mercoledì 20 luglio 2016

Estrazioni del Lotto

L’estrazione a sorte delle cariche di governo (in particolare nelle democrazie) può sembrare una barzelletta. Ed invece è stata spesso una scelta storica ben precisa, più utile ed efficiente di quanto non si creda. Un post di Jacopo Simonetta, da Effetto Risorse. Lumen


<< Nella Repubblica Ateniese, gli ingredienti con cui confezionare la dirigenza erano sostanzialmente 4: ereditarietà, partecipazione, sorteggio e voto. Coloro che avevano i diritti politici erano solo i discendenti diretti di cittadini ateniesi residenti in città, maschi adulti liberi, proprietari di immobili, in regola con le tasse e che avessero completato l’addestramento militare. In pratica circa il 10% della popolazione.

Costoro si conoscevano almeno di vista e passavano parecchio tempo a discutere fra di loro e non solo dei giochi olimpici. Dunque era gente che partecipava quotidianamente alla vita politica della città, con un controllo sociale incrociato molto stretto e soggetta ad una fiera e frequente selezione. Erano infatti loro a costituire la prima linea di battaglia nelle guerre che decidevano di fare. Come erano loro che pagavano per intero le tasse che decidevano di imporre.

Tutti insieme costituivano l’Ekklesia, vale a dire l’assemblea che aveva sostanzialmente la funzione di votare le leggi proposte da altri cittadini, di eleggere i comandanti militari ed un centinaio di funzionari, e di votare le dichiarazioni di guerra ed i trattati internazionali. In questo gioco, evidentemente, contavano moltissimo il prestigio personale e familiare, la ricchezza e la capacità oratoria. Si formavano quindi dei “partiti” che non si riferivano a differenti ideologie, bensì alle famiglie principali.

Proprio per limitare questo fenomeno, quasi tutti i magistrati ed i funzionari (circa un migliaio) erano designati per sorteggio e turnati rapidamente. Su questo elemento vorrei attirare l’attenzione, perché, forse, fu l’invenzione chiave del funzionamento delle repubbliche urbane della Grecia classica e di moltissime altre forme di governo nella storia europea.

Facciamo un salto di un migliaio di anni diamo un occhiata al funzionamento delle istituzioni feudali. Non propriamente un esempio di democrazia, eppure vi troviamo gli stessi ingredienti visti ad Atene, sia pure confezionati in diverso modo. Tanto per cominciare, il monarca veniva eletto dall'assemblea dei nobili e dei vescovi, la quale poteva anche, in casi estremi, revocare la designazione.

Di solito il nuovo re era uno dei figli del precedente monarca, ma non necessariamente e, comunque, neppure l’Imperatore poteva diventare tale se non veniva designato da un parlamento, cui doveva poi rendere conto delle decisioni principali, specialmente in materia di tasse, politica estera e guerra. In epoca merovingia i nobili laici erano nominati dal re, mentre i vescovi erano eletti dalle assemblee cittadine (tutti gli adulti: uomini e donne). (…) Successivamente e gradualmente, i feudi divennero prevalentemente ereditari, mentre la nomina dei vescovi passò al papato e/o a re ed imperatori. (…)

Viceversa, sugli affari quotidiani della gente comune, la chiave di volta del sistema era il “costume”. Vale a dire la tradizione, così come ricordata dagli anziani e dai "prudent’uomini" che erano dei notabili, ma mai dei nobili. Perlopiù contadini ed artigiani particolarmente stimati. Qualunque questione rilevante si discuteva in un tribunale, che in città era presieduto da un funzionario del re o del vescovo, mentre in campagna dal signorotto locale. Ma la decisione era presa da una giuria di persone scelte per sorteggio. (…)

Non tutti gli stati medievali erano monarchie. Vi furono anche diverse repubbliche, (…) [come, ad esempio,] la Repubblica di Venezia. Anche questa retta su di una complicata combinazione di partecipazione, ereditarietà, elezioni e sorteggio. Aveva una sua logica e, infatti, funzionò bene molto a lungo.

L’ereditarietà aveva la funzione di fornire persone preparate e conosciute, non ricattabili in quanto non potevano essere private del loro privilegi. La partecipazione di un numero consistente di persone garantiva la più ampia visione possibile dei problemi. L’elezione consentiva di selezionare le persone più stimate per i differenti ruoli. Il sorteggio serviva, come sempre, a spezzare gli inciuci, le camarille e le “lobby” che, allora come oggi, costantemente insidiavano il buon funzionamento degli organismi statali.

Con un altro salto giungiamo nel XVIII secolo. (…) Profittando dell’utopia illuminista del “dispotismo illuminato” gli stati principali sono diventati delle monarchie assolute. Con la parziale eccezione dell’Inghilterra che più degli altri aveva conservato la tradizione medioevale. Eppure proprio in Inghilterra scoppiò la prima e più importante rivoluzione della storia moderna: la Rivoluzione Americana.

Una pietra miliare non solo perché ne nacque lo stato più potente della storia (per ora), ma anche perché ne nacque l’identificazione fra democrazia ed elezioni che oggi diamo per scontata. Dei quattro ingredienti base degli ordinamenti precedenti: partecipazione, ereditarietà, elezione e sorteggio, la costituzione americana ne conservò uno solo: l’elezione. Il sorteggio rimase, ma solo per le giurie dei tribunali e con un ruolo molto ridotto rispetto al passato. Tutte le cariche pubbliche, a partire dallo sceriffo, furono assegnate per elezione, tranne quelle che divennero appannaggio del governo, a sua volta nominato mediante votazione.

Una scelta fatta sostanzialmente per due ragioni. La prima furono le distanze enormi e le difficoltà di comunicazione. Gli ordinamenti europei erano relativi a comunità in cui le persone si conoscevano almeno di vista e, comunque, potevano comunicare fra loro. Una cosa che in America era molto difficile, al netto di alcune città principali.

La seconda fu che i padri fondatori non avevano nessuna fiducia nella capacità di autogoverno delle plebe raccogliticcia che stava popolando il continente. (…) Un sistema esclusivamente elettorale, si pensò, avrebbe necessariamente favorito le poche persone capaci di raggiungere una certa notorietà in ambiti sufficientemente vasti. Quindi persone presumibilmente capaci e motivate, sostenute da famiglie importanti o da gruppi consistenti di cittadini.

Fu proprio in questo periodo che il Visconte Alexis de Tocqueville visitò gli Stati Uniti per studiare questo strano fenomeno politico, (…) e con acume individuò il pericolo che avrebbe potuto portare al disastro un sistema siffatto. Tocqueville lo chiamò “la dittatura della maggioranza”.

In un sistema esclusivamente elettivo, disse, il rischio maggiore era rappresentato dal fatto che si potesse catalizzare un blocco di opinione pubblica abbastanza coeso ed esteso da marginalizzare qualunque opposizione. In una tale situazione, le libertà civili sarebbero venute meno e il rischio di decisioni dissennate alto. Un pericolo che avrebbe dovuto essere contrastato dalla libertà di stampa, ma il nostro era abbastanza smaliziato da aver capito che l'alfabetizzazione di massa e la diffusione dei giornali potevano anche essere usati per costruire una tale dittatura.

Molto di più egli contava quindi sul più antico dei quattro elementi base: la partecipazione. Cioè, ai suoi tempi, sulla rete ufficiosa di comitati locali ed associazioni mediante cui i cittadini si auto-organizzavano per far fronte alle difficoltà. Questo tessuto non istituzionale sosteneva [la società]: aveva infatti il compito di mantenere viva la coscienza collettiva ed alta la guardia contro le derive autoritarie ad ogni livello.

Circa un secolo più tardi la repubblica americana servì da esempio per la democratizzazione degli stati europei, con risultati finora tutto sommato positivi. In effetti, è un fatto che le democrazie hanno assicurato ai loro cittadini una vita migliore e maggiori livelli di libertà rispetto agli altri paesi. E, nel frattempo, hanno vinto sia contro le dittature di matrice nazi-fasciste, sia contro le oligarchie comuniste.

Ma quando si è trattato di affrontare pericoli provenienti dalla propria struttura sociale ed economica, questi sistemi si sono dimostrati del tutto incapaci sia di prevenire, sia di reagire al pericolo. Con una classe dirigente composta da professionisti dell’intrallazzo e della propaganda; ed una popolazione atomizzata in individui che lottano disperatamente per sé stessi, sognando un impossibile ritorno della prosperità, non ci sono segni di luce in fondo al tunnel.

La dittatura della maggioranza alla fine si è verificata. (…) [Oggi] abbiamo due strumenti per cercare di contrastare il fenomeno: sviluppare la democrazia di base ed il ripristino del sorteggio per l’assegnazione di molti ruoli. Purtroppo, il tentativo di reintrodurre elementi di democrazia diretta si scontra con la capacità dei poteri elettivi e delle lobby economiche di manipolare e/o vanificare questi processi.

Il sorteggio non viene neppure preso in considerazione, mentre potrebbe essere proprio il grimaldello per spezzare i meccanismi perversi e ridare senso anche alle elezioni. L'ereditarietà oggi suona anacronistica perché era basata su di una tradizione completamente perduta, ma nomine a vita di persone particolarmente capaci, lungi dall'essere poco democratiche, potrebbero mettere in circolazione persone non ricattabili e non interessate al prossimo turno elettorale.

Ovviamente, non esiste nessuna garanzia che una riforma radicale degli ordinamenti funzionerebbe. Tanto più che dovrebbe essere fatta dalle stesse persone ed organizzazioni che sarebbe necessario scaricare. Dunque non accadrà. Ma intanto ci sono gruppi di persone che cercano di organizzarsi fra di loro.

A costoro vorrei semplicemente ricordare che, da quando esistono e finché sono esistite, la maggior parte delle forme di governo non autocratiche sono state basate su diverse combinazioni di quattro ingredienti: partecipazione, ereditarietà, votazione e sorteggio. (…) E credo che sarà così anche in futuro. > >

JACOPO SIMONETTA

37 commenti:

  1. Ha senso paragonare societa' il cui livello di complessita' era irrisorio (cosa che su quel sito quando gli fa comodo sanno bene) con le nostre?
    Non credo.
    Attualmente, a governare sono necessariamente i burocrati e i tecnocrati della ragioneria dello "zero virgola", e per ogni singolo settore decide l'esperto, il tecnocrate di turno, cui non solo manca totalmente la visione d'insieme, ma pure se ne ha una essa e' completamente viziata dal paraocchi della sua specializzazione.
    I politici sono praticamente inutili, cio' di cui si occupano sono solo parole.
    La nostra societa' funziona come un'immensa fabbrica, o esercito, che ingloba tutto nel suo macchinario, con gradi di liberta' prossimi allo zero virgola.

    Rassegnamoci, questo e' il prezzo della perfezione al cui tendere non abbiamo nessuna intenzione di rinunciare. Anzi appena qualcosa sfugge al determinismo generale, e' scandalo e rivolta popolare: dev'essere trovato e punito severamente il responsabile, e non deve succedere piu' per nessun motivo.

    O la botte piena, o la moglie ubriaca.

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  2. Mi limito a un'osservazione sulla cosiddetta "dittatura della maggioranza". È un'espressione che non mi piace e che è sempre più usata dai "perdenti" - che non ci stanno a essere perdenti e rivendicano i loro diritti. Ma quali sono questi diritti? Ovviamente i diritti fondamentali, anche detti umani, che non possono essere messi al voto e sui quali sembra vigere una generale accettazione.
    Le maggioranze sono tenute a rispettare questi diritti fondamentali da tutti riconosciuti, vincitori delle elezioni e perdenti. Se invece i vincitori prevaricassero, limitassero e violerebbero questi diritti si potrebbe allora effettivamente parlare di dittatura della maggioranza, comunque dittatura a tempo. Spesso però ho la sensazione che i perdenti vogliano in qualche modo governare anche loro, non rispettando così il principio maggioritario da tutti riconosciuto (in democrazia).
    Non ho (ancora) letto Tocqueville, ma penso che il suo timore dell'instaurazione di una dittatura della maggioranza si riferisse al fatto che una maggioranza potesse prevaricare sui diritti umani o fondamentali. Effettivamente questo pericolo sussiste, forse oggi più che in passato per il progresso tecnologico e la velocità delle comunicazioni. È noto che col cellulare si possono richiamare in loco in brevissimo tempo energumeni pronti a dare una lezione agli avversari. E anche a livello nazionale, e chissà un giorno intercontinentale e mondiale, si possono creare fazioni pronte a "prendere il potere" (e a mazziare gli avversari). Bisogna ricordare che la democrazia non è sinonimo di ragione, la democrazia è solo un metodo per evitare la paralisi o la guerra civile. Una decisione democratica può essere sbagliatissima, ingiusta, ma per fortuna il principio democratico o maggioritario ha in sé il rimedio: si rivota, nelle democrazie occidentali ogni 3-5 anni (3 in Germania, 5 in Francia per esempio) e si può correggere l'errore (possibile che si confermi l'errore, ma non credo in eterno).
    Il problema o la questione sono oggi i diritti umani o fondamentali "non negoziabili". Quali sono? C'è una carta nota di questi diritti (Dichiarazione dei diritti umani e del cittadino della Rivoluzione Francese), ma penso che se ne siano aggiunti oggi altri (per es. anche il diritto a cambiare sesso, e non solo: anche a spese della comunità). Oggi sembrano esistere solo diritti, dei doveri si parla meno o punto.
    Ma forse è davvero così che una autentica democrazia è possibile solo in piccole comunità dove ci si conosce un po' tutti, anche solo di vista. Un simulacro della democrazia ateniese è la "Landsgemeinde" (assemblea popolare) di alcuni cantoni svizzeri (cantoni di Appenzello e Glarona): i cittadini si riuniscono in piazza, ascoltano i discorsi e poi votano per alzata di mano (anche in una piazza gremita da migliaia di persone non è impossibile stabilire chi ha vinto). È però un fatto che queste assemblee sono quasi folcloriche. Appenzello e Glarona sono minicantoni (12'000 e 37'000 abitanti). In cantoni più grandi (Zurigo, un milione di abitanti) sono impensabili. Nei referendum propositivi svizzeri (iniziative popolari) è richiesta la maggioranza di votanti e cantoni (i cantoni sono 23). A volte l'iniziativa è bocciata perché non si ha la maggioranza dei cantoni - ciò che è antidemocratico! Infatti i quattro gatti di Appenzello pesano come il milione di zurighesi. Questa strana cosa ha una spiegazione nella storia della Svizzera, che è una confederazione di stati o staterelli (i cantoni) gelosi della propria autonomia (legislazione, istruzione ecc.).
    Insomma, la perfezione non è o non sembra essere di questo mondo, bisogna accontentarsi di una democrazia dimezzata.

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  3. "Infatti i quattro gatti di Appenzello pesano come il milione di zurighesi."

    La stessa identica cosa accade negli USA, che pure sono una federazione, e non una confederazione come quella svizzera (i confederati del sud hanno perso la sanguinosissima guerra civile): il senato dei 100 maggiorenti statunitensi e' composto da 2 senatori eletti col maggioritario semplice in ognuno dei 50 stati, che abbia 50 milioni o 1 milione di abitanti. Cio' serve esattamente alla tesi: evitare la dittatura della maggioranza, dando alla minoranza territoriale un relativo diritto di veto che deriva dall'assegnargli piu' peso relativo di quello che deriva in base alla pura proporzione matematica della popolazione. Se uno stato diventa piu' popoloso sono cazzi suoi, non per questo ha maggiore peso elettorale in sede legislativa. Io onestamente piu' il tempo passa piu' condivido, mentre disprezzo questa smania di assegnare sempre piu' potere al legislatore di turno, a prescindere dal fatto che sia eletto da una maggioranza che e' sempre piu' relativa e quindi infima, cosa che trovo velleitaria e pure eticamente sbagliata.

    Il toqueville lo si comprende appieno se si guarda agli usi e costumi degli attuali amish e mennoniti, comunita' di protestanti letteralisti che si autogovernano quasi completamente e vivono come nel medioevo: quasi sicuramente toqueville ha scritto certi passi delle sue opere dopo aver preso contatto con QUEL tipo di coloni americani probabilmente molto piu' diffusi due secoli fa di oggi.

    L'illuminazione mi ha colpito dopo aver visto qualche puntata della serie TV "breaking amish", serie TV americana ambientata nella comunita' amish, che ho trovato su emule, e che vi consiglio. Altrimenti Toqueville, guardandolo con occhi contemporanei, lo si fraintende.

    Il problema numero uno che abbiamo oggi e' limitare il potere, non sbrigliarlo ulteriormente.

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    1. Molti Amish se non ricordo male arrivavano proprio dalla svizzera. La serie l'ho trovata su tnt village, non e mule, e parla della "rumspringa", il periodo che hanno i giovani per vedere il mondo e scegliere se restare, coscientemente, nella propria comunita' accettandone le leggi, oppure andarsene. Nascere amish non implica accettarne implicitamente il contratto sociale, evidentemente. Sono anche loro "anabattisti", infatti. Sugli amish c'e' una ricca pagina su wikipedia, sempre se non ricordo male.

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  4. Cari amici,
    in effetti, il fantomatico concetto di "dittatura della maggioranza" piace poco anche a me.

    In democrazia la maggioranza DEVE decidere, perchè ogni altro sistema finisce per essere peggiore.
    E, come rileva giustamente Sergio, molti di coloro che agitano questo fantasma, sono spesso degli sconfitti invidiosi.
    Certo, la maggioranza può sbagliare, eccome, ma sono i rischi da correre.
    La democrazia, quindi, dovrebbe avere solo un unico tabù: la revoca della democrazia stessa.

    E i diritti civili ?
    E' lecito decidere a maggioranza sui mitici diritti civili ?
    Io, absit inuria verbis, penso di sì.
    Perchè questi diritti non solo sono negoziabilissimi (tutto è negoziabile), ma lo sono sempre stati nel corso della civiltà.
    E perchè ogni medaglia ha il suo rovescio e non tutti i diritti civili sono privi di conseguenza per il funzionamento della società.
    Ma qui il discorso si fa lunghissimo.

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    1. Apprendo oggi dai giornali che fra i diritti civili c'è persino il diritto alla genitorialità per cui anche l'eterologa deve essere rimborsata dalla mutua (se no ci sarebbe discriminazione rispetto a quelli dell'omologa).
      Io ne ho le palle piene di questi pseudodiritti. Ormai questa lista dei diritti si allunga quasi di giorno in giorno. Ogni desiderio diventa un diritto.
      E poi questa storia della non discriminazione! Che palle! Qui siamo a un passo dalla dittatura. Se preferisci una persona a un'altra discrimini quest'ultima. Guai a preferire le donne giovani e belle e intelligenti alle vecchie racchie ebeti, è ingiusto. Guai a preferire le Olimpiadi ai Paralimpici: vuoi mettere la ballezze dei 100 metri dei diversamente abili in carrozzella o con le protesi alla Pistorius ai 100 metri dei normodotati? Ho letto ieri che il "privilegio della nascita" (stato sociale, intelligenza, doti fisiche) ci obbliga verso la società: si deve compensare questa ingiusta disparità. Non più pari opportunità alla partenza, ma anche pari opportunità all'arrivo (dunque immagino anche uguaglianza assoluta, ovviamente anche economica). Ci guarderemo tutti in cagnesco per vedere se qualcuno gode di privilegi. Penso che un certo livellamento s'imporrà senza ricorrere al codice penale: è un'evoluzione naturale. Ma c'è anche un diritto a essere diversi, a essere sé stessi, anche in contrasto col mainstream. Sono i diversi che fanno avanzare la società, non i conformisti.
      Certo con l'evoluzione sociale possono effettivamente nascere nuovi diritti e aspettative. Ma ce ne corre per definirli diritti umani non negoziabili. In natura non esistono diritti, i diritti ce li siamo inventati noi, li invocano i più deboli per contrastare i più forti. Non dico che bisogni ritornare alla legge della giungla, ma insomma, est modus in rebus, un po' di sana disuguaglianza non guasta. Disuguaglianza economica che poi i marpioni di sinistra praticano ipocritamante alla grande (la destra è almeno più sincera).

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    2. "In democrazia la maggioranza DEVE decidere"

      Un momento: deve decidere cosa?
      Il problema delle societa' contemporanee, che e' riconosciuto da tutti gli studiosi della politica con un po' di sale in zucca e senso della storia, e' che si e' espanso a dismisura l'ambito di intervento e interferenza dello Stato, spesso come dice Sergio con la scusa della salvaguardia dei diritti, per cui la maggioranza finisce per essere peggio di un tiranno, il quale almeno vessa tutti allo stesso modo, maggioranza e minoranza.

      La questione comunque e' stata a suo tempo piuttosto sviscerata da Berlin con la sua distinzione fra liberta' positive e liberta' negative, "liberta' da" e "liberta' di".

      "Liberta' da", come semplice assenza di costrizione (che e' quella liberale, vedi Leoni), oppure "liberta' di" come garanzia di supporto da parte della collettivita' e dello Stato per fare cio' che si desidera (che e' la nostra, quella della cultura sempre piu' dominante, delle tasse (= corvee') sempre piu' schiaccianti, verso cui manifesta una certa intolleranza Sergio sopra. Sergio, la cosa per cui ora ti lamenti e' quella per cui hai lottato da giovane e che le tue lotte di allora, vincenti, sono riuscite a imporre. Hai vinto, adesso se ti lamenti devi farlo contro quel tuo te stesso del passato ;)

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    3. << La questione comunque e' stata a suo tempo piuttosto sviscerata da Berlin con la sua distinzione fra liberta' positive e liberta' negative, "liberta' da" e "liberta' di". >>

      Grazie Diaz.
      Direi che quella di Berlin è una sintesi perfetta dello stato moderno, che è partito per garantire la (sacrosanta) libertà "da", che in genere era la sopraffazione del più forte, e poi è finito nella palude dello stato etico, che si impiccia di tutto e di tutti, sino al ridicolo delle pari opportunità.

      Tutto questo è stato possibile non tanto per la spinta politico-ideologica di certi gruppi o partiti (che certamente vi è stata), ma per la sempre maggiore ricchezza disponibile in occidente, che ne consentiva lo spreco.
      Io ritengo che la pacchia sia finita (anche se so che Diaz non è d'accordo) per cui l'ingerenza dello stato etico dovrebbe scemare.
      Peccato che, appena uscito dalla porta, lo Stato dovrà probabilmente rientrare dalla finestra, per garantire un minimo di pace sociale nella distribuzione di ricchezze sempre più scarse (quando mancano i viveri la gente diventa difficile da controllare).

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    4. @ Sergio

      << Ma c'è anche un diritto a essere diversi, a essere sé stessi, anche in contrasto col mainstream. Sono i diversi che fanno avanzare la società, non i conformisti. >>

      Concordo in pieno !

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    5. Ma attenzione al conformismo dell'anticonformismo!

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    6. Certo.
      Ma per fortuna il sistema per distinguere i due comportamenti c'è: il conformista ostenta la propria diversità, facendone una moda (o addirittura un'arma); l'altro invece la vive in silenzio, facendosi per quanto possibile i fatti suoi.

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    7. ... il conformista anticonformista (anticonformista per conformismo) è patetico, fa ridere. Comunque nei rapporti sociali le mode sono irresistibili, si seguono senza nemmeno accorgersene, vuoi far parte del branco.

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    8. << le mode sono irresistibili, si seguono senza nemmeno accorgersene, vuoi far parte del branco. >>

      Però non sempre e non necessariamente.
      In genere sono le persone caratterialmente più deboli che cercano il branco, per darsi quella forza interiore che da soli non hanno.
      E gli opinion leaders, ovviamente, ci marciano.

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    9. Vero naturalmente. Io la moda non la seguo proprio, ma non per snobismo, semplicemente non ci faccio caso. Porto gli stessi stracci e lo stesso paia di scarpe anche per dieci anni, ma le donne - certe donne - non so quante camicette comprano all'anno (temo che questa osservazione sia sessista o non corretta - pazienza o chi se ne frega).

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    10. "Io ne ho le palle piene di questi pseudodiritti."

      Ma forse i diritti su cui puntiamo l'occhio sono solo mascherature, esiti, del vero diritto che ci viene imposto di fondo senza che ce ne accorgiamo: il diritto del professionista, del tecnico, dell'esperto di turno, di imporci i suoi servizi.

      E siccome siamo nella societa' dei servizi, la faccenda comincia a diventare pesante.

      A bruxelles, nei ministeri, nelle commissioni comunali, chi credete che sia che fa le leggi e i regolamenti? Sono dei pischelli che concepiscono la societa' come un eterno compito in classe dove stavolta tocca a loro, gli esperti, imporre le regole e dare il voto. Lo si capisce perfino dallo stile in cui scrivono.

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    11. << il diritto del professionista, del tecnico, dell'esperto di turno, di imporci i suoi servizi. >>

      Però è anche vero che senza questa diversificazione così profonda delle competenze, la scienza e la tecnologia non avrebbero fatto i progressi di cui godiamo.
      Come sempre, c'è la medaglia e c'è il suo rovescio.

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  5. "Ricordo per i non addetti che la produzione granaria, dove effettivamente si fa miglioramento vegetale, è cresciuta in media di 1,2 q/ha/anno negli ultimi 50 anni e che un 40% di questo aumento è ascrivibile alla sola genetica." (guidorzi)

    da:
    https://agrariansciences.blogspot.it/2016/07/pagare-le-tasse-e-ancora-dovere-morale_21.html

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  6. Tanto per tornare in topic, ed in particolar modo ai pregi e difetti della democrazia rappresentativa, che pensate del voto parlamentare "segreto", che viene utilizzato in alcuni casi (con esiti spesso imprevedibili) ?

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    1. Così spontaneamente direi che il voto segreto è da biasimare, serve a coprire gli inciuci. L'intenzione dei costituzionalisti fu forse nobile (a difesa della libertà del parlamentare di votare secondon coscienza e non per appartenenza, spirito gregario). Nella realtà invece serve ai parlamentari per "colpire in segreto" facendo magari anche cadere il governo, cosa che trovo inammissibile. È legittimo cambiare opinione (e persino partito!) in corso di legislatura, ma ciò avvenga alla luce del sole, anche per rispetto degli elettori. Dovrebbero dimissionare, ma poi perderebbero la pensione ... Il vostro dire sia sì sì, no no (Gesù a volte ci azzeccava, non sempre).

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    2. Credo che all'inciucio serva molto di piu' il voto palese, specialmente visto il fatto che le liste elettorali sono sempre piu' "bloccate" e decise dal vertice del partito. Il deputato che sgarra semplicemente non viene piu' messo in lista, e non puo' piu' essere scelto dall'elettore.
      La tendenza del nostro sistema parlamentare finora e' stata di dare sempre maggior potere al governo e al partito (o lista) di maggioranza, svuotando la rappresentativita' del parlamento, in cui infatti nessuno si riconosce piu': il che non credo che portera' molto lontano.

      E' un paese strano il nostro, che dipende sempre piu' dalle leggi per ogni minimo aspetto (a qelle italiane si sono aggiunte le europee), eppero' il cui cittadino si lamenta sempre della sua "insufficiente governabilita'": ci sono troppe leggi, ma non sono ancora abbastanza.

      Decidiamoci: vogliamo ancora piu' prescrizioni legislative o no? Non ci si puo' lamentare di una cosa e contemporaneamente volerne di piu', magari solo per qualche riflesso condizionato di formazione politica atavica (che di solito per il nostro paese e' clerico-fascista, che si tratti di destra o di sinistra poco cambia).

      La zucca del cittadino medio italiano non e' mai liberale, e' autoritaria, il nostro sistema politico-legislativo democratico funziona male per questo, perche' e' innaturale nella cultura del nostro paese, non perche' e' fatto male e ha poco o troppo potere.

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    3. Cari amici, sono d'accordo con voi che il voto parlamentare segreto andrebbe abolito senza riserve, ma non tanto per motivi etici, quanto per motivi politici (con la P maiuscola).

      Certo, il voto non palese può servire per qualche inciucio sottobanco (come sostiene Sergio), o anche come dispetto alla linea del partito (come osserva Diaz), ma, in ogni caso, è la negazione della democrazia rappresentativa.

      Perchè se io eleggo un mio rappresentante in parlamento, e poi voglio valutare il suo comportamento, DEVO sapere come e per cosa ha votato, in tutte le circostanze.
      Altrimenti come faccio ?
      Non posso fidarmi solo delle dichiarazioni, perchè sono quasi sempre strumentali.
      Il voto invece rappresenta un impegno più significativo (almeno si spera).

      Il guaio è che senza un sistema uninominale ben radicato, il parlamento è tutto meno che una assemblea di rappresentati della popolazione.

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    4. "Perchè se io eleggo un mio rappresentante in parlamento, e poi voglio valutare il suo comportamento, DEVO sapere come e per cosa ha votato, in tutte le circostanze."

      Questo aveva senso con la legge elettorale del 1948. Tutte le modifiche successive l'hanno svuotata del senso che aveva, senza dargliene un altro di sostitutivo. Notare che ad ogni recente elezione, degli ultimi decenni, c'e' stata una legge elettorale diversa. E ci sara' anche una costituzione diversa, ogni volta ad hoc, fra poco. Il tracollo si avvicina.

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    5. "Il guaio è che senza un sistema uninominale ben radicato"

      Se intendi il sistema uninominale secco a turno unico (quello americano per intendersi), significa legare la rappresentativita' al territorio e non ai partiti. Ma anche qui il diavolo sta nei dettagli: puo' mettersi in lista chiunque e vince chi prende piu' voti o verrebbero messi in atto mille cavilli per limitare l'accesso alla eleggibilita' del cittadino qualunque?
      Probabilmente si tratterebbe di un sistema totalmente inconcepibile per la cultura politica italiana, che e' autoritaria in congrua parte del territorio. Avremmo inoltre un parlamento con virtualmente tanti partiti quanti sono i suoi membri, cioe' l'estremo opposto di ogni riforma tentata e acclamata negli ultimi decenni, che al contrario tende a dare tutto il potere a chi abbia un voto in piu' non a livello di singolo eletto ma nazionale, di governo e camera dei rappresentanti. Si otterrebbe cosi', per la differenza di un piccolo particolare, un effetto totalmente opposto: il massimo arbitrio del potere invece della sua massima limitazione.

      Un gran malinteso, come minimo.

      Dovremmo metterci d'accordo: vogliamo un potere limitato al massimo da pesi e contrappesi (come nelle vere democrazie), con potere reale sul cittadino solo attraverso la quasi unanimita' dei consensi, e quindi del suo stesso consenso, o un sistema democratico nell'apparenza ma autoritario di fatto, in cui basti una maggioranza relativa per imporsi al resto? A me sembra che quasi tutti, spesso senza saperlo, spesso per ignoranza dell'effetto delle loro convinzioni, propendano per il secondo, da cui l'impressione che la cultura politica italiana sia autoritaria nei suoi singoli elettori, cultura che i costituzionalisti hanno tentato di moderare dandoci un sistema istituzionale che noi ora, stoltamente, consideriamo "bloccato", cioe' troppo legato. Nello stesso tempo in cui ci lamentiamo delle troppe leggi. Io un elettorato cosi' non vedo come altro definirlo se non imbecille.

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    6. Corollario di quanto detto sopra e' che il voto segreto in parlamento, nella nostra rappresentativita' che e' partitica, avrebbe dovuto servire a rendere il parlamentare piu' libero dalla disciplina di partito, perche' i padri costituenti evidentemente ben si rendevano conto che il sistema da loro congegnato dava un peso preponderante ai partiti, con i noti effetti deleteri che ne sono seguiti (la spartizione partitocratica di tutto) e questo avrebbe dovuto essere un contrappeso a tale preponderanza...

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    7. Caro Diaz,
      le tue critiche e le tue considerazioni tecniche sono fondate, non lo nego.
      D'altra parte quando si parla di democrazia rappresentativa e si deve scegliere il meccanismo migliore, si scopre ben presto che ciascuno di essi ha i suoi pregi e i suoidifetti.

      Personalmente (ma lo dico a livello più emotivo che giuridico), trovo intollerabile il sistema partitico attuale, in cui gli eletti in Parlamento non hanno nessun ruolo che non sia quello di pigiare un bottone.
      Nella sostanza i leaders dei partiti si siedono intorno ad un tavolo, contano le azioni (pardon, i parlamentari) di cui dispongono e decidono in base ai numeri.
      Di qui la farsa dei gruppi parlamentari (che servono solo a compattare il gregge) ed altre amenità simili.
      Questo non mi piace per nulla.

      Invece il sistema uninominale secco, quello con gli eletti che rispondono in primis al loro territorio, e dopo (molto dopo) alle segreterie dei partiti, mi piace immensamente di più.
      A quel punto in parlamento si può discutere davvero del merito delle leggi e poi votarle secondo le proprie convinzioni.
      Il rovescio della medaglia sarebbero ovviamente gli inciuci personali ed i baratti di tipo locale.

      Forse sono un romantico, ma a me un parlamento così piacerebbe più dell'attuale.

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    8. Anche a me ma non illudiamoci, e' estraneo alla cultura autoritaria e tribale del nostro paese.

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    9. In effetti, l'impressione è che l'elettore medio italiano voti più volentieri per il partito che per il singolo candidato.
      Anche la personalizzazione della politica portata da Berlusconi si è fermata sostanzialmente alla leadership del movimento, senza scendere più in basso.

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    10. "voti più volentieri per il partito che per il singolo candidato"

      Anche perche' il "candidato", diciamoci la verita', spesso e' selezionato fra la feccia della societa'. A presentarsi in politica, con la nomea che ha ormai la politica, difficilmente ci sono persone che non siano delinquenti o deficienti, una cosa non escludendo l'altra. Nel primo caso perche' ci guadagnano, nel secondo caso per ambizione al comando: e difficilmente riesco ad immaginare qualcosa di piu' dannoso di un imbecille ambizioso a comandare.
      A guardare bene, questo ultimo tipo e' sempre piu' frequente e "di successo".

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    11. Purtroppo quello del politico è un mestiere ingrato, in cui i buoni risultati sono spesso sfuggenti, e non possono mai accontentare tutti.
      Chi ha talento, capacità ed onestà guadagna molto di più (e fa una vita molto migliore) lavorando nel privato.
      Perchè mai dovrebbe fare il politico ?

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    12. "Chi ha talento, capacità ed onestà guadagna molto di più (e fa una vita molto migliore) lavorando nel privato."

      Nemmeno questo e' vero, con la ormai compiuta, per via fiscale, centro-meridionalizzazione del paese, chi ha le caratteristiche che elenchi sopra e' solo un coglione predestinato a finire in una discarica. Nel privato restano ormai solo i coglioni e gli incapaci.

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    13. per via fiscale e normativo-burocratica, a cui l'europa invece di porre argine come si immaginava e si auspicava nei distretti produttivi abituati storicamente all'autogoverno, ha dato una brusca accelerata, distruggendo l'ecosistema.

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    14. << Nel privato restano ormai solo i co****ni e gli incapaci. >>

      No, su questo non sono d'accordo.
      Ci sono fior di manager, intelligenti e capaci, che hanno successo e fanno i soldi quasi solo per la loro bravura.

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  7. "perche' e' innaturale nella cultura del nostro paese"

    O meglio culture politiche, il nostro paese e' un'arlecchinata di culture politiche enormemente distanti una dall'altra, e aver pensato di poterlo condurre sotto un'unico corpus legislativo e' stata una scemenza di un'arroganza totale e, appunto, incompatibile con la democrazia (sottinteso liberale, che non vedo come una democrazia possa essere altrimenti aggettivata).

    Il risultato e' stato un'accozzaglia di miliardi di leggi e regolamenti (vedere quelli relativi all'edilizia) che rendono impossibile una qualsiasi forma di autodeterminazione che non sfoci, dal punto di vista formale, nell'illegalita' e nel banditismo. L'unica alternativa e' la paralisi.

    Il nostro paese e' ad esempio molto piu' variegato culturalmente della svizzera (secondo recenti studi siamo il paese d'europa con la massima diversita' culturale, genetica, linguistica, anzi addirittura c'e' piu' varieta' nella sola italia che nel resto d'europa).

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    1. << addirittura c'e' piu' varieta' nella sola Italia che nel resto d'europa) >>

      Possibilissimo, visto che la collocazione geografica e la forma del territorio ci hanno reso una terra di passaggio.
      Dai tempi dell'impero Romano ad oggi dall'Italia ci sono passati un po' tutti e tutti hanno lasciato culturalmente qualcosa.
      Purtroppo hanno lasciato anche un senso civico nazionale molto ridotto, ma questo forse era inevitabile.

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    2. http://www.lescienze.it/archivio/articoli/2014/09/03/news/la_nostra_storia_tra_cultura_e_geni-2256542/

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    3. Se mi passi una battuta, si potrebbe dire che l'Italia ha avuto una grande quantità di GRANDI GENI (soprattutto artistici) perchè aveva una grande varietà di PICCOLI GENI (nel DNA). :-)

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    4. Al di la' della battuta, le due cose benche' simultanee sono completamente scollegate: la diversita' genetica e quella culturale hanno la causa comune nell'isolamento geografico, e non sono causa reciproca. La cultura non ha nulla a che fare con la genetica, a meno che non si voglia tornare alle teorie del determinismo razzista, che ora paiono prive di ogni fondamento biologico, tanto di moda qualche tempo fa.

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