mercoledì 28 dicembre 2016

Absit iniuria verbis

Libertà di satira e sentimento religioso in un articolo scritto da Paolo Flores d'Arcais nel 2015, dopo l’attentato contro Charlie Hebdo (traduzione dal francese dell’amico Sergio, che ringrazio). Lumen

 
<< La libertà deve essere fra uguali, altrimenti è un privilegio. La libertà deve trovare un limite insormontabile nella libertà uguale dell’altro. Una libertà assoluta è contraddittoria, essa esiste soltanto per colui che considera gli altri a lui soggetti. Ma dove porre i limiti di questa libertà uguale? Perché all’interno di questi limiti la libertà di ciascuno non potrebbe ammettere la minima restrizione senza essere interamente rimessa in gioco.

Papa Francesco (…) ha dichiarato: “Non si può provocare, non si può insultare la fede degli altri, non la si può ridicolizzare.” Parimenti Slimane Chikh, ex rettore dell’Università di Algeri e oggi rappresentante dell’OCI (Organizzazione della cooperazione islamica) a Ginevra: “Qualsiasi libertà deve fermarsi dove comincia la libertà di religione. Gli attacchi ripetuti di Charlie Hebdo contro l’islam sono delle provocazioni.”

Tariq Ramadam, considerato un islamico aperto e riformista, ha parlato di “umorismo dei vigliacchi” con i cadaveri ancora caldi (…). Infine, Tony Barber, redattore capo del Financial Times dichiara il giorno stesso dell’attentato: (…) non si può ammettere la libertà di farsi beffe di ciò che per altrui è sacro. Libertà di critica, d’accordo, libertà di offendere no.

Questa formula sta per diventare egemonica nelle nostre democrazie contemporanee nonostante (e contro) la volontà di milioni di francesi che sono sfilati al motto di “Je suis Charlie”. Questo apparente sillogismo cela un ragionamento fallace che calpesta la logica e mette in pericolo la democrazia. Perché è chiaro: chi deciderà se un’affermazione è semplicemente una critica e non un’offesa?

Wojtyla e Ratzinger si sono spinti più volte fino a rendere i Lumi responsabili dei totalitarismi del XX secolo in quanto volevano rendere l’uomo autonomo da Dio. C’è qualcosa di più fanatico che imputare la responsabilità dei lager e dei gulag a Voltaire e a Hume? Non è questo un insulto per noi tutti ? Si può concepire un oltraggio più grande di questo per la democrazia?

Per Tariq Ramadan “noi non possiamo immaginarci un progresso contro ciò che è stato rivelato”, la stessa cosa afferma Hani Ramadan. Inoltre molti credenti delle tre religioni del Libro (e di più ancora i loro preti, rabbini e imam) considerano gli atei come dei malati mentali o degli invalidi poiché senza fede: sono esistenzialmente atrofizzati perché incapaci di elevarsi al trascendente.

Io potrei essere indignato per le affermazioni dei papi e dei fratelli musulmani. Potrei sentirmi offeso per essere considerato un handicappato spirituale, esattamente come un credente potrebbe sentirsi offeso dalla mia sicura e incrollabile convinzione che tutte le religioni non sono nient’altro che un’accozzaglia di superstizioni.

Prendiamo l’eucaristia: che alcuni immaginino che un profeta ebreo giustiziato sotto l’imperatore Tiberio sia presente in carne e ossa in alcune cialde di pane distribuite ogni domenica durante la messa mi appare come un insulto alla ragione, più allucinante che credere agli oroscopi, alle congiunzioni astrali e alla stregoneria. E spesso ancora più pericoloso, come testimoniano i roghi degli eretici o le numerose notti di San Bartolomeo.

Se il criterio dell’offesa diventa il paradigma della libertà sarà allora la suscettibilità a dirimere. Ma la tua libertà ha un limite nella mia libertà, non nella mia suscettibilità che è per definizione soggettiva e varia da una persona all’altra. Sono libero di farmi beffe della tua religione perché le mie beffe non ti impediranno mai di praticarla, e tu sei libero di ridere delle mie convinzioni atee, ma non puoi impedirmi di dichiararle ad alta voce pretendendo che esse sono un’offesa alla tua sensibilità. Questa è la simmetria della libertà.

Se non fosse così ogni credente sarebbe titolare di un diritto di censura; di conseguenza i fondamentalismi di ogni confessione fisserebbero i limiti della libertà. Sembra un paradosso, ma non lo è affatto. Ragioniamo con calma. Se tu accetti che è proibito farsi beffe di ciò che ciascuno considera sacro allora ne consegue come corollario: quanto più grande è la sua fede, tanto più numerose saranno le espressioni e le azioni che per lui costituiscono non solo un’offesa, ma un sacrilegio.

Quanto più grande è la suscettibilità di un credente (che tocca il suo acme nel fanatismo), tanto più grande sarà il suo diritto di far tacere gli altri: è il risultato logico delle parole di papa Francesco che a tutta prima sembrano ragionevoli, ma anche grondanti tolleranza ecumenica (sono riprese continuamente da tutti i rabbini e gli imam).

Ma c’è di peggio: il criterio della suscettibilità, inerente alla categoria dell’offesa, crea un meccanismo sociale che incoraggia il rilancio: quanto più sono intollerante, tanto più ho diritto di farti tacere, per cui acquisisco sempre più potere allorché allento le redini della mia allergia alle offese, allergia che si trasformerà in risentimento, poi in rabbia, infine fanatismo. Le pulsioni di onnipotenza che sonnecchiano in ciascuno di noi rischiano così di risvegliarsi selvaggiamente.

Aggiungiamo ancora questo: se è giusto censurare ciò che offende le religioni, allora dovremo legiferare in funzione dell’ipersensibilità degli ebrei, dei cristiani, dei musulmani, ma anche dell’idiosincrasia dei testimoni di Geova, dei mormoni, degli adoratori di Manitù (sembra che gli Amerindi desiderino tornare alle origini), senza dimenticare gli scientologi ed altri ancora. Tutto ciò che agli occhi di questa o quella religione, di questa o quella credenza è considerato oggetto di fede sarà colpito da ostracismo.

Che cosa resterà della libertà di critica quando avremo abolito la libertà di offendere? Ogni pretesa di Verità avrà diritto di mettere la museruola a ciò che considera ingiuria. Ma per centinaia di milioni di persone furono sacri Stalin e Mao o anche la “supremazia della razza bianca” secondo il Ku Klux Klan: guai a criticarli ! La logica secondo cui “non si può offendere” è feroce. Una volta affermatasi non potremo premere il pulsante «on-off» a nostro piacere.

E infine: per le religioni non solo la satira è una provocazione, ma anche certe leggi democratiche. Infatti per centinaia di musulmani la legge francese che vieta il velo integrale in pubblico è risentita come offensiva, e milioni di cristiani in Occidente s’indignano delle leggi che permettono alle donne di abortire.

Negli Stati Uniti medici e infermieri che hanno applicato queste leggi sono stati assassinati (e molto probabilmente ne saranno uccisi altri). Dei fanatici? Senza dubbio. Ma erano cristiani che si sentivano mortalmente offesi dalla legge sull’aborto. In sintonia con i monarchi vaticani, Ratzinger e San Giovanni Paolo, che hanno condannato l’aborto come «genocidio dei nostri tempi» paragonando logicamente medici e infermieri che applicano la legge alle SS.

Ma Francesco non si è solo allineato a quanti vogliono proibire l’offesa alla religione degli altri. Ha meglio chiarito il suo pensiero aggiungendo: “Se qualcuno parla male di mia madre deve aspettarsi un pugno in faccia, è normale.” Normale, certo, per un mascalzone o uno di quei machos di una volta. Ma il pugno di Francesco si trasforma facilmente in un revolver in mano a un militante di Pro-Life o in un kalashnikov nelle mani di un islamico. Perché se è la suscettibilità a fissare i limiti della libertà, sarà ancora la suscettibilità a decidere della punizione.

Questa logica oscurantista rimette dunque alla discrezione del fanatico di decidere se il bestemmiatore si prenderà un pugno in faccia o subirà una migliaio di frustate, come il blogger saudita Raif Badawi o magari una mitragliata. In ogni caso il bestemmiatore se la sarà andata a cercare. Del resto questa è l’opinione maggioritaria in non poche scuole di periferia, come riportano degli insegnanti giustamente allarmati.

Ma torniamo alla libertà di espressione che – per essere libertà tra uguali – non può essere assoluta, come abbiamo visto. Ora poiché il razzismo rende impossibile concepire l’uguale dignità degli altri membri della specie «homo sapiens» non può essere ammesso nello spazio pubblico. Ma non dimentichiamo mai questa distinzione: l’antisemitismo è espressione di razzismo e deve essere vietato, la critica dell’ebraismo in quanto religione e l’antisionismo, critica di una politica, devono avere diritto di cittadinanza.

In secondo luogo: i fascismi, cioè quei regimi che in perfetta coerenza con la loro ideologia hanno fatto strame di tutte le libertà democratiche, non possono essere tollerati. Sarebbe assurdo – e persino masochistico - che, dopo aver vissuto la prova tragica del fascismo, corressimo il rischio che altre generazioni siano costrette a “dissotterrare dalla paglia fucili e mitraglie” per riconquistare la libertà al prezzo di sangue e sofferenze.

Conosciamo l’obiezione: e allora i comunisti ? Non sono contro la libertà ? Nell’URSS, in Cina ecc. è così: contraddicono con le loro azioni ciò che proclamano in teoria. Ma io non proclamo in generale “nessuna libertà per i nemici della libertà” (l’espressione è di Saint-Just!): su questa strada c’incammineremmo verso l’arbitrarietà.

Ma dico che è dovere dell’Europa di non dimenticare i morti e i calpestati dai fascismi, di impedire i brodi di cultura in cui possano svilupparsi di nuovo i virus dei fascismi. Ciò si può ottenere con leggi ad hoc e/o con un tabù morale e sociale molto più esteso e dunque più efficace.

Oltre questi interdetti ci sono le leggi ordinarie che puniscono la diffamazione personale (di cittadini reali, non di idee e articoli di fede) e l’incitazione all’assassinio, dunque il terrorismo omicida. Dire “Je suis Colibaly” il giorno dopo che un Coulibaly ha ucciso, è un’incitazione all’assassinio, non libertà d’espressione. È così difficile notare l’abisso di differenza?

Dunque diciamolo senza sfumature e in breve: tra la libertà dei Lumi proclamata dalla folla che gridava «Je suis Charlie» e la laicità «castrata» del papa, dei fratelli Ramadan e del Financial Times, l’Europa deve scegliere perché queste libertà sono inconciliabili. È uno choc delle culture che dobbiamo affrontare, unitamente alla lotta per l’uguaglianza materiale e sociale, con lo stesso impegno: una libertà che non si fondi sull’uguaglianza e la fraternità, non è una libertà repubblicana. > >

PAOLO FLORES D’ARCAIS


49 commenti:

  1. Informazione bibliografica: il testo qui sopra è tratto dal libro di Flores, "La guerra del sacro", Raffaello Cortina Editore, 2016.
    Questo capitolo è stato pubblicato in francese da Philosophie Magazine nel 2015 e proposto, sempre in francese, da MicroMega, la rivista di Flores d'Arcais. La mia inutile e in parte non impeccabile traduzione l'ho fatta prima che si pubblicasse "La guerra del sacro".
    Il libro di F. d'Arcais mi sentirei di consigliarlo nonostante parecchie riserve che io nutra per questo filosofo ex marxista e che oggi propone un quasi comunismo nella nuova costituzione italiana da farsi. Arcais è anche antipatico, si prende troppo sul serio, mai un sorriso o una battuta (eccheccazzo, lasciati andare una volta, "ridi pagliaccio"). Propaganda non più la democrazia ma l'ISOCRAZIA, il potere degli uguali.

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    1. Ti ringrazio per le precisazioni bibliografiche, che mi mancavano totalmente.
      Quanto alla traduzione, mi pare che tu abbia fatto un ottimo lavoro, vista anche la lunghezza del testo.

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  2. Quanto al testo in questione mi sembra che non ci sia nulla da eccepire NELLA PRIMA PARTE. Salman Rushdie, sempre in fuga dai carnefici, ha rivendicato il diritto all'offesa (ma non alla diffamazione!). Come spiega bene Flores se assumiamo come criterio di giudizio la suscettibilità di una persona, buona notte! Chiunque può ritenersi "offeso a morte" da una qualsiasi sciocchezza. Quante offese subiamo tutti giornalmente (ma ne dispensiamo pure, spesso inconsapevolmente). Se dovessimo mettere mano alla pistola ogni volta la società di dissolverebbe in un baleno. Ma, si dice, l'offesa ai sentimenti religiosi è un'offesa speciale che spiega le reazioni dei credenti. Ma questo non può più valere in una società moderna, multiculturale, multireligiosa, multietnica. Le IDEE E CREDENZE RELIGIOSE possono essere discusse, respinte e anche irrise. Non dimentichiamo che questa è stata una conquista dell'illuminismo in occidente. Galileo è quasi finito sul rogo per una "battutina da niente", non per aver messo in dubbio le cosiddette verità di fede (peccato originale, redenzione, verginità di Maria ecc. ecc.), e questo appena quattro secoli fa.
    Arcais intitola il suo libro "La guerra del sacro" in quanto constata che questa guerra è ancora in corso e il risultato incerto. Potrebbe anche vincere il sacro. Il dialogo delle religioni è la chiamata alle armi delle fedi per contrastare la modernità. Papa Francesco ha in pratica dichiarato la sostanziale parità delle religioni alleandosi con l'islam e altre confessioni. Dunque attenzione, la partita è ancora aperta: potrebbe anche vincere il sacro (per quanto strano e improbabile possa apparire a noi occidentali).

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    1. << Potrebbe anche vincere il sacro. >>

      Sì, potrebbe.
      Ma non certo il Cristianesimo, ormai al tramonto su tutta la linea.
      Forse l'Islam, o qualche culto orientale; oppure addirittura nuove forme di religiosità, che ancora non conosciamo.

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    2. Invece io concedo qualche chance al cristianesimo. Non sul piano puramente filosofico o razionale, ma in quanto movimento popolare. Bergoglio sta diventando l'icona della sinistra, si sta mettendo a capo di un vastissimo movimento che conta miliardi d'individui (cattolici e islamici dovrebbero essere attualmente circa tre miliardi). I movimenti non vivono di filosofia e ragionamenti, ma di pulsioni, passioni, rituali, esigenze elementari. E una persona carismatica come il papa può ancora imporre rispetto. Celebrerà ancora la messa o altri riti che sono nient'altro che rituali, eventi, che nessuno avrà il cattivo gusto o la scempiaggine di voler passare al vaglio della ragione. E il potere che sembrava aver scaricato la Chiesa potrebbe ricredersi e avvalersi di nuovo dei suoi servigi. I movimenti vivono di entusiasmi, guarda Cielle. Giussani sapeva entusiasmarli. Mica potevi andare a Rimini e dire: be', ma scusate, la storicità di Cristo mica è certa al cento per cento, e nemmeno che Maria fosse vergine. Con tutto che quelli di Cielle sono degli intellettuali ti manderebbero a quel paese (e magari ti menano pure). Da un lato questi di Cielle - ne ho conosciuti un paio - sono spregiudicati (Giussani attaccava Rahner e Martini - ma non il papa), dall'altro sono anche pratici. Per esempio non ti chiedevano chi fossi e in cosa credessi, ma che programmi avevi. Mica male, ponevano l'azione davanti alla riflessione. Del resto anche Leopardi considerava gli uomini di azione superiori ai meri intellettuali.

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    3. << Invece io concedo qualche chance al cristianesimo. Non sul piano puramente filosofico o razionale, ma in quanto movimento popolare. Bergoglio sta diventando l'icona della sinistra. >>

      Ma le religioni, secondo me, sono un'altra cosa, più passionale, più viscerale, più trascendente: devono portare il fedele in un'altra dimensione, lontana dalle miserie del secolo.
      Tutto questo in Papa Bergoglio non ce lo vedo e la sua popolarità, sicuramente notevole, mi sembra più quella di un leader politico o ideologico, al quale, se togli il buonismo, non resta quasi nulla.
      Solleva simpatie, ma non passioni.

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    4. Ebe' certo, invece di aizzare all'accanaglimento, questo qui ci parla di misericordia e di perdono. A chi volete che interessi tale genere di buonismo? Il buonismo va bene quando serve a caricare ed armare di piu' le parti.
      Invece cosi', neanche un polpaccio sanguignolento da azzannare.
      Niente di niente.
      Piazza San Pietro vuota.
      Un dilettante destinato a fare poca strada, davvero.

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    5. Notate che questo papa e' odiato dai bigotti reazionari, ma un po' anche dai progressisti piu' anticlericali: perche' non corrisponde piu' bene al nemico che era cosi' comodo da attaccare.

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    6. << Ebe' certo, invece di aizzare all'accanaglimento, questo qui ci parla di misericordia e di perdono. >>

      No, guarda, il senso della mia critica non era questo.
      Certo, è mille volte meglio un leader religioso che parla di pace, di perdono e di fraternità, di uno che aizza alla guerra di religione ed al lavacro di sangue.
      Ci mancherebbe.

      Quello che volevo dire io, però, è che la passione religiosa si alimenta di emozioni forti, tendenzialmente trascendenti, per cui se il cristianesimo volesse provare a recupare il terreno perduto nella società, dovrebbe applicare una strategia mediatica molto più "passionale" rispetto a quella a mezzi toni di Papa Bergoglio.

      La mia quindi è una critica oggettiva (sul futuro del cristianesimo) e non soggettiva (sulla caratura della persona).

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    7. Quello che volevo dire e' che se non c'e' "il sangue" la gente non si appassiona e non esprime sentimenti forti, e che so benissimo non essere nelle tue corde, come tutto qui dentro evidenzia.
      Ma tutto sommato questo papa sembra essere "gesuita" nel senso "buono" della parola (o cattivo a secondo dei punti di vista, come sicuramente lo definirebbe il Nietzsche), nel senso di ispirarsi a quello che in qualche modo riconosciamo essere l'aspirazione di quell'entita' non meglio definita che chiamiamo "cristo", e che alla fine dei conti e' nella resistenza alla mera legge dell'evoluzione animale, naturale, e generale, nel bene e nel male. Con buona pace del Nietszche.

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    8. << quell'entita' non meglio definita che chiamiamo "cristo" >>

      Perdonami se faccio il cavillista, ma quell'entità non meglio definita che fa sorgere ed alimenta il pensiero religioso è Dio.
      Cristo è, in fondo, un personaggio storico, non facilmente decifrabile, certo, ma umanamente accessibile.
      Si può strutturare una religione anche senza una figura come il Cristo, ma non senza l'idea metafisica di Dio.

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  3. Invece ciò da cui dissento in questo testo è la messa all'indice di antisemitismo e fascismo. Intendiamoci, non mi considero né antisemita né fascista. Arcais condanna l'antisemitismo, ma non la critica dell'ebraismo e del sionismo. Provate a far capire a un rabbino la differenza (per Arcais sostanziale) tra antisemitismo e antisionismo: sarà difficile, anzi impossibile.
    Stessa difficoltà per me quella di negare il diritto di cittadinanza a fascismo e razzismo. Di nuovo: non mi considero né fascista né razzista, ma probabilmente sarò considerato tale da non pochi contemporanei, preferibilmente "di sinistra". Voglio dire con ciò che questi termini sono oggi abusati. Vorrei che questi crimini (antisemitismo, fascismo, razzismo) fossero ben definiti, in modo preciso e inequivocabile che non possa dare adito a interpretazioni e scappatoie. Il razzismo per es. è diventato ormai il crimine dei nostri tempi (appena vent'anni fa il discorso sul razzismo non era così pervasivo e onnipresente come oggi). Uno che rifiuta "l'accoglienza" di mezza Africa passa per razzista, ma andiamo!
    Un'altra boiata dei nostri tempi è il quasi dogma della "diversità come ricchezza" da insegnare fin dall'asilo! Perciò anche la guerra agli "stereotipi" che invece sono utili per orientarsi. I "modi di dire" (compresi i proverbi vetusti e ridicoli) hanno una loro utilità. Se li eliminassimo e ci inventassimo ogni giorno una lingua diversa - creativa, poetica - non so se ci capiremmo, non credo. Che bello invece che chiamiamo ancora il pane pane come i latini (e tanti altri termini e concetti tramandati). Che bella cosa la tradizione. Adesso sparate pure, denunciatemi come reazionario (e fascista, razzista, antisemita).
    Ecco, sulla suscettibilità Flores d'Arcais ha mille ragioni, il discorso è chiuso, la sentenza definitiva. Ma sul resto non so (quel "quasi comunismo" nella nuova costituzione non mi piace).

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  4. << Invece ciò da cui dissento in questo testo è la messa all'indice di antisemitismo e fascismo. >>

    Caro Sergio, anch'io ho trovato un po' forzato questo distinguo (pur non rientrando, ovviamente, in nessuna delle due categorie).
    In effetti la libertà di pensiero deve essere un diritto pieno, che non accetta distinguo.
    L'unica netta linea di separazione, ben evidenziata anche da Flores d'Arcais, è quella che intercorre tra la critica al pensiero altrui (sempre lecita) e l'offesa alla singola persona o l'istigazione a delinquere (per le quale, giustamente, c'è il codice penale).

    Ma ogni gruppo ha i suoi nervi scoperti e le sue suscettibilità "non negoziabili".
    Quindi anche gli Stati formalmente laici si trovano spesso in imbarazzo a gestire queste situazioni.
    Tu non ci crederai, ma a volte mi viene da fare l'elogio del 'cuius regio, eius religio'. :-)

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    1. Tu non ci crederai, ma io ho a volte nostalgia del bel tempo andato. Che era tutt'altro che bello, ma aveva dei riferimenti precisi che ti permettevano di orientarti (e anche di combattere e rifiutare poi quei riferimenti, come ho fatto io con il cattolicesimo). C'è un racconto E. A. Poe che mi ha colpito, "William Wilson". Questo Wilson ha un acerrimo nemico contro il quale combatte tutta la vita finché un giorno lo fa fuori. A quel punto viene a mancargli il "senso della sua vita" (combattere quel tale). La vittoria totale sul nemico crea un istante euforia, ma poi ... sei senza lavoro, ti tocca cercare un altro nemico. Forse è meglio non voler stravincere, è meglio accontentarsi di mezze vittorie. Nel Vangelo dell'India, la Bhagavad Gita, un eroe domanda a Dio: fammi un esempio di vittoria. E Dio: La sconfitta. E un esempio di sconfitta? Dio: La vittoria. Mica male questo Dio.

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    2. "bel tempo andato che era tutt'altro che bello, ma aveva dei riferimenti precisi"

      Allora ci si abbeverava ad una delle due o tre chiese (religiose o laiche), ed era chiaro chi era l'amico e chi era il nemico (il nemico era l'"altro").
      Adesso e' un po' piu' complicato, le chiese sono di piu', ma i concetti di base sono gli stessi: chiese, appartenenza, di qua o di la', amico, nemico.
      Non e' difficile, ci si puo' adattare.

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    3. Mi mandano questo, banale nella sua ovvieta':

      http://www.stradeonline.it/innovazione-e-mercato/2499-si-sta-meglio-di-quando-si-stava-peggio-alla-faccia-del-declinismo-poverista

      Non leggetelo, e' un covo di perfidi liberisti, che sono quelli che hanno tutto il potere e hanno distrutto tutto, ci rovinano il cervello :)

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    4. << Adesso e' un po' piu' complicato, le chiese sono di piu', ma i concetti di base sono gli stessi: chiese, appartenenza, di qua o di la', amico, nemico. >>

      In effetti è proprio così.
      Il dualismo "noi / loro" è ineliminabile dal consesso umano e sapete perchè ?
      Per colpa di qulla cosa che non nomino per non diventare noioso.

      Il comico è che se la faccenda, in origine, aveva una motivazione squisitamente genetica (NOI sono i miei consanguinei, LORO sono i non consanguinei), la cultura l'ha stravolta sino a farla diventare qualcosa di evolutivamente insensato (NOI sono i miei compagni di ideologia, LORO tutti gli altri).
      E per questo ci si ammazza pure !

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    5. "la cultura l'ha stravolta"

      Ma infatti per la creatura eminentemente fenotipica che e' l'uomo, il meme ha completamente sostituito il gene, anche nel senso che gia' adesso se al meme il gene non gli va bene, lo sostituisce con quello "di scorta", adeguatamente modificato.

      Le regole evolutive per errori, tentativi, e selezione, pero' sembrano essere rimaste piu' o meno le stesse, sia per il gene che per il meme (vi ho a suo tempo inviato in mail un ottimo scritto di Lorenz in cui si ri-conosce che quello biologico e' un processo di apprendimento).

      Ma le "suorine di sinistra", come le chiama M.Fini, preferiscono ancora il vecchio gene.

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    6. << Ma le "suorine di sinistra", come le chiama M.Fini, preferiscono ancora il vecchio gene. >>

      In che senso ?
      E, secondo te, per quale motivo ?

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    7. Nel senso che al meme che modifica il gene, preferiscono il gene che controlla il meme: nell'avversita' agli OGM, per esempio.
      Paradossalmente, perche' per altri versi il pensiero determinista e' da loro considerato di destra, reazionario, e in effetti almeno un po' lo e'.
      Mah.

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    8. << il pensiero determinista e' da loro considerato di destra, reazionario, e in effetti almeno un po' lo e'. >>

      Lo penso anch'io.
      In fondo il determinismo è - sostanzialmente - un difensore dello status quo, sul presupposto che le cose sono come sono, e non c'è verso di cambiarle.
      Il comunismo, invece, è ancora lì, perso nei suoi sogni, nell'ammirevole (ma patetico) tentativo di costruire l' "uomo nuovo".
      Hai voglia...

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    9. A parte che il comunismo, a sua volta, e' assolutamente deterministico nel ritenere ineluttabile lo svolgersi della storia verso l'avveramento del comunismo stesso.
      Quella di Marx e' una predizione esplicitamente profetica che non lascia scampo.
      Quindi anche il comunismo e' reazionario, tutto sommato.
      Mi chiedo come si possa aver perso tempo dietro ad idee infantili del genere, proiezioni di personali, e sociali, deliri di onnipotenza, e come si possa continuare a farlo - e lo stesso vale per altre similari religioni.

      Il problema principale e' la ybris, l'uomo nasce sotto forma di bambino gia' pienamente dotato di delirio di onnipotenza.

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  5. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  6. Insomma, questo e' il tema principe, stradiscusso e sviscerato, con tutti i suoi limiti, equilibri precari, e contraddizioni, del liberalismo: e' il "principio di non aggressione". Non e' il caso di citare d'arcais per sperare di ricavarne qualcosa, la cui cultura e', all'opposto, giacobina.

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  7. << il tema principe (...) del liberalismo: e' il "principio di non aggressione". >>

    Che non mi pare cosa da poco, essendo ben poco presente nella lunga storia dell'uomo.
    Quindi, teniamocelo stretto, senza criticarlo troppo o, addirittura, disprezzarlo.

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    1. Quello che intendo dire e' che D'Arcais e' la fonte meno indicata per parlarne.

      En passant, quando dice:
      "C’è qualcosa di più fanatico che imputare la responsabilità dei lager e dei gulag a Voltaire e a Hume? Non è questo un insulto per noi tutti? Si può concepire un oltraggio più grande di questo per la democrazia?"

      ha solomolto parzialmente ragione: fascismo e soprattutto nazismo potevano anche essere movimenti su base irrazionalista (ma fino ad un certo punto, la teoria della razza all'epoca era scientifica non meno di quella della classe), ma il comunismo, che ha fatto di gran lunga piu' morti, no, pretendeva di essere una verita' scientifica razionalmente ed empiricamente dedotta.
      Inoltre, sulla democrazia come valore in se' ci sarebbe molto da obiettare: se si traduce in "dittatura della maggioranza", cosa che di fatto sono stati sia il fascismo che il nazismo (la stragrande maggioranza della popolazione approvava entusiasticamente i relativi governi), non vale una cicca in piu' di un tiranno sotto forma di singola persona, anzi e' peggio in quanto piu' difficilmente abbattibile e contraddicibile.

      Infatti, i nostri ordinamenti attuali sono un misto di diritto decretato dalla maggioranza (democrazia) e diritto naturale che ne limiti costituzionalmente l'arbitrio (il diritto naturale e' quello che i papi sopra chiamano Dio).

      Naturalmente cio' solleva problemi a non finire (chi interpreta il "diritto naturale"? i sacerdoti o semplicemente lo consideriamo come "vox populi", costume e usanza? Ma in tal caso in cosa esso si differenzia da una dittatura della maggioranza?)

      Fra l'altro, D'Arcais omette il comunismo fra le religioni. Perche'? Se lo comprendesse, il resto del discorso che egli fa resterebbe ugualmente valido, nella sua logica.

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  8. << Fra l'altro, D'Arcais omette il comunismo fra le religioni. Perche'? >>

    Buona domanda.
    I motivi potrebbero essere 2, molto diversi tra loro.
    Il primo motivo, di carattere teorico, potrebbe essere che ritiene corretto usare il termine 'religione' solo quando si fa riferimento ad un essere trascendente (e, per quel che vale, anch'io la penso così).
    Il secondo, molto più banale e concreto, è che del social-comunismo, in fondo, è figlio anche lui.

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    1. uno: ci sono religioni avanzate come il buddismo che non presuppongono alcun essere trascendente, ma danno lo stesso una spiegazione del senso (o del non senso) del mondo.
      due: "religione" in qualche modo oggi come oggi e' un termine negativo: dire di un qualcosa che "e' una religione" non e' un complimento. Ma della "vera religione" secondo me non si e' consapevoli, non la si considera tale, dato che e' la metafisica in cui si e' immersi: per questo D'Arcais non annovera il comunismo, la sua religione, fra le altre. La propria religione non e' mai una religione come le altre.

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  9. @ Lumen

    "Si può strutturare una religione anche senza una figura come il Cristo, ma non senza l'idea metafisica di Dio."

    Effettivamente il Cristo è un Dio minore (oltretutto non riconosciuto dalla stragrande maggioranza degli uomini). Tempo fa dicevi che il "problema di Dio" (esiste, non esiste, che faccia ha ecc.) è fondamentale (o qualcosa del genere). Nel senso, immagino, che devi affermarne o negarne l'esistenza, come avrai fatto tu. E dall'affermazione o negazione segue la condotta di vita. D'altra parte anche i cattolici oggi, e persino il papa, consigliano certe condotte "etsi Deus non daretur" perché sarebbe comunque meglio. Era del resto quello che pensava Pascal e ciò che pensa anche Küng: nel caso Dio non esista ho avuto lo stesso una buona vita seguendo la morale cristiana o cattolica.
    Il filosofo contemporaneo Sossio Giametta, di cui ti ho più volte parlato (ho avuto un lungo scambio con lui finché mi ha tolto il saluto perché frequentavo ... Melis, uno - secondo lui - che ha frodato il popolo italiano percependo gli emolumenti di professore universitario che assolutamente non merita), dunque sto Sossio (è il nome di un santo meridionale) ha pubblicato un libro dal titolo "I pazzi di Dio" (un grosso volume che mi ha pure regalato perché era introvabile). Giametta ovviamente è un agnostico (che per personalmente è sinonimo di ateo) ma anche lui ritiene la questione di Dio inevitabile: bisogna farci i conti. E quello strambo, ma anche interessante filosofo che era Sgalambro (non apprezzato da Giametta), diceva: "Che fessi gli atei, si privano della cosa più interessante". Lui era infatti un credente, ma ovviamente a modo suo (non era cattolico). Il Dio di Sgalambro non è buono e misericordioso, è tremendo. Debbo dire che un po' più di chiarezza da parte di questi filosofi o sedicenti tali mi piacerebbe. Anche il famoso "perché non possiamo non dirci cristiani" è ambiguo. Intanto proverei a chiedergli cosa significhi essere cristiani. Amare il prossimo nostro come noi stessi? Sarebbe l'essenza del cristianesimo (penso) come l'essenza del comunismo è o sarebbe "tutti secondo le proprie capacità, a tutti secondo le proprie necessità". Entrambe le formule inattuate e inattuabili (o forzando la propria natura, con squilibri mentali e fisici).

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    1. (continuazione)

      Mi riferivo ovviamente a Croce con "non possiamo non dirci cristiani" (ma mi sembra che anche Russel abbia detto qualcosa del genere). Sì, non bisogna essere troppo pignoli, sappiamo come entrambi la intendevano (non erano cattolici o cristiani).
      Volevo aggiungere che non intendo dire che i veri cristiani e comunisti sono degli squilibrati perché forzano la propria natura. La nostra natura è di permanere nel nostro stato, innanzi in vita e seguendo un regime sano (per vivere a lungo). La rinuncia alla sessualità dicono che può essere sublimata. Vero in parte, ma sappiamo che sentine di vizi fossero i conventi. Sicuramente ci sono stati e ci sono religiosi esemplari che meritano rispetto e anche riconoscimento per la loro abnegazione. Ma è proprio necessario macerarsi, rinunciare a tutto? Tanti buoni cristiani e religiosi si sentono subito in colpa "se si fanno del bene, se si concedono persino innocenti piaceri". Com'è possibile essere uomini e donne vivendo solo e interamente per gli altri? È contro la natura direi. E i "peccati contro natura" si pagano. Certo puoi sempre sperare nella vita eterna.

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    2. "Si può strutturare una religione anche senza una figura come il Cristo, ma non senza l'idea metafisica di Dio"

      Non vorrei che questa fosse una tecnica per relegare la religione a problema altrui.

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  10. << Volevo aggiungere che non intendo dire che i veri cristiani e comunisti sono degli squilibrati perché forzano la propria natura. >>

    Caro Sergio, è vero, le religioni, con le loro regole rigide e spesso autolesionistiche (ma Luigi De Marchi anche ha spiegato perchè), sembrano presupporre dei fedeli (un poco) squilibrati.

    Ma io proverei a rovesciare il ragionamento, come mi capita spesso di fare in materia di religione (da intendersi qui in senso lato, come propone Diaz).

    Ovvero, come è la cultura storica di un popolo che porta ad una certa specifica religione (che con quella tradizione deve essere compatibile), così è possibile che le singole religioni attirino più facilmente le persone che, per accidente personale, hanno già una certa tendenza verso i loro valori.

    Queste persone diventeranno fedeli assidui e convinti (con gli eventuali eccessi del caso), mentre le altre, che non hanno una vera affinità di intenti (ma sono vittime del 'cuius regio'), resteranno dei fedeli pro-forma, che seguiranno i precetti solo esteriormente, oppure a modo loro.

    Ti pare un'ipotesi ragionevole ?

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    1. Mah, non so, mi sembri troppo sottile. Penso più grossolanamente che non siano tanto certi valori ad attirare determinate persone. L'istinto gregario mi sembra spieghi a sufficienza l'aggregazione a certi gruppi e religioni. Far parte di, appartenere al gruppo, specie per soggetti deboli, esercita una grande attrazione, ti fa subito sentirti qualcuno, sei dunque più forte. Al punto che sei persino capace di affrontare la morte per sentirti parte di quel gruppo. Pensa a quei poveri martiri cristiani che affrontavano il sacrificio supremo, nella speranza sì del paradiso, ma anche di provare la propria fedeltà al gruppo da cui dipendevano interamente. Però c'erano anche i ... relapsi - che davanti alla prospettiva della distruzione optavano per la vita. In loro vinceva l'istinto di autoconservazione - che però pagavano con il disprezzo del gruppo. Però erano vivi (con complessi di colpa, la coscienza di essere stati dei vili).

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    2. Ma la cosa vale ovviamente anche per i nostri brigatisti rossi e i terroristi attuali: il gruppo ti dà la carica, ti fa persino vincere l'istinto di sopravvivenza. Si fanno persino saltare in aria (che gioia, che orgasmo). Si dice che i santi e gli eroi sono in fondo gente normale che fanno quel che fanno non tanto per eroismo (virtù richiesta per la canonizzazione) ma per convinzione). Ciò che a una persona "normale" appare pazzesco (tanto è vero che i normali, che costituiscono il 99,9% non ne sono capaci) loro lo fanno spontaneamente, "con naturalezza." Wojtyla invitava al martirio, al motto di "armiamoci e partite".

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    3. << Si dice che i santi e gli eroi sono in fondo gente normale che fanno quel che fanno non tanto per eroismo (...) ma per convinzione >>

      Sarà che a me lo spirito eroico ha sempre fatto difetto (non cerco i riflettori), ma comprendere certe posizioni e certi gesti mi è sempre risultato difficile.
      Quando leggo dei tantissimi giovani che sono andati VOLONTARI in guerra per aiutare il proprio paese (o - peggio - la propria casa ideologica), spinti magari dalla propaganda ufficiale, resto sempre disorientato.

      Potenza del meme (ma anche del sempre attuale "armiamoci e partite", che giustamente citavi).

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    4. La nostra socialita' e' istintivamente tribale, sembrerebbe.

      Lo si vede al meglio nel tifo durante le manifestazioni sportive, non c'e' dubbio che li' opera un potentissimo istinto di gruppo.
      Come diceva qualcuno, che l'individuo all'interno del gruppo sia altruista, mentre il gruppo e' egoista, si spiega originariamente con la selezione di gruppo (del resto poiche' il pool genetico e' disperso nell'intera popolazione, una selezione di gruppo dell'intera popolazione su qualche altra non e' difficile da spiegare).

      Ma a quanto pare non c'e' limite alla dimensione del "gruppo tribale" che fa da unita' di selezione, se non nella tecnica che ne rende possibile l'auto-indottrinamento e l'organizzazione burocratica estesa, fino a travalicare completamente ogni residuo di comunanza genetica, e rendere importante solo quella di appartenenza ideologica.


      Dopo le scoperte della genetica e delle leggi dell'evoluzione, ha provato il nazismo a tornare, trasformando una grande nazione moderna in un'immensa tribu', ad una selezione basata sulla razza, ma non ha funzionato, ha stravinto la comunita' dei meticci ;)

      D'altra parte sembrerebbe impossibile il sogno dell'estensione del gruppo tribale all'intera popolazione umana, finche' ne resti uno solo, geneticamente o ideologicamente definito, in quanto il gruppo tribale risulta definito solo dalla contrapposizione con un altro gruppo. Nel momento in cui la contrapposizione cessa, si scioglie anche il gruppo.

      In effetti vien quasi da pensare che i gruppi in contrapposizione ideologica preesistano all'ideologia che li contrappone, la quale serve solo da pretesto. Il vero scopo e' la creazione del gruppo.

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    5. << vien quasi da pensare che i gruppi in contrapposizione ideologica preesistano all'ideologia che li contrappone, la quale serve solo da pretesto. Il vero scopo e' la creazione del gruppo. >>

      Una considerazione interessante.
      Forse questo non è l'unico scopo, ma probabilmente è il più importante.

      Comunque, quando saremo diventati un unico gruppo tribale su tutta la Terra, potremmo sempre provare a cotrapporci ai marziani (o ai venusiani, a scelta). :-)

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    6. Non servono i venusiani, abbiamo sottomano il riscaldamento globale, che sembra prestarsi sufficiente bene come pretesto per le prossime crociate.

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    7. Beh, tu sai come la penso.
      Che i venusiani (e i marziani) non esistono.
      Il riscaldamento globale (antropico), invece, sì.

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  11. Pur non condividendone in generale la filosofia politica, le riflessioni di Flores d'Arcais sulla teoria/pratica della Laicità (qualcuno direbbe Laicismo) mi sembrano sempre ben argomentate e preziose...

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    1. Caro Claudio, sono d'accordo con te.
      D'altra parte, è cosa saggia saper imparare da tutti, anche (soprattutto ?) da chi ha posizioni ideologiche diverse dalle nostre.

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    2. Già! In altri termini, si tratterebbe di (cercare di) guardare al contenuto anzichè al contenitore... Posso aggiungere che con figure come Flores D'A. tale operazione mi costa una fatica pressochè nulla a confronto di quanto succede con altri personaggi, ad es. quei comunisti trinariciuti che dopo il 1990 si sono disinvoltamente trasformati in ultras clerico-nazionalisti (forse però il "salto" non è così sorprendente...)

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    3. << si tratterebbe di (...) guardare al contenuto anzichè al contenitore. >>

      Appunto.
      Sembra una cosa ovvia, e di evidente utilità, eppure quante persone risultano incapaci di farlo e si limitano a "ragionare per appartenza" ?
      I limiti delle ideologie, non stanno forse tutte in questa discrasia ?

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    4. In effetti, una volta si parlava ad es. di "voto di opinione" (laico, empirico, pragmatico...), concetto ora quasi completamente dimenticato. Aggiungerei che la complessità e la frenesia delle società (occidentali) contemporanee fanno in modo che spesso non si abbia più modo/tempo/voglia di entrare nel merito delle singole questioni e quindi risulti più comodo "ragionare per appartenenza" o "per tifoseria": atteggiamento indubbiamente favorito dall'indottrinamento ideologico-politico-religioso cui (in misura maggiore o minore a seconda dei vari contesti culturali) siamo sottoposti fin dall'infanzia (cfr. le riflessioni ancora attuali del brillante 'free-thinker' proto-illuminista J.Toland al riguardo)...

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    5. "atteggiamento indubbiamente favorito dall'indottrinamento"

      Ma questa e' una costante antropologica, non c'entra l'occidentalismo o altro, la costante e' il tribalismo.
      Le nazioni sono solo grandi, enormi, immense tribu', e al loro interno ci sono le sottotribu'.
      In ogni caso, non va apprezzato chi, come d'arcais, usa i due pesi e due misure esattamente nel senso, tribale, qui criticato, e che sergio riconosce sopra (il problema pero' e' fino a che punto vada tollererato chi e' intollerante - cosa che vale per d'arcais come per quelli da lui criticati)

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    6. << il problema pero' e' fino a che punto vada tollererato chi e' intollerante >>

      E dici niente.... ;-)

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    7. Per W. Diaz:
      pienamente d'accordo rig.do alla diffusione del Tribalismo (la parentesi sui vari contesti culturali intendeva appunto sottolineare la dimensione certamente non solo occidentale del problema)...

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  12. CONGEDO DEL VIAGGIATORE CERIMONIOSO

    Amici, credo che sia
    per me meglio cominciare
    a tirar giù la valigia.
    Anche se non so bene l'ora
    d'arrivo, e neppure
    conosca quali stazioni
    precedano la mia,
    sicuri segni mi dicono,
    da quanto m'è giunto all'orecchio
    di questi luoghi, ch'io
    vi dovrò presto lasciare.

    Vogliatemi perdonare
    quel po' di disturbo che reco.
    Con voi sono stato lieto
    dalla partenza, e molto
    vi sono grato, credetemi,
    per l'ottima compagnia.

    Ancora vorrei conversare
    a lungo con voi. Ma sia.
    Il luogo del trasferimento
    io ignoro. Sento
    però che vi dovrò ricordare
    spesso, nella nuova sede,
    mentre il mio occhio già vede
    dal finestrino, oltre il fumo
    umido del nebbione
    che ci avvolge, rosso
    il disco della mia stazione.

    Chiedo congedo a voi
    senza potervi nascondere,
    lieve, una costernazione.
    Era così bello parlare
    insieme, seduti di fronte;
    così bello confondere
    i volti (fumare,
    scambiandoci le sigarette)
    e tutto quel raccontare
    di noi (quell'inventare
    facile nel dire agli altri),
    fino a poter confessare
    quanto, anche messi alle strette,
    mai avremmo osato un istante
    (per sbaglio) confidar).

    (Scusate, è una valigia pesante
    anche se non contiene un gran che:
    tanto che io mi domando perché
    l'ho recata, e quale
    aiuto mi potrà dare
    poi, quando l'avrò con me.
    Ma pur la debbo portare,
    non fosse che per seguire l'uso,
    Lasciatemi, vi prego, passare.
    Ecco, ora che essa è
    nel corridoio, mi sento
    più sciolto. Vogliate scusare).

    Dicevo che era bello stare
    insieme. Chiacchierare.
    Abbiamo avuto
    qualche diverbio, è naturale.
    Ci siamo - ed è normale
    anche questo - odiati
    su più d'un punto, e frenati
    soltanto per cortesia.
    Ma, cosa importa. Sia
    come sia, torno
    a dirvi, e di cuore, grazie
    per l'ottima compagnia.

    Congedo a lei, dottore,
    e alla sua faconda dottrina.
    Congedo a te, ragazzina
    smilza, e al tuo lieve afrore
    di ricreatorio e di prato
    sul volto, la cui tinta
    mite è sì lieve spinta.
    Congedo, o militare
    (o marinaio! In terra
    o come in cielo ed in mare)
    alla pace e alla guerra.
    Ed anche a lei, sacerdote,
    congedo, che m'ha chiesto s'io
    (scherzava!) ho avuto in dote
    di credere nel vero Dio.

    Congedo alla sapienza
    e congedo all'amore.
    Congedo anche alla religione.
    Ormai sono a destinazione.

    Ora che più forte sento
    stridere il freno, vi lascio
    davvero, amici. Addio.
    Di questo sono certo: io
    son giunto alla disperazione
    calma, senza sgomento.

    Scendo. Buon proseguimento.

    (Giorgio Caproni (1912 - 1990)

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