mercoledì 30 marzo 2016

Classe Alfa - 2

Si conclude qui l’articolo di Alberto Lo Presti su Robert Michels e la sua teoria delle elites politiche. Lumen

 
(seconda parte)
 
<< Michels costruisce una teoria generale delle cause che producono, nell’organizzazione democratica, l’insorgenza dei meccanismi dell’oligarchia. Tale teoria affonda le proprie radici in questioni di carattere psicologico, relativo al comportamento dei leaders nelle situazioni di potere, e in questioni di psicologia collettiva, relative alle propensioni delle masse per l’avvento di una conduzione autorevole della loro vitalità politica.
 
In tal senso, il ritratto psicologico del membro dell’oligarchia che Michels traccia è abbastanza fosco: il leader possiede una naturale sete di potere tipica in chiunque si lanci nel mondo politico, prende coscienza del proprio valore e costruisce la propria abilità, la propria eloquenza e la propria intelligenza in vista dello scopo della massimizzazione del dominio.
 
Ma il pessimismo di Michels raggiunge forse il suo apice nella considerazione di come le masse siano per definizione apatiche, abbiano il bisogno di essere comandate, sono pronte ad una riconoscenza senza limiti nei confronti di chiunque dia loro una prospettiva, possiedono una tendenza innata alla venerazione dei capi e al culto della personalità. (…)
 
Neanche dentro l’oligarchia soffia il benché minimo vento di concordia: la lotta fra i leaders può originarsi per molteplici ragioni, come la distanza generazionale, la diversa origine sociale, o semplicemente da visioni diverse. Due forme particolari di lotta sono quelle fra i leaders provenienti dalle fila del partito e coloro che, invece, hanno raggiunto l’oligarchia al di fuori di esso. (…)
 
Particolare, ancora, è il confronto fra la leadership di tipo burocratico e quella di tipo demagogico: (…) da una parte i leaders eletti che dipendono dal consenso delle masse, dall’altra i leaders burocratici, che hanno raggiunto la loro posizione di vertice attraverso il controllo della macchina del partito. Ma alla fine (…) prevale la generale predisposizione alla conservazione del potere, per cui Michels nota come accada frequentemente che la leadership burocratica e quella demagogica finiscano per allearsi o fondersi.
 
La fusione fra i diversi interessi presente nelle oligarchie diventa evidente quando osserviamo il funzionamento del meccanismo della cooptazione. I leaders affermati, infatti, ormai lontani dalla base delle masse, tentano di colmare il vuoto attraverso la cooptazione di coloro che invece riscuotono il consenso e che potrebbero insidiare il loro potere. La cooptazione, solitamente, consiste nell’attribuire a tali figure delle cariche prive di reali poteri, ma comunque onorifiche.
 
Il risultato è che «i leaders dell’opposizione ottengono nel partito alte cariche e onori e così vengono resi innocui, in quanto in tal modo sono loro precluse le cariche più importanti, ed essi rimangono nei secondi posti senza influenza notevole e senza poter sperare di diventare un giorno maggioranza; per contro essi condividono ora la responsabilità delle azioni compiute insieme agli avversari di una volta». (…)
 
Le oligarchie dei partiti politici sono continuamente minacciate da due forze: una esterna, consistente nell’orientamento delle masse che potrebbe produrre cambiamenti al vertice, se non stravolgimenti, in caso di ribellione; una interna, dovuta al gioco di potere partecipato dagli ulteriori sottogruppi differenziati all’interno dell’oligarchia.
 
In tale situazione, come si può pretendere – pensa Michels – che possano esserci comportamenti virtuosi nell’arena politica ? «Ed è da questo che deriva, in tutti i moderni partiti popolari, la profonda mancanza di vero spirito di fratellanza, cioè di fiducia negli uomini, ed il conseguente stato latente e continuo di belligeranza, quello “spiritus animi” sempre teso che ha dato luogo alla diffidenza reciproca dei leaders, diffidenza che è diventata una delle caratteristiche essenziali della democrazia». (…)
 
L’organizzazione politica è la novità della modernità: essa costruisce i percorsi per giungere al potere; ma una volta partecipi del potere ogni individuo, di fatto, smette i panni del progressista o dell’innovatore per vestire quelli del conservatore. E’ un processo che non conosce impedimenti e che soffoca ogni buona propensione verso una politica che costruisca i buoni ideali.
 
In tal senso, le macchine organizzative dell’arena politica non si confrontano più sul piano delle visioni teoriche o idealistiche, piuttosto competono per il consenso di una certa base elettorale. Gli obiettivi, allora, si trasformano: dagli assetti desiderabili della società in avvenire, all’acquisto del maggior numero di voti da realizzarsi subito. In tutto questo, diatribe e risentimenti personali diventano gli eventi tipici della cronaca quotidiana e ogni riferimento a idealità o a valori disturba l’incessante lotta fra le fazioni, mentre è desiderabilissima se può tornare utile nel contenzioso.
 
Anche il parlamentarismo è uno strumento piegato a queste «occulte» esigenze: «Parlamentarismo significa aspirazione al maggior numero possibile di voti», proprio come «Organizzazione di partito significa aspirazione al maggior numero possibile di iscritti». Soprattutto i partiti social-democratici pagano un alto costo a questa dinamica. Sono loro, infatti, che per aumentare il consenso, tradotto in voti e in inscritti, devono in un certo senso “diluire” il proprio messaggio ideologico per proporlo favorevolmente anche a settori non immediatamente identificabili con gli interessi della classe proletaria.
 
Forse, la maggiore evidenza dell’incongruenza fra le idealità della socialdemocrazia e la prassi politica “corrotta” dall’organizzazione si ha quando si esamina il rapporto del partito con lo Stato. L’ideologia dei partiti socialisti postula l’estinzione dello Stato nella futura società comunista, ritenendolo superfluo e strumento di oppressione. (…)
 
Tuttavia, Michels osserva come le pressanti esigenze organizzatrici del partito abbiano, di fatto, centralizzato le funzioni direttive, le quali si esprimono con efficacia quando riescono a imporre autorità e disciplina. Per tale via, «il partito politico-rivoluzionario è uno Stato nello Stato, che in teoria dichiara di perseguire lo scopo di svuotare e di distruggere lo Stato presente, per sostituirlo con uno Stato completamente diverso»
 
E’ inarrestabile il declino del fuoco ideologico dei partiti rivoluzionari: il «dinamismo rivoluzionario» viene soffocato dalle esigenze di un’organizzazione politica che deve continuamente richiamare la propria azione alla prudenza per conservarsi nella stabilità. E’ in tal modo che la macchina organizzativa del partito rivoluzionario, creata con lo scopo del sovvertimento dei rapporti di forza, diviene invece un fine in sé: «l’organo finisce per prevalere sull’organismo». (…)
 
Michels richiama l’attenzione sull’idea ‘fantasiosa’ di democrazia e sulla impossibilità della sua realizzazione ideale. (…) La realtà dei rapporti politici - come ci insegnano Mosca e Pareto - conferma invece che dalle lotte fra aristocrazia e popolo fino alle lotte di classe dell’era moderna, la dinamica politica è interamente articolata sul conflitto per il potere, sull’eterno antagonismo fra chi comanda e coloro che, comandati, aspirano a soppiantare i primi. (…)
 
Michels compie un’accurata analisi politologica delle “cause fisiologiche” della distanza fra la teoria della democrazia e la sua realizzazione storica. Il momento critico può riassumersi nel capovolgimento della funzione etica: se l’ideale di democrazia si riscontra nell’eticità della partecipazione politica diffusa e per consenso, (…) questa etica altro non è che uno strumento per raccogliere fortuna e gloria. Così, nella lotta – più o meno subdola – per il potere, «l’etica non sarebbe altro che una finzione» (…)
 
Gli elementi teorici che sostengono questa concezione li possiamo riassumere in cinque punti.
 
Al primo posto (…) troviamo l’indifferenza e la noncuranza politica della maggioranza. Non ha senso affermare il principio che vuole il rappresentante politico collegato e controllato alla sua base elettorale e alla popolazione intera. Questa è una «leggenda» del parlamentarismo. Coloro che si occupano della vita politica, fra il popolo, sono veramente una esigua schiera, e «soltanto l’egoismo è capace di stimolare gli uomini allo scopo di preoccuparsi dello Stato, e se ne preoccuperanno infatti appena le cose andranno molto male per loro». (…)
 
Al secondo posto, Michels cita i meccanismi impliciti nella rappresentanza politica. Il parlamentarismo pone le basi perché si costituisca un gruppo che «mediante delegazione» governa sulla maggioranza. Altro che governo del popolo: è il governo di quella parte del popolo che rappresenta tutto e tutti. (…)
 
Al terzo posto troviamo il ben noto principio dell’ereditarietà, che vuole qualsiasi classe dirigente tendere a trasmettere il proprio potere alla discendenza. In ogni ordinamento politico, allora, non solo si dà l’oligarchia, ma a parere di Michels «l’aristocrazia si stabilisce in via automatica, anche in quegli Stati che la escludono».
 
Il quarto posto (…) riguarda lo sviluppo della burocrazia statale al servizio e a difesa della classe politica. Per giustificarla, Michels ricorre all’istinto di conservazione dello Stato moderno, che si protegge allestendo una cintura attorno a sé di burocrati il cui interesse coincide con il suo. A dimostrazione della funzionalità del rapporto fra gli interessi della burocrazia e quelli dello Stato, Michels fa notare le vantaggiose condizioni economiche che normalmente vengono accordate a coloro che lavorano nel settore della pubblica amministrazione dello Stato.
 
Al quinto posto troviamo la propensione dei partiti socialdemocratici a distaccare una élite proletaria e ad inserirla dentro la classe politica. Questo è un processo spontaneo. L’attivismo dentro il partito può essere l’occasione per compiere una scalata verso il successo e gli onori della carriera politica. In questi termini, l’impegno politico è confrontabile con qualsiasi attività lavorativa: da esso si può trarre il sostentamento per la propria vita e un mezzo per dare espressione alle proprie ambizioni. (…)
 
In conclusione, il pessimismo conduce la riflessione di Michels alla circolarità dell’interpretazione del rapporto politico fra élites e masse. In pratica, si crea una oligarchia in seno a ogni organizzazione politica per via del generale e naturale disinteresse delle masse per le vicende politiche, e dall’altra parte si afferma che la diffusa presenza di élites di potere di fatto esclude le masse allontanandole dall’arena politica in modo da preservare il potere in coloro che lo occupano e gestiscono. > >
 
ALBERTO LO PRESTI

21 commenti:

  1. Tutto vero, logico e quindi ... giusto, nel senso che non può che andare così.
    Tuttavia questo passaggio:
    "Ma il pessimismo di Michels raggiunge forse il suo apice nella considerazione di come le masse siano per definizione apatiche, abbiano il bisogno di essere comandate, sono pronte ad una riconoscenza senza limiti nei confronti di chiunque dia loro una prospettiva, possiedono una tendenza innata alla venerazione dei capi e al culto della personalità. (…) "

    ... è forse vero in America latina o in altri paesi sottosviluppati, pardon, in via di sviluppo, ma non da noi. Non che noi siamo più intelligenti, evoluti, saggi, ma le masse così descritte mi sembrano una
    caricatura della nostra realtà. Magari osservo questo per sottrarmi al pessimismo dell'autore.
    Siccome ho appena letto il famoso Manifesto di Ventotene di Spinelli & soci, noto che anche Spinelli vuole "educare le masse", per evitare che ogni villano si faccia Marcello. Insomma, dopo la rivoluzione e il rotolamento di teste bisogna "organizzarsi" e per organizzarsi, è inevitabile, ci vogliono persone competenti. Segue l'inevitabile involuzione ben descritta nell'articolo.
    Lo stesso ci sono elementi nuovi non disprezzabili, come la moderna tecnologia. Senza cellulari non ci sarebbe stata la primavera araba. La diffusione delle notizie avviene oggi in tempo reale e a livello planetario e può mobilitare masse enormi e travolgenti (sembra però che gli Stati siano ancora in grado di ... staccare la corrente alias oscurare il web).

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    1. << Ma il pessimismo di Michels raggiunge forse il suo apice nella considerazione di come le masse siano per definizione apatiche >>

      Caro Sergio, è vero. Forse qui Michels esagera un po'.
      Tieni conto però che lui scriveva ai primi del novecento ed al tempo l'alfabetizzaizone di massa era ancora un miraggio.

      Oggi tutti sono andati a scuola e sanno leggere, scrivere e far di conto.
      Però, che la gente abbia poca voglia di perdere tempo per la gestione della cosa pubblica e si affidi volentieri ai trafficoni di professione, resta tristemente vero.

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  2. Tra le varie espressioni alate, come la sacralità della vita, figura anche il "pieno sviluppo della persona umana" che la costituzione più bella (la nostra, ovvia) intende favorire in ogni modo, rimuovendo anche gli ostacoli di natura economica (sic) a questo sviluppo. Lo Stato dovrebbe dunque assicurare a tutti una vita più che decente. Il cinque giugno gli Svizzeri votano sul BGE (reddito di base incondizionato): bocciatura sicura (65-70% contrari), ma gli iniziativisti la mettono in conto. Ci vorranno più votazioni per arrivarci. Finlandia, Canada e Danimarca stanno già provando questo BGE. Che è qualcosa di più di una elemosina ovviamente. In Svizzera per es. significherebbe ben 2500 franchi a testa (ca. € 2300), 600 per i minori. Se si pensa che molte pensioni italiane non superano i 750 euro si noterà la differenza. I 2500 franchi serviranno però alla copertura di tutte le prestazioni sociali solite (sanità, istruzione, pensioni ecc.). All'apparenza sembra una cuccagna, in realtà coprirà solo i bisogni primari, per cui la finalità del BGE - liberare l'uomo dalla pura necessità e dalla paura - non si realizzerà: bisognerà continuare a lavorare (accettare dunque qualsiasi lavoro sgradevole e mal pagato). Secondo le intenzioni invece chi ha la pagnotta assicurata avrebbe più forza contrattuale. Ma ci sarà il lavoro per "arrotondare" il BGE? Ne dubito con tutta l'automazione e robotizzazione in corso.
    Credo di essere andato fuori tema, ma si vede che è una cosa che mi occupa. Poi, gira e rigira, si finisce sempre lì: come vogliamo organizzarci per non romperci continuamente la testa?

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  3. << Lo Stato dovrebbe dunque assicurare a tutti una vita più che decente. Il cinque giugno gli Svizzeri votano sul BGE (reddito di base incondizionato) >>

    Io credo che, prima o poi, il reddito di cittadinanza verrà introdotto anche in Italia, ma sarà solo una misura tampone, volta semplicemente ad assicurare il minimo vitale ai disoccupati.

    Non avrà nulla a che vedere con la garanzia di "una vita più che decente", il che forse è anche inevitabile: come si fa a stabilire il limite minimo di una vita decente ? E coma fa lo stato a garantirlo senza invadere le nostre vite in modo totalitario ?

    Già il fatto che la nostra attuale produttività consenta un surplus di ricchezze da distribuire anche a chi non produce nulla, deve essere considerato un mezzo miracolo, una situazione da età dell'oro, che può venir meno in qualsiasi momento.
    Non credo che sia questa la soluzione dei nostri problemi sociali.

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    1. "E coma fa lo stato a garantirlo senza invadere le nostre vite in modo totalitario?"

      È chiaro che se lo Stato deve garantire a tutti una vita decente, anzi di lusso (come favoleggia Flores d'Arcais: "welfaire spinto al massimo") deve organizzare lui le nostre vite, sa lui di cosa c'è bisogno e meglio di noi. Ceasescu sognava un "socialismo scientifico" che doveva anche studiare il menù degli operai (ovviamente con tutti gli ingredienti per avere una sana classe operaia - da sfruttare meglio magari).
      Il risvolto del perfezionismo è la riduzione o scomparsa della libertà, come sta già avvenendo anche da noi: lo Stato s'intrufola dappertutto, con l'abolizione del contante saprà come spendiamo i soldi, anche un caffè. Non è una bella prospettiva.

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  4. << Il risvolto del perfezionismo è la riduzione o scomparsa della libertà >>

    Parole sante.
    Quanti errori (ed orrori) sono stati compiuti, anche in buona fede, nella (vana) ricerca della società perfetta !

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  5. A proposito del conservatorismo (pro domo loro) delle elites, ecco quello che scrive Aldo Giannuli in un post di qualche girono fa:

    << siamo in presenza di una vera e propria incapacità delle classi dirigenti di riconoscere i dati di fatto e modificare i comportamenti.
    Cosa, per la verità, non nuova nella Storia, ma questa volta, probabilmente, più sfacciata, sino a giungere a livelli di assoluta stupidità (...)
    Si tratta di un comportamento collettivo ed istituzionalizzato che non può essere spiegato come semplice stupidità individuale o come frutto di una qualche macchinazione di cui ci sfuggono le ragioni, ma che certamente è ordita da un potere nascosto.
    La spiegazione è insieme più semplice e più complessa ed è la risultante di una singolare congiuntura storica in cui si intrecciano vari fattori, in primo luogo (ma non solo) di natura socio-istituzionale.
    Modificare una prassi richiede a volte un cambiamento nei rapporti di forza ovviamente sgraditi a chi, nel cambio, ci perde. >>

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    1. "ecco quello che scrive Aldo Giannuli ecc"

      Giusto un attimo prima di leggere questo, stavo pensando che alla base del comportamento delle classi dirigenti, e di tutte le altre, ci sono gli intellettuali, dato che come aveva acutamente osservato fra gli altri keynes, a dirigere il comportamento di oggi sono, senza che ci si renda conto, idee piu' o meno geniali pensate chissa' quando nel passato, i cui ideatori magari sono morti da lungo tempo.
      "Ideas have consequences", salvo che per i marxisti-leninisti, che di idee credevano di essere completamente privi, dato che avevano gia' l'immanenza della storia che pensava al loro posto.
      Se fosse cosi', forse a far cagare, prima di tutto, percio', sono stati certi intellettuali, che Giannuli conosce bene, che in quanto a fallimenti non sono stati secondi a nessuno.
      A guardare un po' al passato, non e' un'ipotesi cui si possa stentare a credere.
      E guardando a certi influenti intellettuali del presente, non c'e' da sperare nulla di buono neanche per il futuro.

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    2. "E guardando a certi influenti intellettuali del presente ..."

      I nomi, i nomi.

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    3. Per quanto riguarda quelli di oggi, con certezza si potranno sapere solo nel futuro: a fare bella figura sparando chiacchere e criticando il fare degli altri siamo capaci tutti, e' quando vengono messe in pratica che si vede quanto siano delle grandi cazzate. Per quanto riguarda gli intelettuali del passato, dato che i tristi risultati del loro pensare gia' si vedono oggi, cio' che si dovrebbe dire e' da codice penale. Il problema e' che molti di loro, e loro eredi, sono ancora in attivita' e completamente privi di senso del pudore.

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    4. << I nomi, i nomi >>

      Tre nomi su tutti: Lumen, Sergio di Sennwald e Winston Diaz.
      Le conseguenze dei loro vaneggiamenti peseranno come macigni sulle prossime generazioni.
      E non dico altro. :-)

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    5. Leggendo alcuni dei blog suggeriti a lato, per identificarne alcuni puo' essere utile osservare i ragionamenti che fanno circa lo sfruttamento delle risorse di idrocarburi nostrani, cioe' di un paese che gia' dipende per almeno il 90 per cento dall'estero: "not in my courtyard", dell'inquinamento altrove e spreco in spese di trasporto che avviene usufruendo di risorse remote, sebbene si auto-proclamino ecologisti e moralisti, non gliene importa nulla. Peraltro, e' la stessa gentaglia che in passato ha lottato per far si' che la massa del popolo abbia potuto godere dello stesso livello di ricchezza materiale e consumo energetico dei "ricchi", e adesso dicono che a produrre tale affluenza e' stato il complotto pluto-massonico... e vogliono la "decrescita". Proprio qualche giorno fa ho trovato dei vecchi conoscenti che mi hanno fermato, loro erano ovviamente in macchina che andavano a fare la spesa a pochi chilometri da casa, io come sempre in bicicletta: indovinate chi dei due era incazzato e stava facendo la lotta col Comune per avere la totalmente inutile e superenergivora pista ciclabile che arrivi fino davanti a casa sua (e che gli pago io con le mie abbondanti tasse)... un aiutino: non era quello che in bicicletta ci va gia' da 20 anni. Popolo di teste di cazzo. Che fra l'altro in qualche modo istintivamente recondito pur essendo privo di coscienza e conoscenza fa quello che e' attualmente giusto: se smettesse di andare in macchina, cosa che potrebbe fare da domani con grande guadagno nell'umore, nel portafogli e nella salute, produrrebbe il disastro economico totale immediato, che distruggerebbe qualsiasi previsione possibile sul futuro, anche di sostenibilita'.

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    6. << se smettesse di andare in macchina, cosa che potrebbe fare da domani con grande guadagno nell'umore, nel portafogli e nella salute, produrrebbe il disastro economico >>

      Sì, certo, può darsi, ma non ne sarei così sicuro.
      Il crollo delle auto private sarebbe compensato in parte dal trasporto pubblico ed in parte da altre cose complementari, per cui parlare di crollo dell'economia sarebbe forse eccessivo.

      Certo però che mi piacerebbe da matti vedere una cosa simile e non ci vorrebbe neppure la bacchetta magica: basterebbe picchiare duro (ma veramente duro) sul costo della benzina.

      Perchè senza l'auto privata (o con un uso limitatissimo) si vive bene lo stesso: io - anche se non ho la bicicletta - uso quasi esclusivamente i mezzi pubblici e spendo più di elettrauto (per la batteria che si scarica) che di GPL.

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    7. Se ho ben capito Diaz è un "vero" verde visto che sembra seguire un regime di vita spartano (che non significa da penitente triste). Tuttavia detesta i verdi, cosa che non capisco (credo li detesti in quanto falsi e ipocriti).

      A parte questo mi pare pure non disfattista ma fatalista: comunque la mettiamo, qualsiasi cosa facciamo, è tutto inutile, le cose si aggiusteranno da sole (o non si aggiusteranno secondo le nostre intenzioni). Per es. la faccenda dell'auto: se crolla questo mercato, ma anche altri consumi, buona notte, è la catastrofe. Sicuramente ci sarebbe crisi e riorientamento dell'economia, ma secondo me non proprio catastrofe.
      Ricordo che nel 2000 (appena sedici anni fa) circolavano nel mondo 550 mln di veicoli, che erano già tanti, una mostruosità. Adesso, appena sedici anni dopo, saremo intorno al miliardo e si parla di 2 miliardi entro il 2025.
      "Eh no, se va avanti così chissà come finirà." (Celentano, Il ragazzo della Via Gluck - roba degli anni Sessanta!).

      "Torna e non trova ... solo case su case, catrame e cemento ..."

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    8. "Sicuramente ci sarebbe crisi e riorientamento dell'economia, ma secondo me non proprio catastrofe."

      Avrebbero un drastico ridimensionamento il turismo, l'edilizia stradale, di consumi (portare a casa la "roba" senza l'automobile e' fatica, ci si pensa due volte prima di acquistare qualcosa di inutile, pesante e voluminoso), sparirebbero i centri commerciali, l'urbanistica verrebbe rivoluzionata in quanto ritorneremmo all'urbanesimo dall'urban sprawl per cui le citta' ricomincerebbero ad affollarsi oltremodo, diminuirebbe molto la possibilita' di raggiungere e quindi trovare un adeguato posto di lavoro.

      Precipiterebbero gli stratosferici introiti della tassazione relativa a tutto cio' che attorno all'automobile gira...
      sarebbe assolutamente una catastrofe epocale, e sarebbe sicuro il fallimento del nostro Stato (finalmente...)

      Comincerebbero ad essere pesantemente tassate e regolamentate le biciclette.

      Non illudiamoci e non illudiamo.

      L'italia e' di gran lunga il paese del mondo con piu' automobili pro capite, tolte rare eccezioni come il lussemburgo e il quatar.

      http://www.theatlantic.com/international/archive/2012/08/its-official-western-europeans-have-more-cars-per-person-than-americans/261108/

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  6. "basterebbe picchiare duro (ma veramente duro) sul costo della benzina"

    Suppongo che avremmo un'altra bella dose di stagflazione tipo anni '70: recessione piu' inflazione piu' disoccupazione... questa volta pero' partendo da una situazione economica MOLTO piu' critica e con molti meno gradi di liberta'.

    Nessun problema, se manca il pane diremo al popolo di mangiare brioche.

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    1. Sì, ma allora che s'addà fa ovvero che cosa non dobbiamo fare? Forse guardare la realtà in faccia, non farsi (più) illusioni e carpe diem? Non rubare, non dire falsa testimonianza, non desiderare la donna d'altri? Più misericordia, come invoca Franceschiello? Attendo proposte (che esaminerò con la dovuta umiltà).

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    2. Caro Sergio,
      io pratico da tempo il buon vecchio CARPE DIEM e mi trovo piuttosto bene.

      Il che, ovviamente, non mi impedisce di leggere (e pubblicare, e commentare) i pezzi che parlano della crisi economica ed ambientale che ci attende.
      Non per fare qualcosa (credo, come Diaz, che non ci sia molto da fare), ma per essere più informato e, quindi, meglio preparato.

      Volendo completare il concetto: CARPE DIEM, SED ESTOTE PARATO.

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    3. Errata corrige:

      Estote parati.

      Che si potrebbe anche tradurre, invece che con "tenetevi pronti, siate preparati" con "siate in parata". La spiegazione divertente di questa traduzione, "siate in parata", ovviamente fantasiosa, la trovi qui:

      http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2012/06/03/estote-parati-andate-alle-parate/

      Buon divertimento.

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    4. La solita fretta.
      Grazie per la correzione (col latino non si deve scherzare).

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    5. "Sì, ma allora che s'addà fa ovvero che cosa non dobbiamo fare?"

      Per rispondere a questo dobbiamo rivolgerci alla pletora di blog gestiti da espertissimi del loro ristrettissimo campo, totalmente ignoranti di tutto il resto, per questo bravissimi nel presentarci un universo che gira deterministicamente come un orologio attorno al sole della loro unica competenza.

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