giovedì 28 luglio 2016

Il Fiore del deserto - 2

LA GINESTRA o il Fiore del Deserto 
di Giacomo Leopardi


(seconda parte)

Sovente in queste rive,
che, desolate, a bruno
veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
seggo la notte; e su la mesta landa
in purissimo azzurro
veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
cui di lontan fa specchio
il mare, e tutto di scintille in giro
per lo vòto seren brillare il mondo.

Spesso in questi luoghi desolati alle pendici del vulcano, che la lava indurita ricopre di scuro, e sembra accavallarsi come onde del mare, trascorro la notte; e sulla campagna triste in azzurro purissimo vedo dall’alto brillare le stelle, alle quali da lontano il mare fa da specchio, e vedo tutto intorno, nella cavità serena, immensa, del cielo, brillare di scintille il mondo.

E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
ch'a lor sembrano un punto,
e sono immense, in guisa
che un punto a petto a lor son terra e mare
veracemente; a cui
l'uomo non pur, ma questo
globo ove l'uomo è nulla,
sconosciuto è del tutto; e quando miro
quegli ancor più senz'alcun fin remoti
nodi quasi di stelle,
ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
e non la terra sol, ma tutte in uno,
del numero infinite e della mole,
con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
o sono ignote, o così paion come
essi alla terra, un punto
di luce nebulosa; al pensier mio
che sembri allora, o prole
dell'uomo?

E quando fisso quelle luci, che agli occhi sembrano un punto, mentre sono tanto grandi che un punto, rispetto a loro, sono in realtà la terra e il mare; alle quali luci non solo l’uomo, ma anche questo pianeta, dove l’uomo è nulla, è sconosciuto del tutto; e quando scruto quella ancora lontana nebulosa, che a noi pare quasi nebbia, alla quale non solo l’uomo o la terra, ma tutte le nostre stelle, infinite nel numero e nella grandezza, compreso il sole luminoso o sono sconosciute, o così appaiono, come loro stesse alla terra, un punto di luce nebbiosa; al pensiero mio cosa sembri allora tu, genere umano ?

E rimembrando
il tuo stato quaggiù, di cui fa segno
il suol ch'io premo; e poi dall'altra parte,
che te signora e fine
credi tu data al Tutto, e quante volte
favoleggiar ti piacque, in questo oscuro
granel di sabbia, il qual di terra ha nome,
per tua cagion, dell'universe cose
scender gli autori, e conversar sovente
co' tuoi piacevolmente, e che i derisi
sogni rinnovellando, ai saggi insulta
fin la presente età, che in conoscenza
ed in civil costume
sembra tutte avanzar; qual moto allora,
mortal prole infelice, o qual pensiero
verso te finalmente il cor m'assale?
Non so se il riso o la pietà prevale.

Ed io, ricordando la tua condizione miserevole, di cui è testimonianza il suolo che calpesto; e poi, dall'altra parte, ricordando che ti credi di essere stata destinata ad essere dominatrice e fine ultimo dell’universo; e ricordando quante volte ti piacque raccontare che in questo oscuro granello di sabbia che ha nome Terra, scendevano per causa tua gli dei, creatori dell’universo, e conversavano spesso, per diletto, insieme agli uomini; e ricordando che perfino il secolo attuale, che pare di tanto superiore alle età precedenti per conoscenze e grado di civiltà, reca insulto agli uomini saggi rinnovando sogni ormai ridicoli; quale sentimento o quale pensiero, infelice umanità, assale alla fine il mio cuore?
Non so se prevale il riso oppure la pietà.

Come d'arbor cadendo un picciol pomo,
cui là nel tardo autunno
maturità senz'altra forza atterra,
d'un popol di formiche i dolci alberghi,
cavati in molle gleba
con gran lavoro, e l'opre
e le ricchezze che adunate a prova
con lungo affaticar l'assidua gente
avea provvidamente al tempo estivo,
schiaccia, diserta e copre
in un punto; così d'alto piombando,
dall'utero tonante
scagliata al ciel profondo,
di ceneri e di pomici e di sassi
notte e ruina, infusa
di bollenti ruscelli
o pel montano fianco
furiosa tra l'erba
di liquefatti massi
e di metalli e d'infocata arena
scendendo immensa piena,
le cittadi che il mar là su l'estremo
lido aspergea, confuse
e infranse e ricoperse
in pochi istanti: onde su quelle or pasce
la capra, e città nove
sorgon dall'altra banda, a cui sgabello
son le sepolte, e le prostrate mura
l'arduo monte al suo piè quasi calpesta.

Come un piccolo frutto, in autunno inoltrato, la sola maturazione, senza il concorso di altre forze, fa precipitare a terra, e, cadendo, schiaccia, annienta e sommerge in un attimo i nidi scavati nel molle terreno dalle formiche con grande fatica e lavoro, e le provviste che quel popolo laborioso aveva accumulato con previdenza, a gara, durante l’estate; così, allo stesso modo, la tenebra ed una valanga di ceneri, di rocce laviche e di pietre, miste a ruscelli di lava, piombando dall’alto, dopo esser stata scagliata verso il cielo dalle viscere fragorose del vulcano, oppure un’immensa piena di massi liquefatti, e di metalli e di sabbia infuocata, scendendo furiosa tra l'erba lungo il pendio della montagna, sconvolse, distrusse e ricoprì in pochi istanti le città, che il mare lambiva là sulla costa: per cui su quelle città ora pascola la capra, e nuove città sorgono dall’altra parte, sopra quelle sepolte e l’alto monte quasi calpesta con il suo piede le mura cadute.

Non ha natura al seme
dell'uom più stima o cura
che alla formica: e se più rara in quello
che nell'altra è la strage,
non avvien ciò d'altronde
fuor che l'uom sue prosapie ha men feconde.

La natura non nutre più attenzione, né maggiore considerazione per la specie umana che per la formica, e se avviene che le stragi sono meno frequenti tra gli uomini che tra le formiche, ciò dipende solo dal fatto che la stirpe degli uomini è meno numerosa.

Ben mille ed ottocento
anni varcàr poi che spariro, oppressi
dall'ignea forza, i popolati seggi,
e il villanello intento
ai vigneti, che a stento in questi campi
nutre la morta zolla e incenerita,
ancor leva lo sguardo
sospettoso alla vetta
fatal, che nulla mai fatta più mite
ancor siede tremenda, ancor minaccia
a lui strage ed ai figli ed agli averi
lor poverelli.

Ben milleottocento anni passarono dopo che sparirono, sepolti dalla forza della lava infuocata, le città popolose, e il contadino, intento alla cura dei vigneti, che a stento in questi campi la terra arida e bruciata fa crescere, ancora alza lo sguardo con apprensione alla sommità del vulcano, che per nulla divenuta più mite, ancora lo sovrasta tremenda, ancora minaccia strage a lui ed ai figli e ai loro miseri averi.

E spesso
il meschino in sul tetto
dell'ostel villereccio, alla vagante
aura giacendo tutta notte insonne,
e balzando più volte, esplora il corso
del temuto bollor, che si riversa
dall'inesausto grembo
su l'arenoso dorso, a cui riluce
di Capri la marina
e di Napoli il porto e Mergellina.

E spesso il meschino, trascorrendo la notte insonne all’aperto sul tetto della modesta abitazione, e sobbalzando più volte per la paura, scruta con attenzione l’avanzare del fronte lavico, che si riversa dalle viscere inesauribili del vulcano sul pendio sabbioso, al cui bagliore riluce la marina di Capri, il porto di Napoli e Mergellina.

E se appressar lo vede, o se nel cupo
del domestico pozzo ode mai l'acqua
fervendo gorgogliar, desta i figliuoli,
desta la moglie in fretta, e via, con quanto
di lor cose rapir posson, fuggendo,
vede lontan l'usato
suo nido, e il picciol campo,
che gli fu dalla fame unico schermo,
preda al flutto rovente,
che crepitando giunge, e inesorato
durabilmente sovra quei si spiega.

E se vede avvicinarsi la colata, o se sente gorgogliare nella profondità del pozzo di casa l’acqua che ribolle, subito sveglia i figli e la moglie e fugge via, portando con sé quante più cose può, e vede da lontano la sua abitazione di sempre, e il piccolo campo, che fu l’unica difesa dalla fame, preda della lava che avanza crepitando, e che inesorabile, per sempre, si distende sul campo e sulla casa.

Torna al celeste raggio
dopo l'antica obblivion l'estinta
Pompei, come sepolto
scheletro, cui di terra
avarizia o pietà rende all'aperto;
e dal deserto foro
diritto infra le file
dei mozzi colonnati il peregrino
lunge contempla il bipartito giogo
e la cresta fumante,
che alla sparsa ruina ancor minaccia.

Dopo un oblio di secoli, torna alla luce del sole l’estinta Pompei, come uno scheletro, che il desiderio di tesori o la pietà restituisce all'aria aperta, togliendolo dalla terra; e dal foro deserto degli scavi, il visitatore, in piedi tra le file delle colonne spezzate, contempla da lontano la doppia cima del vulcano il pennacchio di fumo che ancora minaccia le rovine sparse intorno.

E nell'orror della secreta notte
per li vacui teatri,
per li templi deformi e per le rotte
case, ove i parti il pipistrello asconde,
come sinistra face
che per vòti palagi atra s'aggiri,
corre il baglior della funerea lava,
che di lontan per l'ombre
rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.

E nell’orrore della notte che cela ogni cosa, per i teatri vuoti, per i templi deturpati e per le case distrutte, dove il pipistrello nasconde i piccoli, come una fiaccola sinistra che lugubre si aggiri per i palazzi spopolati, corre il bagliore della lava mortale, che da lontano rosseggia nelle tenebre della notte e colora i luoghi tutto intorno.

Così, dell'uomo ignara e dell'etadi
ch'ei chiama antiche, e del seguir che fanno
dopo gli avi i nepoti,
sta natura ognor verde, anzi procede
per sì lungo cammino
che sembra star.
Caggiono i regni intanto,
passan genti e linguaggi: ella nol vede:
e l'uom d'eternità s'arroga il vanto.

Così, indifferente all’uomo, alle età che egli chiama antiche e al susseguirsi delle generazioni dagli avi ai nipoti, la natura si mantiene sempre giovane e vigorosa, ed anzi il suo cammino è così lungo ch'ella sembra star ferma.
Cadono intanto i regni, si succedono genti e lingue diverse: ella non se ne avvede, e nonostante questo l'uomo si vuole arrogare il vanto di essere eterno.

E tu, lenta ginestra,
che di selve odorate
queste campagne dispogliate adorni,
anche tu presto alla crudel possanza
soccomberai del sotterraneo foco,
che ritornando al loco
già noto, stenderà l'avaro lembo
su tue molli foreste.

E tu, flessuosa ginestra, che con i tuoi cespugli profumati adorni queste campagne desolate, anche tu presto soccomberai alla crudele prepotenza del vulcano, la cui lava tornando al luogo già altra volta visitato stenderà il suo mantello avido di morte sulle tenere selve di ginestre.

E piegherai
sotto il fascio mortal non renitente
il tuo capo innocente:
ma non piegato insino allora indarno
codardamente supplicando innanzi
al futuro oppressor; ma non eretto
con forsennato orgoglio inver le stelle,
né sul deserto, dove
e la sede e i natali
non per voler ma per fortuna avesti;
ma più saggia, ma tanto
meno inferma dell'uom, quanto le frali
tue stirpi non credesti
o dal fato o da te fatte immortali.

E, senza opporre resistenza, piegherai il tuo capo innocente sotto il peso della lava: ma senza averlo piegato prima inutilmente dinnanzi all'oppressore futuro, ma neanche levato con folle orgoglio fino alle stelle o sul deserto dove sei nata ed hai dimora non per tua volontà, ma per caso fortuito; ma lo farai ben più saggia, tanto meno insensata dell’uomo, in quanto non hai mai avuto la presunzione di ritenere che le tue stirpi, per merito tuo o del destino, siano diventate immortali.

14 commenti:

  1. Perplesso. Mi avevi annunciato un post su Leopardi e io mi immaginavo chissà che cosa, qualcosa di profondo, magari nuovo e sensazionale. Inveci ci proponi semplicemente la Ginestra (copione!) e una specie di traduzione ad usum delphini. Diciamo che te la sei cavata a buon mercato, col minimo di sforzo. 😀

    Ma eccoti una terzina di Leopardi che quasi sicuramente non conosci perché è tratta da "I nuovi credenti", una poesia che non fa parte del canone leopardiano (Ranieri rimproverò Leopardi per questo componimento in cui si faceva beffe degli intellettuali napoletani che lo criticavano per il suo pessimismo. Leopardi beffardo:
    "S'arma Napoli a gara alla difesa
    De' maccheroni suoi; ch'ai maccheroni
    Anteposto il morir, troppo le pesa.
    E comprender non sa, quando son buoni
    Come per virtù lor non sien felici
    Borghi, terre, province e nazioni.
    Che dirò delle triglie e delle alici?
    Qual puoi bramar felicità più vera
    Che far d'ostriche scempio infra gli amici?
    Sallo Santa Lucia, quando la sera,
    Poste le mense, al lume delle stelle,
    Vede accorrer le genti a schiera a schiera,
    E di frutta di mar empier la pelle.

    Ecc. ecc.

    La poesia fu pubblicata per la prima volta nel 1906, non fa dunque parte dei Canti. È una poesia "cattiva" che sicuramente andò di traverso a Croce che non gradiva il sarcasmo di Leopardi: dal sarcasmo non può nascere la poesia, è malsano. Be' qualcosa di verò c'è nella critica di Croce. Proprio nella Ginestra ci sono versi bruttissimi, come "Qui mira e qui ti specchia, secol superbo e sciocco".
    Però io trovo bellissimi questi versi de I nuovi credenti: "Sallo Santa Lucia quando la sera / Poste le mense, al lume delle stelle".
    Santa Lucia è il lungo mare di Napoli, con tanti ristoranti (una volta). Una bella immagine dei Napoletani che cenano al lume delle stelle ...

    Ma di nuovo: a che serve Leopardi oggi?

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  2. Forse l'intento di Lumen e' proprio questo: analizzare a cosa serva, cosa sia rimasto di Leopardi oggi.

    La mia prima impressione e' che, col suo spirito pessimista, nichilistico e da "fine impero", ma in fondo anche narcisistico, egli sia inattuale, nonostante pessimismo, narcisismo, nichilismo, decadenza siano la cifra del nostro tempo.

    Mentre non e' inattuale il Marinetti appositamente citato per dare il massimo contrasto, i cui versi vibrano oggi non meno di quando furono scritti, anzi trovarne oggi di versi cosi'! (e li ha scritti sul letto di morte, poche ore prima di crepare, mentre sapeva che tutto intorno andava a pezzi, nel '44, col cuore spompato).

    Insomma qualcosa non torna, dite voi.

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    1. Ma se "pessimismo, narcisismo, nichilismo, decadenza siano la cifra del nostro tempo" allora Leopardi è più che attuale! Ma nel secolo delle magnifiche sorti e progressive un Leopardi effettivamente non può trovare più posto. Lo stesso era una testa fina, forse persino un genio (incompreso, in famiglia e in società). Oltre ai Canti c'è lo Zibaldone, quattromila pagine!

      No, non credo che l'intento di Lumen fosse di analizzare a cosa serva oggi L. Credo che per lui Leopardi sia sempre una stella fissa di prima grandezza. Ma come può un digital native armato di smartphone e continuamente cicalando su Facebook e Twitter essere affascinato da questo menagramo?
      Ma la domanda sarebbe: "serve" ancora la poesia? Be', il mio modesto parere è che "serve" ancora, anzi non se ne può fare a meno. Non so quelli del CERN (che volano coi nostri soldi), ma la gente normale ha bisogno di poesia, senza poesia la vita fa schifo (ancora più schifo).
      Ma adesso bisognerebbe dire che cos'è la poesia. Forse aiuta Croce ("poesia e non poesia").


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    2. "Ma come può un digital native armato di smartphone e continuamente cicalando su Facebook e Twitter essere affascinato da questo menagramo?"

      Effettivamente...
      D'altra parte, se fosse azzeccato anche solo un decimo delle profezie apocalittiche dei siti che sembrano morbosamente calamitarci di piu' (elenco a destra in alto), queste cicale digitalmente cicalanti dovrebbero subire il piu' tragico degli epiloghi. E non per essere menagrami.

      Di sicuro subirono qualcosa del genere le cicale futuristiche di Marinetti, ma solo perche', morte loro, il progresso riprendesse dopo poco ad accelerare ancora di piu'.

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  3. Per chi fosse interessato, un articolo di Guidorzi su alcune varieta' vegetali in agricoltura, in un mondo in cui il pregiudizio universale e' che siano in continua diminuzione.

    https://agrariansciences.blogspot.it/2016/07/petrini-ha-torto-in-fatto-di-varieta.html

    Internet e' uno straordinario strumento di diffusione dell'ignoranza.

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  4. Qui il disastro della produzione agricola causato dal cambiamento climatico:

    "Oltretutto mentre in Italia si registra una produzione straordinaria di 9 milioni di tonnellate di grano, a fronte di una media annua di 7 milioni di tonnellate (+29%)"

    http://www.repubblica.it/economia/rapporti/osserva-italia/mercati/2016/07/28/news/grano_gli_agricoltori_della_cia_minacciano_sciopero_della_semina-144959769/

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  5. @ Lumen

    E basta con sta Ginestra! Che non è tutta poesia. Sarcasmo e polemica non creano poesia (Croce non ha del tutto torto). Per conto mio L. faceva benissimo a polemizzare col suo tempo, e come polemista tanto di cappello! Vedi per esempio il lungo e bel componimento "Palinodia al marchese Gino Capponi" in cui si fa beffe del "consumo" come procuratore di felicità (più attuale di così!).

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  6. Cari amici, intervengo buon ultimo nella discussione, ma non mi posso proprio esimere.

    Giacomo Leopardi mi affascina e mi ha sempre affascinato.
    Di lui mi piace anzitutto il pensiero filosofico, basato su un pessimismo consapevole e meditato, nel quale un po' mi ritrovo: in fondo gli 'uomini confederati contro la natura matrigna' non sono poi molto dissimili dai 'fenotipi consapevoli' che si ribellano al gene egoista; vi pare ?

    Ma soprattutto trovo magistrale la sua tecnica poetica, la sua metrica ad un tempo tradizionale ed innovativa, il fluire dei suoi versi che sono un piacere assoluto anche dal punto di vista estetico (nelle opere migliori, ovviamente).

    Ora, tutto questo piacere, che per me culmina con La Ginestra, è sempre stato un pochino rovinato dalla difficoltà oggettiva di certe espressioni, di certi arcaismi e, soprattutto, di certi costrutti sintattici, per i quali io stesso, nonstante la mia passione, sono spesso costretto a fermarmi e a rileggere.
    Da qui l'esigenza di una - molto sintetica - versione in prosa, che aiutasse il lettore medio a seguire meglio il testo.

    Si tratta pertanto, signori della corte, di 'modica quantità per uso personale' che non può configurare lo 'spaccio a scopo di lucro'.
    L'imputato deve pertanto essere assolto, perchè il fatto sussiste, ma non costituisce reato. :-)

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    1. Il lettore medio ringrazia! 😀

      Ma dico: non c'è mica sola la Ginestra, Il Passero solitario e L'infinito o Il Sabato del villaggio. Quella Palinodia per es. a cui accennavo non è male (nonostante la polemica e il sarcasmo).

      Però tra i Canti ci sono anche componimenti minori come il Consalvo e anche brutti versi, bisogna pur ammetterlo. E di buoni poeti ce ne sono parecchi, non solo Ungaretti Montale Quasimodo. A me piace moltissimo Caproni per es. Ma non seguo ciò che si produce oggi. A volte mi capita per caso di leggere dei versi e se mi piacciono insisto. Una voce per es. che mi aveva favorevolmente colpito è quella di Patrizia Valduga, compagna di Raboni buonanima.
      Ma proprio la Valduga parla sprezzantemente del "gobbo" (e ciò mi dà un po' fastidio). Ci sono ormai troppi buoni poeti e scrittori, basta, non ne posso più. Ma a cosa serve la letteratura? Poi oggi tutti scrivono (tranne me), mica posso leggere tutto. Tra le pene dell'inferno Dante doveva mettere - oltre a soddisfare settanta vergini - anche leggere libri e versi noiosi.

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    2. Tra le pene dell'inferno Dante doveva mettere - oltre a soddisfare settanta vergini - anche leggere libri e versi noiosi.

      Questa me la segno! Due pene dell'inferno davvero!

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    3. La storia delle vergini mi fa venire in mente il paradiso islamico.
      Ho l'impressione che nell'aldilà ci sia un po' di confusione. :-)

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  7. << Ma dico: non c'è mica sola la Ginestra, Il Passero solitario e L'infinito o Il Sabato del villaggio. >>

    Certo. I capolavori sono tanti, e ci aggiungerei anche il "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, che per me sta subito sotto la Ginestra.
    Però devo dire, come lettore medio, che le altre maggiori poesie non mi hanno quasi mai creato i problemi interpretativi (e sintattici) della Ginestra.

    << Forse s'avess'io l'ale
    Da volar su le nubi,
    E noverar le stelle ad una ad una,
    O come il tuono errar di giogo in giogo,
    Più felice sarei, dolce mia greggia,
    Più felice sarei, candida luna.
    O forse erra dal vero,
    Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
    Forse in qual forma, in quale
    Stato che sia, dentro covile o cuna,
    E' funesto a chi nasce il dì natale. >>

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    1. "... le altre maggiori poesie non mi hanno quasi mai creato i problemi interpretativi (e sintattici) della Ginestra."

      Strano perché io nella Ginestra ci sguazzo allegramente senza problemi (forse perché la conosco bene, credo persino di averla imparata a memoria una volta).
      Ci sono invece altri Canti per me ostici, che devo leggere attentamente e rileggere magari.
      Il canto notturno non è tra i miei preferiti, preferisco di gran lunga le Ricordanze (Vaghe stelle dell'Orsa).
      La Valduga commenta "Che fai tu, luna in ciel? Dimmi che fai / silenziosa luna?": ci può essere domanda più scema? Proprio il gobbo non le va giù. Penso che anche il compagno Raboni non stimasse troppo Leopardi. C'è un intero Meridiano dedicato a Raboni poeta. Non lo leggerò, non me ne importa. Mi perdo qualcosa o molto? Forse, ma pazienza. Raboni appartiene alla banda che linciò moralmente Calabresi - e armò la mano di Bompressi (secundum Marinun, per me credibile). Accidenti, abbiamo messo insieme Leopardi e Calabresi passando per Valduga e Raboni! Uscire fuori tema era il massimo crimine a scuola negli anni Cinquanta.

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    2. << Strano perché io nella Ginestra ci sguazzo allegramente senza problemi. >>

      Allora, complimenti. Ma tu, evidentemente, non sei un "lettore medio" come me.


      << La Valduga commenta "Che fai tu, luna in ciel? Dimmi che fai / silenziosa luna?": ci può essere domanda più scema? >>

      Fatela tacere !
      La signora, evidentemente, proprio non ha capito nulla.

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