venerdì 9 ottobre 2015

I dieci Vizi Capitali - 2

Si conclude qui il post di Antonio Turiel sui principali difetti dell’economia capitalista e neo-liberista. (seconda parte).  LUMEN 


<< 5 - Scelta dell'obbiettivo sbagliato nella vita

Qual è l'oggetto della nostra esistenza ? Dato che resteremo per un breve lasso di tempo su questo pianeta, è importante sapere prima possibile ciò che possiamo aspettarci e quale sia l'uso migliore che possiamo fare di questo tempo stimato che abbiamo. Questa è una della grandi domande dell'Umanità dalla notte dei tempi ed ogni civiltà e società ha tentato di darle una risposta diversa, senza che si possa dire in senso stretto, e nella maggior parte dei casi, che gli obbiettivi che si sono posti alcune società siano chiaramente superiori a quelli di altre.

La chiave è che le persone si sentano felici, realizzate nel proprio progetto di vita, per assurdo o ridicolo che questo ci possa apparire. Nella società attuale la gente è felice? E' piuttosto discutibile. L'individualismo alienante porta ad avere un'insoddisfazione di vita che l'individuo colpito non sa da dove venga. Pensiamo, inoltre, che per ottenere la massima produttività degli individui, è stato introdotto, anche attraverso elementi culturali, una strana misura della realizzazione personale: avere successo nel lavoro.

Avere successo nel lavoro significa lavorare di più, salire di grado nell'azienda, ricevere pacche sulle spalle dai capi, guadagnare più soldi e avere sempre meno ore libere. Insomma, trasformarsi sempre di più in automi (…) la cui unica funzione nella vita è produrre e consumare. E' questo che oggigiorno viene considerato come avere successo in modo socialmente accettabile. E' realmente ciò che vogliamo per noi stessi? E' davvero quello che vogliamo per i nostri figli? (…)

6 - L'obbiettivo delle nostre imprese

All'interno dello stesso ideale di produttività che cresce all'infinito e oltre, le nostre imprese si comportano, su una scala maggiore, come ci comportiamo noi: sono entità dirette a produrre sempre di più e a guadagnare più soldi. Ma siccome sono entità incorporee e senza mente, si comportano in un modo più automatico e più crudele. Si potrebbe dire che, se fossero esseri umani, le grandi imprese avrebbero tratti psicopatici: per conseguire i propri fini sono capaci di ingannare, corrompere, estorcere e persino torturare ed uccidere.

Questo comportamento moralmente riprovevole è del tutto logico, alla fine dei conti, visto che un'impresa non ha i condizionamenti morali dell'essere umano: un'impresa non è un essere morale, non ha la concezione del bene e del male, solo del profitto, che è il suo fine ultimo. E' questo ciò che vogliamo veramente? Un'impresa si deve astrarre dalla società nella quale è inscritta, essere insensibile agli effetti negativi che può causare e causa alla propria società? (…)

7 - La nostra relazione con la Natura

Non molto tempo fa per gli uomini era chiaro il fatto che dipendevano dalla Natura per vivere. Anche coloro che non lavoravano la terra con le proprie mani sapevano perfettamente non solo da dove provenivano gli alimenti, ma capivano molti aspetti del delicato equilibrio che permette che la terra, l'allevamento e la pesca siano produttivi. E senza dubbio lo capivano molto meglio di molte persone al giorno d'oggi, nonostante gli anni di scolarizzazione obbligatoria, perché nessuno arrivava agli estremi di alienazione dalla Natura che si possono raggiungere in alcune città moderne.

L'uomo moderno dell'urbe moderna non ha freddo, né caldo, né fame; non gli fa male la schiena per doversi chinare a raccogliere patate, né gli fanno male le braccia per manovrare una zappa; non teme per il prossimo raccolto e se vuole mangia uva in primavera ed arance in estate, (…) o altre delizie portate da luoghi lontani migliaia di chilometri. Non ha paura di prendersi la febbre né di morire di diarrea, quando si sente male prende la giusta pasticca e va dal medico perché gli risolva il problema che eventualmente gli si presenta, come quello che va dal meccanico a riparare la macchina.

E se i problemi ambientali cominciano ad accumularsi, fino all'estremo di minacciare il suo modo di vivere, l'uomo moderno dell'urbe moderna confida che la tecnologia lo salverà, che investendo abbastanza risorgerà, perché deve essere così, invenzioni adeguate che senza effetti secondari gli forniranno ciò che desidera e lo libereranno di ciò che lo infastidisce.

Tutti questi atteggiamenti sono quelli che due secoli di energia abbondante hanno forgiato nel nostro inconscio collettivo: alle spalle di una grandiosa quantità di energia ci crediamo dei giganti, ubriachi ed euforici per la straordinaria montagna di combustibili fossili su cui ci appoggiavamo. Ma man mano che il gigante dai piedi d'argilla che ci ha conquistato si scioglie, con la sua forza vinta dalla geologia e dalla termodinamica, all'improvviso ci scontriamo coi nostri limiti e non li vogliamo accettare, viziati come siamo.

Uno di questi limiti è che, alla fine, anche se non lo capiamo e non lo accettiamo, noi esseri umani siamo animali come qualsiasi altro. E come tutti gli animali dipendiamo da un habitat per la nostra sussistenza, solo che nel nostro caso si tratta di un habitat molto deteriorato, che mantiene un'alta funzionalità grazie all'enorme e continua iniezione di energia fossile che ora comincia a declinare. Come produrremo alimenti in modo massiccio senza trattori, mietitrici, pesticidi e fertilizzanti? Non solo: l'inquinamento dell'acqua, dell'aria, del suolo, del mare, ecc... ci disturba e deteriora la nostra salute.

E per ultimo il cambiamento climatico, una pericolosa spada di Damocle che è sempre più prossima a cadere. Le persone più consapevoli del problema sono scese in strada per rivendicare che dobbiamo prendere misure positive per “salvare il pianeta”, ma anche in queste persone si vede la nostra cecità riguardo a ciò che è la Natura: se ci estinguiamo come esseri umani, il pianeta continuerà ad esistere e continuerà anche ad esserci vita, che si adatterà alle nuove condizioni.

Tutte queste campagne benintenzionate si sbagliano su una questione fondamentale: non dobbiamo salvare il pianeta, che non è in pericolo. Ciò che è a rischio è il nostro habitat, il sostegno della nostra vita. E’ l'essere umano che non potrebbe sopravvivere se la temperatura media del pianeta sale di 6°C, il mare sale di 50 metri e i fenomeni estremi si acutizzano e si moltiplicano. (…)

8 - Il mito del progresso

Il programma del progresso è stati impiantato ed è stato spinto con decisione con la Rivoluzione Industriale. Oggigiorno, [domina] l'idea che l'unica cosa desiderabile sia il progresso e che di fatto il progresso dell'Umanità sia inevitabile, inteso come un accumulo senza fine di conoscenze e capacità tecniche che migliorano sempre la qualità di vita degli esseri umani.

Tuttavia, l'osservazione dettagliata delle realtà proietta alcune ombre su questa visione così ottimista. L'umanità cammina davvero verso un paradiso terrestre? Davvero ci sono sempre più esseri umani che vivono meglio o negli ultimi anni si è constatata una contraccolpo crescente nell'opulento occidente che fino a poco tempo fa sognava questa nuova “Icaria” ? Sono sempre convenienti i cambiamenti considerati “progressisti” oppure ci allontanano sempre di più dal vivere in un mondo migliore ?

Non tutti i cambiamenti implicano un miglioramento di per sé e l'idea di progresso si è prostituita a favore del progresso dell'accumulo del capitale, in una dinamica semplicemente autodistruttiva, ma il “meme” del progresso è culturalmente così forte che opporvisi è semplicemente un suicidio culturale. Neanche i partiti di sinistra osano dire che non sono a favore del progresso.

Questo condiziona moltissimo il tipo di soluzioni che si possono immaginare per i gravi problemi energetici che ci vengono addosso, così la gente più o meno intelligente e ben collocata nelle sfere decisionali crede ciecamente che ci troviamo agli albori di una rivoluzione rinnovabile, che seguirà dei percorsi piuttosto convenzionali: è solo questione di mettere più pannelli solari, più aerogeneratori, più smart grid, ecc.

Quando in realtà, se tale rivoluzione è possibile, non è un semplice accumulo aleatorio di sistemi ma qualcosa di molto più pianificato, che implicherebbe un grande sforzo e cooperazione, per poi cadere in un'economia stazionaria che implicherebbe, in un modo o nell'altro, il superamento del capitalismo. Il mito del progresso è così forte che nessuno osa contraddirlo e la fede cieca in esso può essere enormemente distruttiva. (…)

9 – Iper-mercificazione

Uno dei valori che si sono radicati nella società durante questi due secoli è che i soldi possono comprare tutto e che di fatto qualsiasi bene ha un prezzo. Inoltre, che se qualcuno vuole comprare qualcosa è giusto che qualcuno lo possa vendere.

I soldi sono la misura di tutto, non solo delle relazioni umane, ma che può quantificare tutto. Alla fine, tutto è in qualche modo “capitale” e quindi si parla di “capitale umano” per riferirsi ai lavoratori, di “capitale naturale” per descrivere le risorse e quello che gli economisti classici chiamavano “fattore terra”.

Mercificare tutto ha il vantaggio che non c'è problema che non si possa risolvere portandolo nel mercato, dove avrà un compratore e un venditore. Tutte queste idee sono profondamente fasulle, (…) ma sono [così] profondamente radicate, soprattutto fra la maggior parte degli economisti, che è impossibile metterle in discussione.

10 - Bisogno di valori

Una carenza della società moderna è di [non] avere uno schema di valori morali strutturato che possano accettare tutti. Tutti percepiscono che abbiamo bisogno di nuovi valori e più universali. Da dove devono emergere ? Si tratta di un anelito, come dice qualcuno, del germe di una spiritualità non cartesiana che deve superare l'eccesso di scientismo che ha caratterizzato il XX secolo ?

Non vado così lontano, ma credo che sia necessario approfondire la ricerca di questi valori comuni condivisi, che probabilmente non saranno esattamente gli stessi, a seconda della comunità a cui fanno riferimento, anche se probabilmente tutti condividono i punti chiave, come il rispetto per la vita umana, per i diritti degli altri e per la Natura. >>

ANTONIO TURIEL

10 commenti:

  1. Bello. Siccome non ho niente da osservare o criticare copio un capitoletto da "Il libro dell'inquietudine" di Fernando Pessoa che mi è venuto in mente leggendo della disumanità di ogni vero imprenditore.

    "Il principale, il signor Vasques, oggi ha concluso un affare rovinando un uomo malato e la sua famiglia. Mentre portava a termine l'operazione si è completamente dimenticato di quell'individuo, se non in quanto controparte commerciale. Concluso l'affare, gli è venuta la sensibilità. Solo dopo, naturalmente, perché se gli fosse venuta prima l'affare non si sarebbe mai concluso. "Mi dispiace per quel tipo - mi ha detto -, si troverà in miseria." Poi, accendendo il sigaro, ha aggiunto: "In ogni modo se avrà bisogno di qualcosa da me" (intendeva un'elemosina) "io non dimenticherò che gli devo un buon affare e qualche migliaio di escudos."

    Il signor Vasque non è un bandito: è un uomo di azione. Colui che ha perso la sfida in questo gioco può di fatto contarse sulla sua elemosina per il futuro, poiché il signor Vasques è un uomo generoso.
    Come il signor Vasques sono tutti gli uomini di azione: capitani d'industria e uomini di commercio, politici, militari, idealisti religiosi e sociali, grandi poeti e grandi artisti, belle donne, bambini viziati. Chi è insensibile, comanda. Vince colui che pensa solo a ciò che gli serve per vincere. Il resto, che è l'indistinta umanità amorfa, sensibile, immaginativa e fragile, non è altro che il panno di fondo sul quale risaltano i protagonisti della scena finché il dramma delle marionette non finisce: il piatto fondale a quadri dove stanno i pezzi degli scacchi finché non li ripone il Grande Giocatore che illudendosi di avere un avversario si balocca e gioca sempre con se stesso."

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  2. << Chi è insensibile, comanda. Vince colui che pensa solo a ciò che gli serve per vincere. Il resto, che è l'indistinta umanità amorfa, sensibile, immaginativa e fragile, non è altro che il panno di fondo >>

    Molto bello e molto bene detto.
    Ma forse la mancanza di empatia è una necessità, per chi vuole comandare.
    Perchè comandare vuol dire ragionare per grandi numeri; e se ti lasci commuovore dalle singole storie non fai più nulla.

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  3. Aggiungo ancora qualche riga del frammento 487 de "Il libro dell'inquietudine* che contiene riflessioni del contabile Bernardo Soares, alter ego di Fernando Pessoa, pure lui semplice contabile di una ditta.

    "Il mondo è di chi non sente. La condizione essenziale per essere un uomo pratico è la mancanza di sensibilità. La qualità principale nella pratica della vita è quella qualità che conduce all'azione, cioè la volontà. Or dunque, ci sono due cose che disturbano l'azione: la sensibilità e il pensiero analitico, in quale ultimo non è, in fin dei conti, che il pensiero dotato di sensibilità. Ogni azione è, per sua natura, la proiezione della personalità sul mondo esterno. E siccome il mondo esterno è in grande parte composto da esseri umani, finisce che la proiezione della personalità consiste essenzialmente nel mettersi di traverso sulla strada altrui, nell'ostacolare, nel ferire e nello schiacciare gli altri, a seconda del nostro modo di agire.
    Per agire, dunque, è necessario che non immaginiamo con facilità la personalità degli altri, i loro dolori e le loro allegrie. Chi ha della simpatia non agisce. L'uomo di azione considera il mondo esterno come se fosse composto esclusivamente di materia inerte; inerte in se stessa, come un sasso che calpesta o che allontana dalla strada, o inerte come un essere umano che, non avendo potuto offrirgli resistenza, tanto fa che sia uomo o sasso - perché come sasso è stato preso a calci o calpestato.
    ...
    Ogni uomo d'azione è essenzialmente animoso e ottimista. Un uomo di azione è ricooscibile dal fatto che non è mai di cattivo umore. Governa colui, che è allegro perché per essere triste bisogna sentire."

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  4. Bernardo Soares:

    "Oggi mi è capitato qualcosa di assurdo e lo stesso vero. È stata una rivelazione improvvisa, un lampo: mi sono reso conto che non sono nessuno. Nessuno, assolutamente nessuno."

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    1. Ma che significa capire che non si è nessuno? Capire che non contiamo nulla, che siamo assolutamente superflui, non valiamo niente? E quindi la nostra vita non si giustifica, possiamo anche spararci, o se qualcuno ci spara e ci elimina non è poi un gran male.
      Siamo - dice Soares - come quella mosca su cui si sta per abbattere la nostra riga per toglierci il suo fastidio.
      Assurdo - o vero?

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  5. << Ma che significa capire che non si è nessuno? >>

    Significa - direi - rendersi conto che l'umanità va avanti benissimo anche senza di noi, e comprenderlo ci aiuta ad essere un po' meno presuntuosi.
    Però non è proprio vero che la nostra vita non conti nulla: per i nostri cari conta tantissimo, può essere quasi tutto.
    Quindi non dobbiamo montarci la testa, ma neppure disperare: tutto sta ad utilizzare la giusta prospettiva.

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  6. A me 'sti articoli innervosiscono molto.
    Fate un esercizio mentale: chiedetevi non solo se lo avesse scritto, ma come giudicherebbe il suo stesso articolo l'autore se avesse fatto la fame, basta anche solo per qualche mese, in qualche paradiso di economia pianificata di quelle che probabilmente piacciono, teroicamente, a lui (ma non come appartenente alla ristrettissima elite dei pianificatori, come pianificato).
    Si fa presto a criticare scienza e capitalismo finche' se ne godono i benefici e grazie a loro si tiene il culo ben al caldo, e come se gli altri regimi socio-economici non avessero comunque tentato di estrarre quanto piu' possibile di risorse dal mondo: la differenza e' che ci riuscivano meno, ma il progresso cumulativo delle conoscenze infatti serve proprio a questo, lo fa anche la natura biologica nel suo insieme. Che poi dopo un po' tutto torni alla situazione di partenza a causa di quello che ben sapete, e' tutto un altro problema.

    En passant, sull'ultimo numero di le scienze c'e' un articolo che puo' interessarvi, io non l'ho ancora letto pero', non so dirvi con piu' precisione.

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    1. << Si fa presto a criticare scienza e capitalismo finche' se ne godono i benefici e grazie a loro si tiene il culo ben al caldo, >>

      Caro Diaz,
      tutto giusto, per carità.
      Però anche un po' di sana autocritica non guasta, ti pare ?
      Anche senza segare il ramo su cui si è seduti, si può sempre provare a migliorare quello che c'è.

      Attendo ulteriori lumi sull'articolo che hai citato.

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    2. Non credo proprio che quella che fa l'autore sia autocritica, non scherziamo...
      Oggi ho preso la rivista (non avrei potuto, ma mi faceva pena l'edicolante), vi sapro' dire.

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    3. Non conosco abbastanza Antonio Turiel da poterti dare una risposta.
      Ma di "picchisti-decrescisti" che sanno fare delle autocritiche serie e consapevoli ce ne sono eccome (uno per tutti Luca Pardi).

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