mercoledì 17 agosto 2016

Lavori in corso - 3

(Si conclude qui il lungo articolo di Maurizio Pallante sul rapporto tra decrescita e occupazione. Lumen)


(terza parte)

<< Tutto ciò non ha nulla a che fare con la cosiddetta “green economy”, di cui tanto si parla. È indispensabile precisarlo per evitare pericolosi fraintendimenti e prevedibili fallimenti.

La green economy, che ha la stessa matrice culturale del cosiddetto sviluppo sostenibile, è un tentativo di rilanciare la crescita economica potenziando alcuni settori produttivi con minor impatto ambientale: sostanzialmente le energie alternative in sostituzione delle fonti fossili. È un tentativo di cambiare qualcosa affinché non cambi niente. Non tiene in considerazione il fatto che la fase storica dell’industrializzazione fondata sulla crescita economica si sta chiudendo ed è necessario aprirne un’altra se si vuole evitare che la chiusura avvenga con un crollo che seppellirebbe l’umanità sotto le sue macerie.

La green economy e la necessità di sostituire le fonti fossili con le fonti rinnovabili è stata propugnata con forza dall’attuale presidente degli Stati Uniti, che ha trovato in Italia epigoni entusiasti in alcune associazioni ambientaliste. In realtà la politica energetica che è scaturita dai suoi buoni propositi ha riproposto le trivellazioni petrolifere in Alaska, non ha contrastato le trivellazioni petrolifere nelle profondità sottomarine, ha rilanciato il nucleare, l’incenerimento dei rifiuti, il confinamento non si sa dove della CO2.

Nell’ottica della decrescita, la politica energetica deve in primo luogo puntare a ridurre i consumi attraverso una riduzione maniacale degli sprechi, delle inefficienze e degli usi impropri. La percentuale su cui si può lavorare è il 70 per cento degli attuali consumi, che, grosso modo si suddividono in tre grandi settori equivalenti: il riscaldamento degli ambienti, l’autotrasporto, la produzione di energia termoelettrica.

Per ottenere questo risultato c’è da lavorare per i prossimi decenni in attività che ripagano i loro costi d’investimento con la diminuzione dei costi di gestione. Solo in un quadro di riduzione drastica dei consumi-spreco diventa possibile e interessante la progressiva sostituzione delle fonti fossili con fonti rinnovabili, sia perché non ha senso produrre bene l’energia e continuare a consumarla male, sia perché le fonti rinnovabili non sono in grado di offrire lo stesso apporto quantitativo di energia e con la stessa continuità delle fonti fossili.

Sebbene nessuno a parole contesti questa impostazione, nei fatti tutte le aspettative e tutte le proposte sono incentrate sulla sostituzione delle fonti, nell’attesa messianica della fonte miracolosa, pulita e inesauribile, in grado di liberare l’umanità da ogni limitazione, mentre la riduzione dei consumi viene considerata con sufficienza, come un’attività di routine, priva del fascino dell’innovazione. Forse perché è in grado di realizzare una prospettiva concreta e interessante di decrescita, sovvertendo il paradigma culturale dominante ?

Ma c’è un altro elemento che incide pesantemente nel determinare il divario tra il gran parlare di fonti rinnovabili e l’assoluta insufficienza delle realizzazioni. Un elemento insito nella concezione della green economy come scelta strategica per far ripartire la crescita economica, come fattore di continuità e non di cambiamento rispetto a un sistema produttivo giunto al suo capolinea storico. Ciò che sfugge ai sostenitori della green economy è che la sostituzione delle fonti fossili con fonti rinnovabili implica una ristrutturazione complessiva del sistema energetico.

La maggior parte dell’energia non dovrà più essere prodotta in grandi centrali, ma in una miriade di piccoli impianti per autoconsumo collegati in rete per scambiare le eccedenze. Solo in questo modo si potranno risolvere i problemi legati alla discontinuità delle fonti rinnovabili, si potrà minimizzare il loro impatto ambientale, si potranno ridurre le perdite di trasmissione. Di conseguenza, la rete di distribuzione non potrà più essere strutturata su grandi dorsali con derivazioni ad albero, ma dovrà essere reimpostata come una rete di reti locali sul modello di internet. L’opera non è da poco, ma i problemi tecnici che pone non presentano difficoltà insormontabili.

Molto più difficili da risolvere sono i problemi politici, perché ciò che mette in discussione è il potere delle società multinazionali che gestiscono il mercato energetico. Le quali sono disponibili a investire e stanno investendo nelle fonti rinnovabili perché si rendono conto che è inevitabile, ma non possono accettare che l’autoproduzione riduca le loro quote di mercato. Non possono accettare che gli incentivi con cui i governi sostengono il settore vadano a una miriade di auto-produttori anziché a rimpinguare i loro bilanci.

Con l’alibi della riduzione dell’effetto serra e della creazione di occupazione nella green economy, i grandi impianti a fonti rinnovabili oltre a devastare il paesaggio e i terreni agricoli, implementano legalmente - con denaro prelevato dalle tasche dei contribuenti - gli utili delle grandi aziende energetiche. Con la copertura di tutti i partiti e di alcune associazioni sedicenti ambientaliste. E con la possibilità, sempre presente quando si sostengono con denaro pubblico attività in perdita, che una parte di quel denaro sia dirottata illegalmente in altre tasche, dove non dovrebbe arrivare, come alcune operazioni intercettate dalla magistratura lasciano supporre sia accaduto o stesse per accadere.

La scelta strategica di spostare l’asse della produzione energetica su piccoli impianti di autoproduzione con scambio delle eccedenze in una rete di reti locali sul modello di internet, si inserisce nella seconda scelta strategica di una politica economica finalizzata a creare occupazione nelle tecnologie che consentono di attenuare la crisi ambientale: l’inversione della tendenza alla globalizzazione e la rivalutazione delle economie locali. La tendenza alla globalizzazione è funzionale alla crescita della produzione di merci e ha caratterizzato il modo di produzione industriale sin dagli inizi, insieme agli altri due processi paralleli delle migrazioni e dell’urbanizzazione.

Va da sé che se si identifica la crescita col benessere e col progresso, si valutino positivamente questi tre fenomeni, perché sono indispensabili per estendere il numero dei produttori e dei consumatori di merci. Ma non può sfuggire la loro relazione causale con la crisi energetica, i mutamenti climatici, le gravi diseguaglianze tra popoli poveri e popoli ricchi, l’impatto ambientale e le degenerazioni del sistema agro-industriale, i peggioramenti delle condizioni contrattuali dei lavoratori dipendenti e la crescita della disoccupazione nei paesi industrializzati.

La prima reazione agli effetti devastanti della globalizzazione si è avuta nel settore agro-alimentare con la rivalutazione dei prodotti tipici locali, delle cultivar autoctone, della stagionalità, delle cucine tradizionali, delle filiere corte, dei mercati contadini. In questa inversione di tendenza, che ha assunto le connotazioni di un’alternativa globale ai prodotti insapori, avvelenati e destagionalizzati dell’agricoltura chimica, trasformati in cibi standardizzati dall’industria alimentare, trasportati a distanze anche intercontinentali e commercializzati dalla grande distribuzione organizzata, un ruolo decisivo è stato svolto da alcune associazioni di produttori e di acquirenti (…).

La rivalutazione dei modi di produzione tradizionali e la commercializzazione diretta tra produttori e acquirenti si sta estendendo al settore dell’abbigliamento con risultati sorprendenti. Aziende che lavoravano come conto-terziste per grandi marchi ed erano costrette dalla concorrenza internazionale a subire condizioni contrattuali che le obbligavano a ridurre il personale, delocalizzare in paesi con manodopera a costi inferiori, utilizzare materiali scadenti e tecniche di lavorazione inquinanti, sono riuscite a liberarsi dal giogo della globalizzazione vendendo direttamente le loro merci ai gruppi di acquisto solidale.

Poiché operano a dimensione locale, realizzano prodotti svincolati dalla necessità di adeguarsi alle variazioni imposte in continuazione dalla moda e saltano le intermediazioni commerciali, possono utilizzare materiali qualitativamente superiori e tecniche di lavorazione tradizionali meno inquinanti. Nonostante ciò riescono a vendere a prezzi molto inferiori a quelli delle grandi marche e al contempo più remunerativi per loro, per cui hanno rilocalizzato e assunto nuovi occupati a eque condizioni contrattuali.

Anche nell’esperienza di queste aziende la crescita dell’occupazione è stata consentita dal rifiuto della crescita della produttività e dal rifiuto della ricerca spasmodica di ridurre i costi di produzione per far fronte alla concorrenza internazionale, ma da scelte di carattere qualitativo che comportano la riduzione del consumo di “merci che non sono beni” (e, quindi, una decrescita guidata del PIL): capi d’abbigliamento confezionati per durare nel tempo, che con un apparente ossimoro si possono definire di moda durevole; produzione per mercati locali e riduzione del consumo di fonti fossili per il trasporto; uso di materiali e tecniche di lavorazione ecocompatibili; patto di fiducia reciproca tra produttori e acquirenti basato sulla trasparenza del prezzo; fidelizzazione della clientela mediante una commercializzazione finalizzata ad accrescere la conoscenza di come è fatto ciò che si compra; vendita diretta senza intermediazioni commerciali. (…)

Contro i cantori a voce spiegata della globalizzazione e dei suoi presunti vantaggi, conto i rauchi coristi dei presunti vantaggi di una globalizzazione ben guidata alternativa a quella attuale, in molte realtà territoriali si stanno riscoprendo i vantaggi reali delle economie autocentrate, fondate sull’uso di risorse locali e sulla loro commercializzazione in ambito locale in relazione ai prodotti fondamentali per la vita: il cibo, l’energia, la costruzione delle abitazioni. (…)

Una comunità locale che si nutra prevalentemente di cibi prodotti nel territorio, che utilizzi le fonti energetiche rinnovabili disponibili sul territorio (acqua, sole, vento), che usi i materiali da costruzione presenti nel territorio anche per abbattere i consumi energetici degli edifici, può attenuare gli impatti negativi derivanti da una diminuzione dell’offerta e da un aumento dei prezzi delle fonti fossili molto meglio di una comunità che ne dipenda totalmente. Come è stato detto felicemente, mutuando un concetto della fisica, acquista una maggiore resilienza.

Ma per ridurre la dipendenza dalle fonti fossili in agricoltura, nell’energia e nelle costruzioni occorre potenziare il numero degli occupati in questi settori. Soprattutto in agricoltura, dove è fondamentale invertire la tendenza degli ultimi decenni a ridurre il numero degli addetti, sostituendo il lavoro umano con l’uso di una chimica devastante. Oltre a recuperare la sovranità alimentare e, quindi, a fornire una maggiore sicurezza alle popolazioni, lo sviluppo di un’agricoltura di prossimità e meno dipendente dalla chimica consente di creare occupazione in un’attività utile sia per il risanamento ambientale dei terreni agricoli, sia per la qualità del cibo.

La decrescita, intesa come riduzione della produzione e del consumo di “merci che non sono beni”, non soltanto è un’opzione decisiva per creare lavoro nei paesi industrializzati, ma è l’unica che consente di restituire al lavoro il suo senso di attività connotata qualitativamente, di fare bene per soddisfare le esigenze vitali degli esseri umani senza consumare le risorse del pianeta in misura maggiore della loro capacità
di rigenerazione. La decrescita svela la follia insita nell’obbiettivo di creare occupazione come un valore in sé, omettendo di definire per fare che cosa. >>

MAURIZIO PALLANTE

22 commenti:

  1. "mentre la riduzione dei consumi viene considerata con sufficienza, come un’attività di routine, priva del fascino dell’innovazione"

    Abbiamo visto che succede esattamente il contrario, la riduzione di consumi e' vista con terrore da tutti, perche' la riduzione dei consumi di uno e' la riduzione o l'annullamento del prodotto, e quindi del reddito, di un altro. E questo e' inevitabile che succeda in una societa' in cui la popolazione e' concentrata nelle citta' e non produce nulla che serva al suo autosostentamento, per cui TUTTO tutto deve essere prodotto per il (libero) mercato e scambiato attraverso il denaro creato dallo Stato (Keynes). Il mondo di Pallante e' impossibile anche solo per la distribuzione logistica della popolazione di oggi, e per la sua quantita'.
    Ma cosa facciamo, le deportazioni di massa di stalin? Le leggi contro l'urbanesimo di Mussolini? Nemmeno quelle si possono fare perche' altrimenti, secondo pallante, mercalli & co., "sprechiamo" il territorio. Vedi l'assurdita' di queste posizioni, perlomeno se si ammette che il mondo e' sovrappopolato (e loro stessi, incoerentemente, lo sostengono).

    La situazione attuale, nei suoi aspetti macroscopici, forse e' addirittura banale:

    - da un lato, con l'ultima distruttiva guerra e la acquisita capacita' di sfruttare nuove fonti energetiche e inventare nuovi prodotti prima inutili, si e' sviluppata una nuova economia basata sul lavoro, la produzione, e lo scambio: tutto viene prodotto da specialisti in abbondanza per essere scambiato, nessuno e' piu' autosufficiente, neanche in minima parte, e su ogni scambio di prodotti o lavoro c'e' una tassa (cosa peraltro che rende obbligatorio adesso, alla forza fisica dello Stato, di stimolare con la forza la produzione e lo scambio e percio' la tassazione, al fine di rispettare le sue stesse leggi di contabilita' e non fallire, ma in realta', tolte le suppellettili, assicurare la quota parte di prodotto da lui stesso fornito attraverso l'equivalente di corve' obbligatorie che durano oltre la meta' dell'anno (vedi no tax-day) e vincere le elezioni o comunque mantenere il potere (cio' che ti fornisce lo Stato non puoi scegliere se volerlo o no, devi pagare e basta - e vedi l'ulteriore insostenibilita' e l'assurdita' delle posizioni dei decrescisti, che in genere, per la loro origine politica, sono a favore della alta tassazione, e di uno Stato sempre piu' impiccione).

    - dall'altro lato, abbiamo gia' tutto: ricostruito il paese nel dopoguerra, data una casa, un'automobile, strade, scuole, da vestire e da mangiare a tutti, non solo in abbondanza ma in quantita' almeno doppia o multipla di quanto sarebbe necessario per stare bene, non si sa piu' cosa fare per mantenere in attivita' l'apparato produttivo, dato che il mercato di sostituzione, una volta che hai tutto, e' notoriamente molto piu' ridotto di quello di "prima fornitura". Il valore marginale (vedi l'aborrita dai keynesiani economia austriaca, e' loro il concetto) che si ottiene e' sempre piu' basso.

    La decrescita percio' e' implicita non come peggioramento della quantita' di beni disponibili, che lo siano secondo il ghiibizzo e l'arbitrio satrapico di Pallante o no, e' implicita perche' ABBIAMO GIA' TUTTO, e il valore marginale di qualsiasi "bene" che percio' non e' piu' un bene, scende verso lo zero. Da cui stagnazione, recessione, deflazione, decrescita. Tutto senza bisogno di nessun pallante & co., che semmai sono funzionali a creare sempre nuovi bisogni.

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  2. (continua)

    Infatti i vari Pallante, decrescite, green economy, enegie alternative, fini del mondo e delle risorse, e chi piu' ne ha piu' ne metta, sono attualmente sfruttati dal potere, concentrato o diffuso che sia, per aumentare, con il supporto della forza delle leggi e delle normative, gli incentivi e i disincentivi guardacaso FISCALI, i beni scambiabili, il PIL, le tassazioni, i panem et circenses elargiti dagli Stati a spese di lavoro schiavistico per oltre la meta' della vita lavorativa (vedi livello della tassazione, tasse al 50 per cento e oltre vuol dire questo, tolti gli orpelli, uol dire schiavitu' al 50 per cento e oltre) per cosi' intanto acquisire consensi e rimanere al potere.

    Le posizioni di pallante e company sono accattivanti, ma se le si analizza un po' sono totalmente incongruenti. E anche abbastanza mascalzone.

    L'unico che ha capito tutto di come vanno le cose e' questo qui, "l'imprenditore del nordest che ce la fa", Gigi Morgàn, (dal minuto 2:15), gli altri sono dei mascalzoni :)
    https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=PkBSvpJsMXU#t=134

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    1. << Le posizioni di pallante e company sono accattivanti, ma se le si analizza un po' sono totalmente incongruenti. E anche abbastanza mascalzone. >>

      Più che accattivanti, direi senz'altro convincenti nella diagnosi e purtroppo velleitarie, più che inconguenti, nella realizzazione.

      Ma che siano "mascalzone" no; questo non te lo passo proprio.

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    2. Guarda che la messa in pratica produrrebbe sfracelli, sta gia' producendo sfracelli, con effetti positivi zero nell'economia globale del pianeta, anzi (le produzioni inquinanti spostate ad oriente inquinano senza il minimo dubbio ancora di piu').
      La fortuna di quella gente (senza dubbio benintenzionata) e' che non ha e probabilmente non avra' mai responsabilita' dirette di governo, per cui puo' permettersi di "ipotizzare velleitariamente", considerando solo le variabili che gli fanno comodo.
      Pero' responsabilita' indirette ne hanno, nel produrre un clima culturale che produce normative assurde tali da rendere, in cambio di nessun ritorno positivo, ne' locale ne' globale, ancora piu' metaforicamente irrespirabile l'aria nel nostro paese (e anche questa e' anti-ecologia), e l'ignoranza oltre un certo limite, quando si producono effetti negativi, non e' piu' una scusante.

      Quindi perlomeno un ridimensionamento andrebbe considerato, che e' il contrario che fargli da grancassa.

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  3. "La tendenza alla globalizzazione è funzionale alla crescita della produzione di merci e ha caratterizzato il modo di produzione industriale sin dagli inizi"

    La tendenza alla globalizzazione e' intrinseca all'uomo, ed e' limitata solo dalla tecnologia disponibile, tant'e' che l'uomo ha colonizzato ogni angolo della terra da centinaia di migliaia di anni, da quando esiste come tale, come homo sapiens.

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  4. "La decrescita svela la follia insita nell’obbiettivo di creare occupazione come un valore in sé, omettendo di definire per fare che cosa."

    Unica cosa sensata, ma allora perche' non propongono un referendum per abolire il primo articolo della costituzione, quello che recita "la repubblica italiana e' fondata sul lavoro"?
    E lo Stato deve promuovere eccetera eccetera?

    Abbiano il coraggio di promuovere il referendum e poi vediamo che dibattito ne viene fuori, sara' divertente assistervi in questo paese in cui tutti credono di essere solo loro a lavorare e solo loro ad essere pagati ingiustamente poco, mentre in realta' quasi tutti non fanno nulla di utile e percio', se questo dovesse essere il parametro, sono pagati troppo. :)

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  5. Gli incentivi e disincentivi, poi, avete idea di che razza di (ulteriore) burocrazia folle e quindi spreco di risorse abbiano prodotto? Gli unici che ci guadagnano, alla fine, sono i commercialisti e genìa varia.

    Per i piccoli attori economici, cio' che viene speso in burocrazia e maggiore carico fiscale conseguente, annulla completamente il beneficio dell'incentivo.

    Dal punto di vista complessivo, lo spreco di risorse aumenta, e lo Stato lo sapeva bene quando lo ha fatto per drogare ulteriore aumento di PIL con "beni che non sono beni", come dice il pallante, e questi non lo sono sul serio pero', perche' questi "beni burocratici" nessuno sarebbe cosi' pazzo da acquistarli se fosse libero di farlo in un mercato non drogato dai diktat suggeriti, seppure indirettamente, da pallante.

    Se avessero voluto "incentivare" davvero questo mercato in modo economico, sarebbe stato semplicissimo, bastava detassarlo completamente escludendolo dall'iva, e sburocratizzarlo: perche' non l'hanno fatto? Perche' invece hanno fatto il contrario? Se qualcuno si fosse fatto questa domanda, quale sarebbe stata la risposta, se non che si tratta di una intera filiera di cialtroni omertosi in malafede?

    Avevano paura che saltasse fuori che la completa sburocratizzazione e detassazione sono il migliore incentivo, ma come avrebbero fatto poi i milioni e milioni di persone che lavorano in questo settore, rompendo i coglioni e derubando gli altri, nel pubblico e nel privato, a portare a casa la pagnotta?

    Per tutto questo non c'e' dubbio che bisogna ringraziare un bel po' di "utili idioti" di leniniana memoria, ma allora quanto ipocriti suonano i loro peana?

    https://youtu.be/xVA76jAzdHg?t=2m45s

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  6. Se non fosse impossibile perche' per me assolutamente troppo complicato, ti racconterei di cosa bisogna fare per usufruire dello sconto fiscale sulla sostituzione degli infissi vecchi con altri "ecologici" in un appartamento.
    E' perfino diverso lo sconto per ogni voce fatturata.
    Peraltro se non sbaglio se non hai reddito tassabile non recuperi un bel nulla (il famoso problema degli incapienti).
    Interrogati vari commercialisti, architetti, e nota bene impiegati comunali del settore, non due che abbiano dato la stessa risposta, e una risposta che fosse giusta.
    La cosa peggiore e' che anche chi ci passa dentro personalmente tende a rimuovere in fretta queste assurdita' dalla mente conscia, perche' appunto troppo assurde.
    Sono come i misteri divini.
    Eppure andremo avanti cosi' fino alla fine, e noi di certo moriremo prima di veder qualsivoglia cambiamento, in meglio, in proposito.

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    1. Ho qualche modesta esperienza personale delle procedure necessarie per alcuni (spesso illusori) benefici fiscali e so bene di cosa parli.
      L'unica (modesta) consolazione per il povero contribuente iper-vessato è che il crollo del sistema BAU mieterà vittime anche nella burocrazia omni-pervasiva.

      Ma sarà una ben magra consolazione, anche perchè si tratterà di un percorso non lineare e soprattutto non gestibile (di tipo caotico), che non sappiamo come sarà, nè dove ci porterà.
      E noi ci saremo dentro.

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    2. "è che il crollo del sistema BAU mieterà vittime anche nella burocrazia omni-pervasiva"

      Saranno gli ultimi a perire, e prima ci trascineranno in qualche guerra contro quelli che remano contro "la salvazione del mondo", tipo i produttori orientali e in generale del terzo mondo. Come se noi, quando eravamo nelle loro condizioni di bisogno, non avessimo inquinato almeno altrettanto, oltre a dare inizio, con la nuova tecnologia dell'epoca, a questo processo di devastazione globale, minando i loro stessi equilibri.
      La questione del global warming prima o poi si concretizzera' in dazi punitivi a scopo protezionistico, sostenuti da isterie popolari contro i distruttori del pianeta, e allora ne vedremo delle belle.

      Io, che conservo buona memoria, staro' emotivamente dall'altra parte, che delle due sara' se non quella della ragione, quella del torto inferiore, o perlomeno quella meno ipocrita.

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    3. << La questione del global warming prima o poi si concretizzera' in dazi punitivi a scopo protezionistico, sostenuti da isterie popolari contro i distruttori del pianeta, e allora ne vedremo delle belle. >>

      Cioè, se ho capito bene, tu ritieni che i nostri governanti ritorneranno ai dazi protezionistici camuffandoli da ritorsioni ecologiche ?

      Può darsi, ma ritengo che il picco (eh, eh...) della produzione globalizzata lo abbiamo già raggiunto, e che la tendenza futura sia quella di una progressiva riduzione.
      I motivi, ovviamente, sono tanti, ma il principale dovrebbe essere la contrazione (causa crisi del petrolio) dei trasporti trans-continentali, che della globalizzazione sono la spina dorsale.

      A quel punto, i dazi daranno sicuramente una mano al processo, ma solo come aggiunta, mentre i problemi acologici verranno rapidamente messi da parte, dovendo affrontare problemi economici più urgenti (primum vivere, deinde... bonificare).

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    4. "il principale dovrebbe essere la contrazione (causa crisi del petrolio)"

      Mah, molti altri dicono che se estrarremo l'enorme quantita' ancora disponibile di idrocarburi il clima eccetera eccetera.
      Trattandosi di un argomento in cui la fa da padrone da un lato il bias politico-ideologico a livelli isterici di gente indottrinata che non sa nemmeno di cosa parla, dall'altro enormi interessi economici che tengono ben riservate le loro strategie, secondo me e' impossibile sapere quale sia la situazione reale delle riserve, sia cosa accadra' veramente.

      Certo e' strano che le nostre organizzazioni sindacali, a fronte del tremendo tam-tam del global warming, non abbiano ancora preteso l'imposizione di forti dazi punitivi verso quei paesi che ci fanno concorrenza inquinando: evidentemente ancora non conviene, preferiamo vivere di rendita e "servizi" godendo di prodotti fatti da quasi schiavi a bassissimo prezzo acquisiti a debito che sappiamo bene non sara' mai ripagato, con pezzi di carta ancora molto sopravvalutati grazie alla finanza internazionale ancora sotto nostro controllo occidentale.
      Per quanto riguarda i trasporti navali intercontinentali, attualmente c'e' un'enorme sovracapacita' che ha fatto crollare i prezzi, cioe' l'esatto contrario di quanto previsto dalle cassandre da decenni.

      Come gia' detto, le voci dell'imminente fine del petrolio hanno fatto guadagnare fantastiliardi alla speculazione nel momento della bolla dei prezzi delle materie prime del 2005, poi rovinosamente scoppiata nel 2007 con le nefaste conseguenze mondiali che ancora subiamo. Per adesso l'unico risultato di tali credenze e' questo, e il mondo galleggia ancora in un mare di petrolio.

      Non e' da escludere invece che, per i ghiribizzi della storia, cambi il paradigma, il mito sociale ormai allo stremo, del correre come matti per produrre e consumare. In questo ambito c'e' spazio per dimezzare il PIL senza che diminuisca minimamente la qualita' della vita delle persone, anzi migliorandola, solo che le ragioni contabili dell'economia del debito impediscono di farlo (il debito e' quell'incudine che ti appendono alle palle, senza il tuo consenso nel caso di quello pubblico, per poi dirti che devi correre come un criceto per ripagarlo dato che "hai vissuto (tu!) al di sopra delle tue posibilita'".

      Non vedi come ci prendono, ci prendiamo in giro con la nostra stessa attiva partecipazione? Facciamogirare in folle i nostri cervelli, come una macchina che accelera accelera senza mai ingranare la marcia. E' una follia di massa. Comincio a pensare che la differenza fra normalita' e pazzia stia solo nella differenza fra cio' che pensa la maggioranza e la minoranza.

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    5. << e' strano che le nostre organizzazioni sindacali, a fronte del tremendo tam-tam del global warming, non abbiano ancora preteso l'imposizione di forti dazi punitivi verso quei paesi che ci fanno concorrenza inquinando >>

      Caro Diaz, ormai il sindacato è un fantasma sia politico che economico, e non riesce neppure più ad imporsi nelle trattative di rinnovo contrattuale, che dovrebbero essere il suo 'core business'.
      Figuriamoci se può incidere sulle decisioni economiche di un governo già prigioniero di mille altri vincoli (per lo più esterni).

      Oggi i sindacati occidentali mi ricordano i poveri panda, dediti a salvare le ultime piante di bambù (leggi: contributi sindacali) per mantenersi ancora in vita.

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  7. "Oggi i sindacati occidentali mi ricordano i poveri panda"

    Anche senza potenti sindacati il nostro clup non fa che aumentare.
    Non c'e' piu' trippa per gatti, con la globalizzazione l'italia e' passata in pochi anni da paese piu' competitivo a meno competitivo sulla scena mondiale. Prima eravamo i piu' poveri dei ricchi, cioe' quelli che si accontentavano di meno per produrre, e infatti eravamo una sorta di cina dell'occidente, con manifattura a basso prezzo, adesso siamo i piu' ricchi dei poveri, e il costo del lavoro per unita' di prodotto (clup) cresce inesorabilmente mandandoci sempre piu' fuori mercato.

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    1. << Prima eravamo i piu' poveri dei ricchi, (...) adesso siamo i piu' ricchi dei poveri. >>

      Una sintesi ineccepibile !
      Ma la giostra mondiale è ancora in vorticoso movimento, guidata da mille fattori.
      Chissà dove saremo tra 10 anni ?

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    2. Mah, certo che se riusciamo a stare malissimo pur essendo i primi fra gli ultimi, posizione che, a pensarci un attimo, e' pur sempre un po' migliore dell'essere gli ultimi dei primi, e in cui in effetti stavamo solo male, credo che solo un reset generale seguito ad un grosso shock possa, forse, consegnare un'italia un po' migliore ai posteri. Cancellare tutto e ripartire da zero.
      Una esperienza sul tipo della tragica e infamante sconfitta nell'ultima guerra mondiale: li', la nostra fortuna e' stata che perdendola, le nostre classi dirigenti per una ventina d'anni non hanno ecceduto nel governo, si sono fatte un po' da parte, e al popolo stesso non e' stato concesso di governare troppo, e in ogni caso affinche' tutti insieme ci si ricostruisse la solida gabbia che ci imprigiona c'e' voluto un po' di tempo e impegno. Ma passati i vent'anni dalla fine della guerra, pian pianino, siamo tornati alla nostra condizione naturale, di creare un ambiente sociale claustrofobico e soffocante in cui e' molto meglio non venire al mondo, e se ci si viene, andarsene il prima possibile. Questa e' l'italia di oggi.

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    3. Ovviamente, a proposito di primi e di ultimi, non tutti la pensano allo stesso modo e Giulio Cesare, per esempio, preferiva essere primo in un modesto villaggio della Gallia, che secondo a Roma.

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    4. Fra l'altro, pensavo ieri, se l'europa e' diventata un mostro burocratico-sovietico di vessazione gratuita, che molti ormai chiamano EURSS, e' in non poca misura merito degli "ecologisti" al caviale e dei "sindacati dei consumatori" che vi hanno piantato le tende, i quali vogliono "altruisticamente" regolamentare puntigliosamente tutto nell'interesse del popolo.

      Li' dentro vi hanno trovato il loro ambiente ideale, da li' possono effettuare micidiali attivita' di lobbying senza pagare alcun dazio, anzi riuscendo a fare in modo che la colpa, se le cose vanno a rotoli, e ci vanno a rotoli, se la prenda sempre qualcun altro.

      Oltretutto, mentre gli altri paesi tipo la francia e la germania delle normative europee, quando gli conviene, se ne infischiano altamente senza che gli accada nulla, nel nostro se le normative non vengono acquisite puntualmente e anzi quasi sempre moltiplicate per due nell'interesse delle nostre innumerevoli corporazioni tecniche, altrettanto innumerevoli associazioni nazionali presentano ricorsi in sede UE che alla fine si traducono in pesanti sanzioni per il loro stesso, e nostro, paese.
      E alla fine la colpa se la prende l'europa.

      Le posizioni pallantiane che presenti in questa terna di articoli sono percio' contraddittorie: in teoria sono volte al bene, ma in pratica, qualora tradotte in leggi e regolamenti concreti, producono gli effetti nefasti appena descritti.

      Espressione ultima di tale contraddizione e' il grillismo, le cui proposte sono completamente in contraddizione, per cui finche' restano teoriche sembrano soddisfare tutti, tutti ci trovano qualcosa di condivisibile, mentre quando vengono messe in pratica hanno l'effetto di contrariare e danneggiare tutti.

      Tipica ad esempio la posizione di Grillo sulla telecom: da un lato protestava per le tariffe troppo alte, e contemporaneamente per il fatto che essa cercava di diminuire i costi e quindi il numero dei dipendenti. E tutti ad applaudirlo per il suo buon cuore: facile finche' si vive nel paese dei balocchi.

      Oppure la questione della gestione delle immondizie e del riciclo: doveva trattarsi della fonte di materie prime del futuro, ma come mai quando ero bambino e facevamo la raccolta di carta e ferro per la parrocchia questa dava un reddito, mentre ora che la fanno i comuni la tassa sulla spazzatura, invece di invertirsi di segno, e' lievitata a livelli mostruosi? Forse perche' con essa si e' creata, come al solito, una infrastruttura mostruosa che costa e consuma MOLTO di piu' di quello che rende? Questo accade a causa del totale distacco dalla realta', dalla conoscenza superficiale quando non superstiziosa che quei personaggi hanno delle leggi della termodinamica.

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    5. "Questo accade a causa del totale distacco dalla realta', dalla conoscenza superficiale quando non superstiziosa che quei personaggi hanno delle leggi della termodinamica."

      Non per niente la biowashball, la automobile ad aria eolo, e altri vari tipi di moto perpetuo che ci dovrebbero dare il benessere perpetuo nel futuro, e' da quelle bande che riscuotono piu' successo.
      Al catastrofismo senza speranza la gente poi non puo' che reagire in questo modo qui.

      Neanche a dirlo, mi ero perso questo:

      http://www.meetup.com/it-IT/grillibologna/boards/thread/3051753/0/

      INCREDIBILE ! Brevettato il motore magnetico di Perendev......... :(

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  8. << Forse perche' con essa (riciclo rifiuti) si e' creata, come al solito, una infrastruttura mostruosa che costa e consuma MOLTO di piu' di quello che rende? >>

    E' possibile e, se fosse vero, mi farebbe girare parecchio le scatole.
    Spero che il motivo stia semplicemente nella quantità sempre maggiore dei rifiuti da processare o nella varietà sempre crescente di materiali da recuperare.
    Ma può anche darsi che si tratti, effettivamente, di una delle tante attività pubbliche ETF (E' TUTTO FINTO).

    In ogni caso, comunque la si rigiri, quasi tutti i nostri guai attuali derivano dal fatto che siamo troppi su questa terra.
    Nessuno me lo toglierà mai dalla testa.

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    1. "siamo troppi su questa terra"

      Come diceva Darwin, l'evoluzione avviene attraverso la prole in eccesso, e vince chi sgomita di piu'.
      Ad evolversi percio' sono in primo luogo i gomiti.
      Se lasci un minimo di spazio libero tu, immediatamente lo occupa qualcun altro, questo e' il problema. E le leggi non servono a nulla, se l'"immediatamente" lo si intende come "qualche generazione", cosa che dal punto di vista storico e' ragionevole.
      Anzi le leggi semmai servono al contrario, puoi star certo che in caso di necessita' impellente di spazio, anche detto "lebensraum", le leggi servono a giustificarne quando non obbligarne il reclamo.
      E' fin dai tempi di Locke, apostolo della democrazia e del liberalismo, che "la terra e' di chi la lavora", figuriamoci gli altri.
      Insomma tutte pippe.

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    2. << l'evoluzione avviene attraverso la prole in eccesso, e vince chi sgomita di piu'. >>

      Certo, certo.
      Ma per far questo basta andare dietro al gene egoista: fa tutto da solo e non ha bisogno del nostro aiuto.
      Se però vogliamo dare un senso alla nostra tanto decantata intelligenza, quale uso migliore ne possiamo fare, se non mettersi di traverso al suddetto piccolo diavoletto ?

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