo con un signore che non ha meno giustizia che pratica di mondo, tutti siamo di carne, soggetti a sbagliare... tanto da una parte, quanto dall'altra: e se il padre Cristoforo avrà mancato...
 
- Veda vostra paternità; son cose, come io le dicevo, da finirsi tra di noi, da seppellirsi qui, cose che a rimestarle troppo... si fa peggio. Lei sa cosa segue: quest'urti, queste picche, principiano talvolta da una bagattella, e vanno avanti, vanno avanti... A voler trovarne il fondo, o non se ne viene a capo, o vengon fuori cent'altri imbrogli. Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire. Mio nipote è giovine; il religioso, da quel che sento, ha ancora tutto lo spirito, le... inclinazioni d'un giovine: e tocca a noi, che abbiamo i nostri anni... pur troppo eh, padre molto reverendo?... (…)
 
Tocca a noi, - continuò, - a aver giudizio per i giovani, e a rassettar le loro malefatte. Per buona sorte, siamo ancora a tempo; la cosa non ha fatto chiasso; è ancora il caso d'un buon principiis obsta. Allontanare il fuoco dalla paglia. Alle volte un soggetto che, in un luogo, non fa bene, o che può esser causa di qualche inconveniente, riesce a maraviglia in un altro. Vostra paternità saprà ben trovare la nicchia conveniente a questo religioso. C'è giusto anche l'altra circostanza, che possa esser caduto in sospetto di chi... potrebbe desiderare che fosse rimosso: e, collocandolo in qualche posto un po' lontanetto, facciamo un viaggio e due servizi; tutto s'accomoda da sé, o per dir meglio, non c'è nulla di guasto.
 
Questa conclusione, il padre provinciale se l'aspettava fino dal principio del discorso. «Eh già! - pensava tra sé: - vedo dove vuoi andar a parare: delle solite; quando un povero frate è preso a noia da voi altri, o da uno di voi altri, o vi dà ombra, subito, senza cercar se abbia torto o ragione, il superiore deve farlo sgomberare».
 
E quando il conte ebbe finito, e messo un lungo soffio, che equivaleva a un punto fermo, - intendo benissimo, - disse il provinciale, - quel che il signor conte vuol dire; ma prima di fare un passo...
 
- È un passo e non è un passo, padre molto reverendo: è una cosa naturale, una cosa ordinaria; e se non si prende questo ripiego, e subito, prevedo un monte di disordini, un'iliade di guai. Uno sproposito... mio nipote non crederei... ci son io, per questo... Ma, al punto a cui la cosa è arrivata, se non la tronchiamo noi, senza perder tempo, con un colpo netto, non è possibile che si fermi, che resti segreta... e allora non è più solamente mio nipote... Si stuzzica un vespaio, padre molto reverendo. Lei vede; siamo una casa, abbiamo attinenze...
 
- Cospicue.
 
- Lei m'intende: tutta gente che ha sangue nelle vene, e che, a questo mondo... è qualche cosa. C'entra il puntiglio; diviene un affare comune; e allora... anche chi è amico della pace... Sarebbe un vero crepacuore per me, di dovere... di trovarmi... io che ho sempre avuta tanta propensione per i padri cappuccini...! Loro padri, per far del bene, come fanno con tanta edificazione del pubblico, hanno bisogno di pace, di non aver contese, di stare in buona armonia con chi... E poi, hanno de' parenti al secolo... e questi affaracci di puntiglio, per poco che vadano in lungo, s'estendono, si ramificano, tiran dentro... mezzo mondo. Io mi trovo in questa benedetta carica, che m'obbliga a sostenere un certo decoro... Sua eccellenza... i miei signori colleghi... tutto diviene affar di corpo... tanto più con quell'altra circostanza... Lei sa come vanno queste cose.
 
- Veramente, - disse il padre provinciale, - il padre Cristoforo è predicatore; e avevo già qualche pensiero... Mi si richiede appunto... Ma in questo momento, in tali circostanze, potrebbe parere una punizione; e una punizione prima d'aver ben messo in chiaro...
 
- No punizione, no: un provvedimento prudenziale, un ripiego di comune convenienza, per impedire i sinistri che potrebbero... mi sono spiegato.
 
- Tra il signor conte e me, la cosa rimane in questi termini; intendo. Ma, stando il fatto come fu riferito a vostra magnificenza, è impossibile, mi pare, che nel paese non sia traspirato qualcosa. Per tutto c'è degli aizzatori, de' mettimale, o almeno de' curiosi maligni che, se posson vedere alle prese signori e religiosi, ci hanno un gusto matto; e fiutano, interpretano, ciarlano... Ognuno ha il suo decoro da conservare; e io poi, come superiore (indegno), ho un dovere espresso... L'onor dell'abito... non è cosa mia... è un deposito del quale... Il suo signor nipote, giacché è così alterato, come dice vostra magnificenza, potrebbe prender la cosa come una soddisfazione data a lui, e... non dico vantarsene, trionfarne, ma...
 
- Le pare, padre molto reverendo? Mio nipote è un cavaliere che nel mondo è considerato... secondo il suo grado e il dovere: ma davanti a me è un ragazzo; e non farà né più né meno di quello che gli prescriverò io. Le dirò di più: mio nipote non ne saprà nulla. Che bisogno abbiamo noi di render conto? Son cose che facciamo tra di noi, da buoni amici; e tra di noi hanno da rimanere. Non si dia pensiero di ciò. Devo essere avvezzo a non parlare. - E soffiò. - In quanto ai cicaloni, - riprese, - che vuol che dicano? Un religioso che vada a predicare in un altro paese, è cosa così ordinaria! E poi, noi che vediamo... noi che prevediamo... noi che ci tocca... non dobbiamo poi curarci delle ciarle.
 
- Però, affine di prevenirle, sarebbe bene che, in quest'occasione, il suo signor nipote facesse qualche dimostrazione, desse qualche segno palese d'amicizia, di riguardo... non per noi, ma per l'abito...
 
- Sicuro, sicuro; quest'è giusto... Però non c'è bisogno: so che i cappuccini son sempre accolti come si deve da mio nipote. Lo fa per inclinazione: è un genio in famiglia: e poi sa di far cosa grata a me. Del resto, in questo caso... qualcosa di straordinario... è troppo giusto. Lasci fare a me, padre molto reverendo; che comanderò a mio nipote... Cioè bisognerà insinuargli con prudenza, affinché non s'avveda di quel che è passato tra di noi. Perché non vorrei alle volte che mettessimo un impiastro dove non c'è ferita. E per quel che abbiamo concluso, quanto più presto sarà, meglio. E se si trovasse qualche nicchia un po' lontana... per levar proprio ogni occasione...
 
- Mi vien chiesto per l'appunto un predicatore da Rimini; e fors'anche, senz'altro motivo, avrei potuto metter gli occhi...

- Molto a proposito, molto a proposito. E quando...?
 

- Giacché la cosa si deve fare, si farà presto.
 

- Presto, presto, padre molto reverendo: meglio oggi che domani. E, - continuava poi, alzandosi da sedere, - se posso qualche cosa, tanto io, come la mia famiglia, per i nostri buoni padri cappuccini...
 
- Conosciamo per prova la bontà della casa, - disse il padre provinciale, alzatosi anche lui, e avviandosi verso l'uscio, dietro al suo vincitore.

- Abbiamo spento una favilla, - disse questo, soffermandosi, - una favilla, padre molto reverendo, che poteva destare un grand'incendio. Tra buoni amici, con due parole s'accomodano di gran cose. >>

ALESSANDRO MANZONI

29 commenti:

  1. "Il confronto ci mostra, meglio di mille dissertazioni, a quali patetiche ipocrisie può abbassarsi la pratica religiosa."

    Un giudizio che non condivido. Non vedo dove stia l'iprocrisia.
    Riletto con piacere dopo trent'anni questo bel dialogo in cui il padre provinciale tiene testa al suo illustre interlocutore. Che alla fine ceda mi sembra logico: riconosce che non può fare altrimenti, che l'altro è più forte. Però a parer mio salva la faccia, cede obtorto collo. Che poteva fare? Impuntarsi, difendere a spada tratta quel coglione di fra Cristoforo? Dico coglione perché mi è profondamente antipatico. Come un po' tutti in questo romanzo. Il personaggio più vero è la diabolica "sventurata". Esiste una "anticritica dei P. S." di un certo Aldo Spranzi in cui si afferma che la monaca di Monza è il personaggio centrale del libro (e che Manzoni era un cuore arido e ateo). Ma in Italia si legge ancora a scuola? I P. S. sono il classico meno letto nel resto del mondo, nonostante la sponsorizzazione di Goethe a cui Manzoni aveva inviato il suo romanzo (nella versione Ventisettana). Nella prima versione, Fermo e Lucio, l'episodio della monaca era molto più esteso.
    Goethe fu dapprima entusiasta, ma poi la storia della peste gli andò di traverso (l'Olimpico non amava queste storie orride).

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    1. Ovviamente "Fermo e Lucia" ... Un semplice refuso, non cominciamo a pensar male ...

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    2. Ovviamente.
      Il tuo involontario refuso, però, mi ha fatto sorgere una curiosità letteraria: che tu sappia, è mai stato scritto un romanzo classico su un rapporto omosessuale ?
      A me non ne viene in mente nessuno, ma le mie conoscenze in materia non possono assolutamente competere con le tue.

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    3. Non saprei, ma non credo, il tabù sociale è sempre stato fortissimo, non credo che si sarebbe apprezzato.
      Nemmeno Gide ci ha provato. Io nemmeno riesco a immaginarmelo un romanzo a sfondo omosessuale: mancherebbe la storia, la trama. I grandi romanzi classici sono tutti storie di intrighi, corna, dissidi familiari ... classici.

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    4. Lo immaginavo.
      Forse oggi qualcuno ci potrebbe provare, dati i tempi, ma dubito che diventereebbe un classico.
      Anzi, dubito proprio che qualsiasi romanzo venga scritto oggi possa diventare un classico.
      Forse sono cambiati i media (il romanzo non ha più la centralità culturale di un tempo) o forse manca ancora la prospettiva storica.
      Però ho questa (strana) sensazione.

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    5. "Anzi, dubito proprio che qualsiasi romanzo venga scritto oggi possa diventare un classico."

      Concordo. Ma il problema è che la letteratura è ormai un optional: che tu legga o non legga un'opera moderna non cambia nulla, anche un'opera fuori del comune, un capolavoro o un quasi capolavoro. Chissenefrega. Si scrivono e si pubblicano tanti di quei libri che è assolutamente impossibile orientarsi. Tutto non si può leggere - e passare la vita a leggere (o anche a scrivere) non sarebbe proprio il massimo. Ci sono altri modi di divertirsi e istruirsi. Ci si può anche chiedere a che cosa serva - ormai - la letteratura. Una volta certe letture potevano anche cambiare la tua vita, erano letture decisive, importanti.
      Difficile immaginare che oggi un'opera letteraria possa avere ancora una tale importanza. Quando lessi "Cento anni di solitudine" quarant'anni fa pensai: ecco un libro che potrebbe diventare un classico, cioè un'opera che sopravvivrà, sarà ancora letta e apprezzata magari fra cent'anni. Che ingenuo che ero.
      Chi se ne frega di Cento anni di solitudine e di Márquez e di tante altre opere passabili e apprezzabili che ci hanno allietato un tempo. Tutti scrivono, e anche bene, ma chissenefrega. Buon per loro se vincono lo Strega o il Nobel, fanno dei bei soldi, beati loro. Ma la nostra vita non cambierà, sarà più o meno la stessa chiavica di sempre.
      Ma siccome qualcosa si deve pur leggere per ammazzare il tempo e tentare di divertirsi e istruirsi io ripiego sui "miei" classici antichi, tra cui anche - to' - Manzoni. Ovviamente rileggo i Russi dell'Ottocento, qualcosa del Novecento italiano ed estero. Ma senza nemmeno più tanto entusiasmo e interesse.
      Atmosfera di fine regno?

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    6. << Atmosfera di fine regno ? >>

      Sì, la sensazione è un po' quella.

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  2. << Che alla fine ceda mi sembra logico: riconosce che non può fare altrimenti, che l'altro è più forte. Però a parer mio salva la faccia. >>

    Caro Sergio, umanamente parlando certo, anche io avrei fatto come lui.
    Cedo al più forte e mi tengo stretto il mio piccolo fazzoletto di potere, salvando, oltretutto, anche la faccia con il gregge dei fedeli, i quali - poveretti - credono davvero alla superiorità morale della Chiesa rispetto al secolo.

    Ma cosa c'è di evangelico in tutto questo ?
    Dov'è il tanto decantato "scandalo" portato dal cristianesimo con il suo messaggio universale ?
    A fare lo sgabello compiacente del potere politico sono buoni tutti, persino io.

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    1. Immaginati un po' che scena se il conte zio invece del provinciale avesse convocato direttamente fra Cristoforo per fargli una lavata di capo. Non dubito minimamente che avrebbe replicato la scena fatta a don Rodrigo che replicò se per caso non volesse provare il nerbo dei suoi boschi. Ma fra Cristoforo era un povero frate poco diplomatico, al contrario del provinciale. Eh, la diplomazia serve pure a qualcosa: a "troncare, sopire, sopire troncare" (con beneficio di tutti). E al diavolo gli idealisti.

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    3. In effetti, Fra Cristoforo con Don Rodrigo ci aveva provato secondo tutti i sacri principi, ma non aveva ottenuto nulla, ed anzi si era messo a rischio personale.

      D'altra parte - e qui sono costretto a rivalutare il povero Padre provinciale - il potere politico aveva con sè la forza bruta, quella delle armi, mentre il clero aveva solo il proprio prestigio.
      Una lotta decisamente impari, dove il massimo risultato possibile era... pareggiare.

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  3. A proposito di "classici"

    Un classico è un'opera che una "persona colta" deve o dovrebbe conoscere. In genere ci si riferisce a classici "stagionati" (di almeno un secolo o più fa). Ci sono poi anche i "classici contemporanei" non così antichi (fra gli Italiani per es. Svevo, Pirandello, Montale ecc.). Questi classici si conoscono a scuola - che magari te li fa anche odiare e li riscopri magari più tardi, per es. proprio Manzoni. Sono diventati classici un po' per merito degli autori, per valori intrinseci dell'opera, un po' per caso o per fortuna (per es. sono stati proposti dalle élite e poi hanno mantenuto magari immeritatamente una posizione di rilievo - e di nuovo si potrebbe citare Manzoni e il suo fortunato romanzo, il romanzo cattolico per eccellenza (ma inizialmente fu criticato dai gesuiti). Tante opere degne sono ormai dimenticate, altre sono andate perdute.
    Comunque i classici che una persona colta deve o dovrebbe conoscere e che si sono in genere conosciuti a scuola formano un canone letterario abbastanza solido. Ma il tempo passa e anche certi mostri sacri del canone possono perdere appeal e vengono emarginati. Sì, perché il canone non è eterno. Il grande critico letterario tedesco Marcel Reich-Ranicki, di origini polacche ed ebreo, morto un paio d'anni fa, era cosciente dei limiti del canone o della necessità di rinnovarlo ogni tanto. E ha così proposto ai lettori - lui pensava al lettore medio, non allo studioso di letteratura - un suo canone del romanzo tedesco, della poesia, del teatro, della saggistica, della novellistica. Ranicki propone ai lettori della fine del ventesimo secolo e anche del ventunesimo "opere ancora vive della tradizione letteraria, leggibili, tuttora godibilissime" ad uso e consumo del lettore medio (cioè di media cultura, non per forza laureato in lettere). Potrà magari interessare quali romanzi ha proposto al lettore contemporaneo. Ha dovuto ovviamente limitare la sua scelta a venti romanzi. Ecco alcuni di questi romanzi:

    Goethe: - Il giovane Werther
    - Le affinità elettive

    Fontane: - Effi Briest
    - Jenny Treibel
    - Der Stechlin

    Th. Mann: - Buddenbrooks
    - La montagna incantata

    G. Grass: - Il tamburo di latta

    Max Frisch: - Montauk

    Th. Bernhard: - Estinzione

    Hermann Hesse: - Unterm Rad (Sotto la ruota)

    ecc. ecc. (venti romanzi in tutto).

    Nel - per ovvi motivi ristretto canone di Ranicki - mancano titoli famosi, per es. "Enrico il verde" di Gottfried Keller o "L'estate di San Martino" di Adalbert Stifter. Credo che non apprezzasse troppo Stifter, un autore piuttosto noioso. E io trovo noioso anche "Enrico il verde". Comunque nel canone moderno del romanzo tedesco Ranicki (che si pronuncia ranizki) ha inserito parecchi autori contemporanei (Grass, Frisch, Bernhard). Per lui contava l'interesse, la leggibilità, il godimento che può arrecare un'opera letteraria. Avrei qualcosa da ridire su Il giovane Werther che era per la lingua già antico alla sua pubblicazione e che io personalmente non trovo più riproponibile a un moderno (Werther si suicida per un amore non corrisposto e tanti giovani lo imitarono ... Napoleone, che rilesse questo romanzo sette volte, lo criticò in presenza di Goethe).
    Comunque trovo interessante in sé la nozione del canone, secondo me sempre valida. Se no come intendersi? La conoscenza di almeno alcune grandi opere della tradizione è obbligatoria. Per un italiano direi che non è - tuttora - ammissibile ignorare Dante, Boccaccio, Petrarca, Machiavelli,
    Leopardi, Manzoni. Nel mio canone personale ci metto "I Viceré" di de Roberto, quasi al posto dei Promessi Sposi, ma anche "I vecchi e i giovani" di Pirandello (romanzo poco noto e poco pirandelliano), magari anche Calvino (con riserva) e altri.
    Ovviamente poi ognuno nel corso della sua vita si fa un proprio canone, la lista dei propri autori.

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  4. Un libro inserito nel canone di Reich-Ranicki

    Hermann Hesse, Sotto la ruota, pp. 184

    "Un giovane studente, spinto dall'ambizione e dal desiderio di sottrarsi al suo meschino destino di provinciale, cade negli ingranaggi implacabili della burocrazia scolastica fino a esserne travolto e finire suicida. "Sotto la ruota", titolo emblematico, è un accorato atto di accusa a famiglia, Chiesa, scuola e mondo del lavoro. In tema con altri scritti di Hesse della stessa epoca quali "Karl Eugen Eiselein" e "Emil Kolb", questo romanzo può essere visto come una storia di iniziazione dove il protagonista, certo per la sua intrinseca debolezza psicologica, ma anche per il filisteismo dell'ambiente e i falsi e coercitivi valori delle istituzioni e dell'ambiente sociale, non regge alla prova della vita adulta. Oggi, nonostante i progressi della nostra epoca, l'ingresso dei giovani nel mondo della responsabilità e del lavoro è altrettanto difficile e traumatico. Questo spiega l'attualità di questo libro e il suo ininterrotto successo di pubblico."

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  5. Dal Questionario di Max Frisch

    1ª domanda:

    "È proprio sicuro che la sopravvivenza del genere umano la interessi veramente, una volta che lei e i suoi conoscenti non ci sarete più?"

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    1. Domanda terribile e feroce che, per chi ha un minimo di onestà con se stesso, colpisce come un maglio.
      Sono pronto a scommettere che le risposte interiori sarebbero molto diverse da quelle palesi.

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  6. La redazione di un "canone" dei classici mi pare in effetti un'esigenza sensata.
    Ma - nella scelta - non influiscono solo i tempi, influisce molto anche la cultura di appartenenza.

    Qui in Italia amiamo in modo particolare i testi che provengono dall'europa continentale, ma conosciamo pochissimo, per esempio, un gigante come Shakespeare che, per un inglese (o un americano colto) è invece un autore irrinunciabile.

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    1. "... un gigante come Shakespeare ..."

      È un fatto che Shakespeare non faccia parte del canone letterario dell'italiano, nonostante Giulietta e Romeo (da una novella di Bandello), Amleto, La bisbetica domata, Re Lear, Macbeth, Falstaff ecc. Per gli angloamericani Shakespeare è il massimo, la pietra di paragone.
      Per me invece non lo è (ancora). Conosco la sua quotazione internazionale, ma l'ho frequentato poco, anche se una recente lettura di Antonio e Cleopatra mi ha entusiasmato (il genio non piace soltanto, entusiasa, se no è solo un grande scrittore nella migliore delle ipotesi).
      Oltre al canone nazionale esiste ovviamente anche il canone universale che comprende i grandi della "Weltliteratur" (espressione coniata da Goethe per indicare autori e opere di portata universale).
      Chissà forse gli italiani erano troppo provinciali per interessarsi agli autori stranieri. O forse ostava l'ignoranza delle lingue straniere, anche se i grandi classici stranieri sono tutti tradotti. Ma leggerli nell'originale è sempre un'altra cosa.
      Già, Shakespeare, questo semisconosciuto (in Italia).

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    2. Il cambio di lingua, con relativa traduzione, rappresenta in genere un problema in più, però a volte - con gli autori più datati - il problema vale quasi per tutti.
      Perchè ormai per un italiano di oggi, quella di Dante assomiglia molto (absit iniuria verbis) ad una lingua straniera (quindi da tradurre) e probabilmente lo stesso vale per un anglofono con la lingua di Shakespeare.

      Resta il fatto che se un autore è davvero grande, ed il traduttore è bravo, possiamo godere di un'opera straniera quasi come se fosse nostra (salvo forse che per la poesia, che ha le sue esigenze di rima e di metrica).

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    3. "Siede la terra dove nata fui,
      su la marina, dove il Po discende
      per aver pace coi seguaci sui."

      "Per lei assai di lieve si comprende
      quanto in femina foco d'amor dura,
      se l'occhio e 'l tatto spesso non l'accende."

      Dante una lingua straniera da tradurre? Andiamo!
      Malgrado l'oscurità di certi versi Dante si capisce benissimo. Grazie a lui parliamo più o meno lo stesso italiano di settecento anni fa. Invece i testi tedeschi del sedicesimo secolo sono davvero incomprensibili.
      Comunque l'abbiamo capita: anche Dante al macero, era monarchico, sadico, omofobo, cattolico ortodosso, "visionario" (dunque caso psichiatrico). Eppure, accidenti, me piasce in parte (perché anch'io sono sadico, omofobo, cattolico antico?).

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    4. << Malgrado l'oscurità di certi versi Dante si capisce benissimo. >>

      Caro Sergio, io parlo ovviamente a titolo personale.

      Mi è capitato più volte, in età adulta, di provare a rileggere, con calma e per mio piacere, la Divina Commedia, ma ho sempre dovuto arrendermi perchè, senza l'uso continuo del commentario, non riuscivo ad andare avanti.

      Io sono convinto infatti che un testo ha valore "letterario" se lo puoi gustare leggendolo direttamente, mentre se devi aiutarti con una perifrasi o un commentario, resta il valore "culturale" ma se ne perde il piacere.

      Forse le mie lacune letterarie dipendono anche da questo: una volta finita la scuola, non sono mai riuscito a leggere un testo "per dovere culturale".

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    5. "... senza l'uso continuo del commentario, non riuscivo ad andare avanti."

      Capita naturalmente anche a me. Il commento è utile e necessario sia per la lingua che per il contenuto. Ma penso valga la pena. E poi si può seguire il consiglio di Croce in poesia e non poesia. Croce consigliava di saltare le cose oscure e astruse e di apprezzare solo le parti poetiche. C'è per esempio quasi un canto intero in cui spiega le origini delle macchie lunari! Ma chissenefrega, a parte che la spiegazione è ovviamente fantasiosa. Ma la Commedia contiene anche tanti canti e versi stupendi. Rinunciarci perché a volte o anche spesso il senso è ostico è un po' peccato, no? Un piccolo sforzo se lo merita Dante (che poi è ripagato).

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    6. << Croce consigliava di saltare le cose oscure e astruse e di apprezzare solo le parti poetiche. >>

      Ecco un ottimo consiglio che non conoscevo !
      Ti ringrazio per la dritta, che cercherò di mettere in pratica appena possibile (magari cominciando coi canti meno scorrevoli del buon Giacomino).

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    7. P-S. - Poi ovviamente arriverò anche a Dante: me lo prendo come un punto d'onore.

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    8. Lo sforzo lo fai naturalmente se pensi (credi, hai l'impressione) che ne valga la pena, e in genere solo per pochi autori da cui ti senti attirato e sei già stato gratificato (per la profondità dei pensieri, la bellezza della prosa o dei versi). È chiaro che non si possono disperdere le stesse energie per tutti gli autori, per tutti i classici. Non c'è nessun professore di letteratura italiana che conosca bene tutti gli autori che contano, insomma gli autori del canone letterario. In genere ci si specializza (concentra) su alcuni, e gli altri sono letti per necessità ma con meno impegno, distrattamente.
      Anche Boccaccio è difficile (Aldo Busi voleva persino "tradurlo" in un italiano moderno - e io lo leggo con più piacere nella traduzione tedesca del medievista
      Kurt Flasch). Ma ci riprovo sempre con l'originale, anche in quanto italianista, e poi l'originale ha comunque un suo fascino. Ma appunto: gli sforzi devono essere giustificati. Oggi quasi tutti scrivono bene e in modo scorrevole. Ma la scorrevolezza non deve essere un criterio di qualità. Il massimo della scorrevolezza - e sciatteria - te l'offre il giornale, la droga di cui non possiamo fare a meno (perché la droga è ... scorrevole, va giù che è un piacere).

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    9. << Oggi quasi tutti scrivono bene e in modo scorrevole. >>

      Su questo siamo d'accordo, ma oggi è l'industria dell'editoria per prima a non tollerare una scrittura difficile, visto che finirebbe per limitare le vendite.
      Il che, tutto sommato, è anche giusto: se da un attore si richiede, come minimo, che sappia recitare, da uno scrittore si deve pretendere, come base, che sappia scrivere in modo corretto e scorrevole.

      Questo, per un saggista, può anche bastare, ma per un romanziere no, perchè a lui si chiede anche quel fondamentale valore aggiunto che è il "saper narrare", cioè far appassionare il lettore ai personaggi ed alle loro vicende.
      E questo talento, a mio avviso, continua spesso ad essere latitante.

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    10. Più o meno d'accordo. Penso che una volta - secoli fa - gli scrittori non si preoccupassero della scorrevolezza, leggibilità, godibilità. Fra i primi forse è stato Leopardi a insistere sulla piacevolezza dell'opera letteraria e un ulteriore e decisivo passo l'ha fatto poi Manzoni creando una lingua letteraria moderna. Che oggi versi e prosa di Leopardi non siano proprio facili e immediatamente comprensibili e godibili è un'altra storia. Ai tempi di Leopardi una persona colta non aveva difficoltà a leggere le Operette morali. Oggi, complici la modernità, televisione, cellulari, smartphone e reti sociali, mi sembra che ci sia un scadimento e impoverimento di linguaggio, tanto che si incoraggia la Lingua Facile (programmi ONU). Una lingua facilmente comprensibile da tutti, proprio tutti, fatta di frasi corte, senza subordinate, con la messa la bando di parole difficili, letterarie, e di aggettivi. Insomma, regressione a livello infantile. E a questo livello non si pensa, è impossibile. E forse è quello che vogliono: chi pensa esce dal seminato e rompe le scatole. Scrittori come Thomas Mann e Kleist risulteranno indigesti ai più, illeggibili addirittura (Kleist è uno dei miei autori preferiti, anche per il linguaggio).
      Quanto al "saper narrare" cosa significa? Aver mestiere, saper costruire una bella storia avvincente?
      Allora i giallisti sono gli autori giusti per questi tempi.
      Io non sono un lettore di gialli. Mai letta Agata Christie. Ho provato con Simenon, una noia. Il fatto è che io sono un moralista, ahimé. Prima viene il contenuto e poi magari la forma. Io non cerco tanto il divertimento, lo svago, quanto dei contenuti. Se mi diverto tanto meglio, ma è un sovrappiù. Dice un autore non molto prolifico che era professore di filosofia, Vittorio Saltini, autore de "Il primo libro di Li Po" (poeta cinese dell'ottavo secolo): prima viene l'esperienza e aver qualcosa da dire, le parole seguono poi automaticamente. Una "bella storia" non m'interessa. Anche Leopardi lo diceva: un'altra bella storia è una noia, ti casca di mano. Leggi un libro perché quel libro t'interessa, puoi imparare qualcosa.
      Ma per sotto l'ombrellone ci vuole ovviamente qualcosa di leggero (scorrevole, nella neolingua di Massimo).

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    11. Poscritto

      Alla latina: "Rem tene, verba sequentur."

      Più o meno: "Abbi chiaro il concetto, e le parole verranno da sole." Le parole per esprimere idee "chiare e distinte" si trovano facilmente.

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    12. << Allora i giallisti sono gli autori giusti per questi tempi.>>

      Mica detto.
      Ci sono giallisti che sono diventati famosi solo per l'abilità con cui ideavano l'intreccio, ma erano noiosissimi nello scrivere (ad esempio Agata Christie).
      Altri sono ottimi narratori, ma a volte il plot lascia un po' a desiderare.
      Io ovviamente preferisco i secondi.

      Poi, oltre ai giallisti seriali (quelli di mestiere), ci sono anche gli scrittori di razza che, di tanto in tanto, si sono cimentati con il giallo (Umberto Eco, Leonardo Sciascia).
      Il quale "giallo", se ben condotto, non deve assolutamente essere considerato un genere di serie B.

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    13. Simenon era molto apprezzato da un letterato esteta come André Gide (ma erano amici - Simenon trovava Gide un po' strano, non era il suo genere). Simenon era apprezzato anche dal nostro professore di francese all'università, Georges Poulet.
      Il giallo può essere di qualità, ma in genere non ha pretese e rango letterari. Quelli di Sciascia non li qualificherei come gialli o solo superficialmente. Sciascia era un autore molto impegnato a cui piacevano i gialli in genere, ma aveva ben altre ambizioni che solo divertire.

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