venerdì 13 giugno 2014

Il mito di Europa

Nel 2004 Jeremy Rifkin (economista e saggista americano) pubblicò un libro dal titolo molto ottimistico ed intrigante: “Il Sogno Europeo”.
Oggi, a distanza di 10 anni, che ne è di quel sogno ? Procede ancora a gonfie vele, o incomincia a mostrare qualche crepa ?
Ce ne parla il politologo Aldo Giannuli, che, dopo aver analizzato con attenzione i risultati delle ultime elezioni europee di fine maggio, prova a fare il punto della situazione (dal sito “aldogiannuli.it”).
LUMEN


.<< Volendo riassumere il senso di queste elezioni europee in poche sinteticissime battute, le riassumeremmo così:

a) - la linea dell’austerità è battuta senza possibilità di equivoco.

b) - la Germania è sola

c) - il resto dei sistemi politici dell’ex Europa occidentale subisce la più grave crisi di legittimazione dal 1945 in poi. Il che, a sua volta, si traduce in una frase ancora più semplice: qui non è europeo nessuno e l’Europa non esiste. O, se preferite: l’Europa è solo una espressione geografica (con licenza di riproduzione del principe di Metternich). (…)

Sulla carta, lo sappiamo, il blocco “europeista” (popolari, socialisti, liberali, verdi, conservatori) dispone ancora della maggioranza non solo a Strasburgo, ma anche nei rispettivi paesi. I partiti che genericamente definiamo “antisistema” (populismi euro-scettici vari e sinistre antagoniste o quasi, oltre che separatisti di vario genere) non sono in maggioranza da nessuna parte, ma raccolgono percentuali da capogiro in alcuni paesi chiave:

Inghilterra (Ukip e separatisti vari) = 31,1%
Francia (Fn, Fg, varie minori) = 31,3%
Italia (M5s, Lega, Fdi, lista Tsipras) = 34,9%
Con una mediana del 32% circa.

Assumiamo come minimo comune denominatore di questi blocchi elettorali l’opposizione alle politiche di austerità, che si traduce in una richiesta di riforma più o meno radicale della UE o in un suo scioglimento.
Ovviamente, si tratta di una sommatoria assolutamente non omogenea, e caratterizzata solo in negativo, ma si tenga presente che, sin qui, il voto di protesta, nelle fasi di “acqua alta”, si aggirava fra il 10 ed il 15% e non ha mai raggiunto il 20% in nessun paese dell’Europa occidentale (salvo il voto a Le Pen padre nelle presidenziali del 1999).

Ora siamo oltre il 30% nei tre paesi maggiori della UE, dopo la Germania. Inoltre, si tratta di un voto largamente polarizzato intorno alle tre principali formazioni (Ukip, Fn, M5s) che costituiscono veri e propri partiti di massa, quantomeno dal punto di vista elettorale e, a tutto questo, si aggiunge ad un picco inedito dell’astensionismo.

Questi partiti, pur se con accentuazioni diverse e differenti indirizzi di marcia, si configurano come diretti antagonisti (più o meno radicali) del sistema politico europeo, che è una delle colonne portanti dei rispettivi sistemi politici nazionali.
Neppure l’ondata del 1968 mise in crisi la legittimazione dei sistemi politici europei come, sta accadendo in questo momento, anche a causa della perdurante crisi.

E’ del tutto evidente che i partiti “europeisti” di governo non possono non tenere conto di una tendenza che minaccia molto seriamente di travolgerli e non è affatto detto che una alleanza di ampie convergenze, di tipo italiano, riesca a salvarli.
In Germania, il totale dei voti antisistema euro-critici (Linke, Afd, Npd e vari) raggiunge il 17,5%, cioè ben 14 punti sotto la mediana che abbiamo calcolato per Italia, Francia ed Inghilterra.

Avevamo predetto che se il differenziale dei risultati “antisistema”, fra Germania ed altri paesi UE, avesse superato il 10% il sistema sarebbe entrato in fibrillazione. La media del differenziale su tutti i paesi europei si aggira appunto intorno al 10% per di più esso si concentra nei tre paesi maggiori dell’Unione, dove i ceti di governo devono tener conto dell’urto subito.

In Italia il governo può giovarsi del successo del Pd che “assorbe” la presenza del M5s che, simmetricamente, vede la sua azione indebolita dal risultato elettorale. Però, l’Italia non può che schierarsi contro la politica di austerità perché sta soffocando (…).
L’Inghilterra è meno toccata dalla questione, non facendo parte dell’Eurozona, ma il governo conservatore ha l’urgenza di prendere il largo dalla Ue e, soprattutto, dalla Germania, se vuole avere qualche speranza (…).

Ma il risultato più critico è sicuramente quello francese, dove la vittoria della Le Pen si somma alla dèbacle socialista. Hollande è un “dead man walking”: può sperare in una ripresa, nelle elezioni politiche, ma può farlo solo prendendo di corsa le distanze dalla Merkel e dalla sua politica rigorista.
Né stanno molto meglio i governi di alcuni alleati storici della Germania, come l’Olanda dove, se pure il Pvv di Geert Wilders non è andato bene, resta il problema di una economia stagnante.

In Finlandia e Norvegia ci sono formazioni politiche nazionaliste che vedrebbero di buon occhio una uscita dall’Euro “dall’alto”, cioè per separazione dei paesi “ricchi”. In ogni caso, la Merkel ha perso il suo principale alleato – la Francia - ed anche l’appoggio di qualche alleato minore non risolverebbe il problema. Come la si rigiri, la Germania è sola. E deve fare i conti con una formazione piccola, ma influente, come Afd che tira per una uscita “dall’alto”.

Dunque, la linea dell’”austerità espansiva” (uno dei più divertenti ossimori che abbia mai sentito) è virtualmente liquidata, a meno di azioni di forza della Germania, che, però, potrebbero andare incontro a reazioni imprevedibili da parte di altri. Vedremo cosa farà domani la Bce, sollecitata dagli americani a fare una sostanziosa iniezione di liquidità ed a tenere bassi i tassi, il che, però, non può che indebolire l’Euro, prospettiva vista con orrore dai tedeschi che vedremo come reagiranno ad un corso troppo “lassista” dal loro punto di vista. Un minimo di ragionevolezza economica farebbe pensare che, in presenza di un dollaro “basso” sui mercati, occorre abbassare anche la soglia dell’Euro, per far salva la bilancia commerciale.

Ma l’opposizione dei tedeschi non è determinata da chissà quale teutonica irragionevolezza. Ci sono motivi contingenti e più di lungo periodo che li spingono su questa strada.

In primo luogo, la Germania è creditore netto in Euro ed, ovviamente, considera con sfavore la svalutazione del suo credito, soprattutto perché lo stato di salute delle sue banche è tutt’altro che florido e una svalutazione dei titoli in Euro, che hanno in pancia, potrebbe seriamente compromettere il loro asset.

Poi, la Germania, è paese importatore di materie prime, che acquista con una moneta “forte”, mentre, come paese manifatturiero, sarebbe interessata a tenere bassa la moneta, ma preferisce affidarsi al vantaggio competitivo tecnologico delle sue merci, per cui può fare a meno della manovra monetaria. Infine, i tedeschi hanno una paura patologica dell’inflazione, che gli viene dalla loro storia. E questi sono i motivi più o meno contingenti.

Poi c’è un motivo strategico di fondo: la moneta “forte” per la Germania è molto più che uno strumento di politica economica. E’ il mezzo politico, attraverso il quale essa ripropone il sua assalto al potere europeo. Nel 1871-78, nel 1914 e poi nel 1939, la Germania ha tentato il suo assalto all’Europa attraverso le armi. Duramente sconfitta nel 1918 ed ancor peggio nel 1945, la Germania divisa ha dovuto adattarsi ad un ruolo di “nano politico” per mezzo secolo, durante il quale il discorso militare non poteva neppure essere evocato, ma gli schemi geopolitici di Karl Hausofer è rimasto dormiente, ma non eliminato, nella cultura politica tedesca.

La riunificazione del 1989 ha ridestato quella concezione e la prima aperta manifestazione di ciò fu il documento elaborato, nel 1994, da Wolfang Schauble per conto della Cdu-Csu, che teorizzava apertamente il ruolo centrale della Germania – in asse con la Francia - nella costruzione europea, che vedeva tutti gli altri paesi come semplici satelliti. Una sorta di “Nuovo Ordine Europeo” (…) fondato non più sulla supremazia militare ma su quella finanziaria: l’unità europea diventava così la carta argentata nella quale Berlino avvolgeva il suo disegno egemonico.

Poi, la crisi e l’evolvere della politica internazionale hanno messo a dura prova l’asse franco tedesco finendo per dissolverlo. E la Germania è rimasta, puramente e semplicemente, la Germania di sempre.

E qui veniamo al punto che dicevamo all’inizio: qui nessuno è europeo e, pertanto, l’Europa non esiste. Una nazione non è solo un apparato statale componibile e scomponibile a piacimento e non è neppure solo una cultura ed una lingua, è, prima di ogni altra cosa, un campo magnetico di interessi sociali organizzati. E non si tratta solo delle classi dominanti, che, ovviamente, sono le più interessate alla conservazione dell’ordine esistente.

Si tratta anche delle classi medie e subalterne che vengono consociate attraverso mille strumenti (dalla struttura del salario alla particolare politica fiscale, dalla distribuzione territoriale delle risorse all’organizzazione della pubblica amministrazione, ai meccanismi di mobilità sociale ed al tipo di stato sociale).

In questo quadro ogni gruppo sociale occupa uno spazio e trova una sua convenienza. Su questa composizione di interessi riposa la stabilità della singola formazione economico-sociale di ogni paese. (…)

Fare l’Europa avrebbe dovuto significare, in primo luogo, sostituire gli equilibri sociali nazionali con nuovi equilibri continentali, dunque, realizzare convergenze dei diversi meccanismi di distribuzione delle risorse, dar luogo a contratti di lavoro europei, avvicinare i modelli amministrativi, unificare gradualmente la politica fiscale, ridurre i differenziali di trattamento pensionistico o sanitario, garantire le stesse condizioni di mobilità sociale per tutti, superando le barriere nazionali, omogeneizzare realmente i sistemi scolastici ed universitari.

Ma questo avrebbe richiesto (oltre che superare lo scoglio linguistico) anche una centralizzazione delle risorse da redistribuire, senza della quale non si sarebbe potuta realizzare quella unificazione di standard di stato sociale, realizzare contratti europei ecc. E, sulla base di queste premesse, si sarebbe potuto parlare di unificazione politica che, ovviamente, avrebbe sottratto quote di potere ai ceti politici nazionali, che, invece, hanno avuto buon gioco ad opporsi a questa espropriazione, proprio sfruttando la diversa polarizzazione degli interessi sociali di ciascun paese.

La risultante è stato questo coacervo istituzionale incoerente che è la UE: un sostanziale compromesso fra le burocrazie politiche nazionali (che mantengono il predominio nel Consiglio e nel Parlamento) e la tecnocrazia europea (che ha le sue roccaforti nella BCE ed, in parte, nella Commissione, dove però, i vertici sono nominati per accordo fra i ceti politici nazionali).

E nessuno è diventato europeo, perché tutti siamo restati francesi, tedeschi, polacchi, italiani, spagnoli, boemi…
E dunque, l’Europa è restata solo una espressione geografica. L’unificazione politica europea in queste condizioni ? Retorica, pura retorica che queste elezioni hanno dissolto. >>

ALDO GIANNULI

4 commenti:

  1. Dunque secondo Giannuli l'Europa non esiste, parlare di unificazione politica europea è pura retorica, siamo rimasti francesi, tedeschi, italiani, polacchi ecc.

    Ma si poteva fare diversamente e meglio, dice Giannuli:

    "Fare l’Europa avrebbe dovuto significare, in primo luogo, sostituire gli equilibri sociali nazionali con nuovi equilibri continentali, dunque, realizzare convergenze dei diversi meccanismi di distribuzione delle risorse, dar luogo a contratti di lavoro europei, avvicinare i modelli amministrativi, unificare gradualmente la politica fiscale, ridurre i differenziali di trattamento pensionistico o sanitario, garantire le stesse condizioni di mobilità sociale per tutti, superando le barriere nazionali, omogeneizzare realmente i sistemi scolastici ed universitari."

    Dunque si è proceduto male, ma teoricamente questa Europa era possibile e auspicabile. Ma è proprio così? Secondo me questa necessità non c'era, il mercato comune europeo poteva bastare rispettando la sovranità dei vari stati. Si dice che così frammentata l'Europa non può tener fronte ai nuovi colossi emergenti (Cina, India, Brasile ecc.), che dunque l'integrazione politica e militare, oltre che economica, è necessaria. I problemi (energetici, ambientali, economici, militari) non possono essere più risolti dai singoli stati europei. Dunque l'UE può uscire dall'attuale crisi solo con una maggiore integrazione (Napolitano et al.).

    Ma ci risiamo: l'integrazione effettiva significa la cancellazione degli stati europei: è davvero auspicabile e desiderabile, i popoli sono mai stati interpellati direttamente? Quando è stato fatto (in Francia, Olanda, Irlanda) una maggioranza si è opposta al progetto di omologazione - escogitato dalle élite. Barbara Spinelli, figlia dell'europeista Altiero Spinelli, sostiene che la sovranità (dei singoli stati europei) è una barzelletta, non esiste più di fatto, quindi bisogna finalmente fare il passo decisivo e diventare una unione effettiva, cioè economica, politica, militare, culturale (?). A quale scopo? Ovviamente per ... crescere, perché - come sappiamo - senza crescita e "nuovi programmi industriali" (quali?) dalla crisi non si esce, la disoccupazione non può essere riassorbita. Sarà, forse, chissà. Per me l'integrazione non è una necessità, anzi sono contrario. Secondo gli eurofili chi si è oppone è un euroscettico, appartenente cioè alla destra populista, xenofoba e razzista, quindi per forza fascista, reazionaria, estremista.

    Avete già sentito parlare del "mandato di arresto europeo"? Be', informatevi, vengono i brividi. Il fatto è che quasi nessuno conosce il progetto di costruzione europeo ovvero Trattato di Maastricht, ribattezzato - dopo la bocciatura francese e olandese - Trattato di Lisbona, ma quasi identico con superficiali varianti. Non lo conosce quasi nessuno perché è mostruosamente lungo, illeggibile e incomprensibile (c'è chi dice che l'hanno fatto apposta perché nessuno ci capisca niente). Nemmeno i parlamentari che l'hanno votato lo conoscono - uno disse che non era così scemo da leggere un simile polpettone. Ma i parlamentari si orientano secondo i propri interessi e gli interessi "superiori", la cui conoscenza da parte della popolazione è nulla. L'UE si ha da fare, perché questo vuole - chi esattamente?

    L'UE la vogliono, fortissimamente vogliono, i paesi poveri dell'est e sud europeo, ultima arrivata l'Ucraina. Perché si aspettano un fiume di denaro, unica possibilità per crescere e in fretta (la Timoscenko già sogna un'Ucraina prospera e ricca alla faccia della Russia).

    Liberta vo' cercando, e un po' d'ordine e moderazione nelle pretese.

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  2. Caro Sergio, non vorrei fare il disfattista, ma ho l'impressione che l'EU attuale sia riuscita a combinare il peggio degli stati nazionali con il peggio delle entità sovra-nazionali.
    L'unica cosa sicuramente positiva (finchè dura) è la pace che regna in Europa da alcuni decenni, cosa importantissima e che non dobbiamo sottovalutare.
    Ma dal punto di vista sociale, culturale e, soprattutto, economico, mi pare che siamo messi male, ma proprio male.

    Ed i paesi più poveri che credono di trovare il benessere entrando nella UE, ebbene, credo che avranno delle gran brutte sorprese.
    L'UE ormai è una macchina burocratica che mangia molti più soldi di quanti restituisca sotto forma di aiuti (i quali, oltretutto, restano spesso inutilizzati, in quanto legati a regolamenti astrusi o inattuabili).

    Se poi aggiungiamo che il futuro è delle energie rinnovabili, le quali presuppongono una struttura gestionale molto più localistica che non centralizzata (al contrario dei combustibili fossili), beh, credo che sul futuro dell'UE non ci sia da farsi molte illusioni.
    Come al solito, staremo a vedere.

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    1. "L'unica cosa sicuramente positiva (finchè dura) è la pace che regna in Europa da alcuni decenni, cosa importantissima e che non dobbiamo sottovalutare."

      È una cosa che non capisco e che solo da poco ho appreso: l'UE come progetto di pace. E perciò abbiamo o avremmo avuto settant'anni di tranquillità. Intanto le potenze dell'Asse, Germania e Italia, erano occupate, la Germania dalle quattro potenze vincitrici, l'Italia dagli Stati Uniti - dunque non potevano muoversi. Poi l'Europa occidentale si è vista contrapposta all'Unione Sovietica e al Patto di Varsavia ed era abbastanza coesa e unita nella Nato a guida statunitense.
      Ma a parte la presenza condizionante americana penso che gli stati europei fossero definitivamente stanchi di guerreggiare fra di loro dopo le due ubriacature mondiali, fossero ormai vaccinate. Ho letto una volta che dopo la seconda guerra la Francia aveva proposto all'Inghilterra di far parte del regno unito. Addirittura, tanto si era stufi di guerre assurde. Poi però non se ne è fatto niente.

      La pace di cui abbiamo goduto e di cui godiamo non è dunque, secondo me, merito del progetto della fantomatica Unione Europea. Bastava il MEC e poi la Comunità economica europea per stare in pace (relativa, visto che poi anche il mercato è competizione e persino guerra ma non cruenta).
      Dunque questa UE non era e non è necessaria, imprescindibile per assicurare la pace, anzi sta creando parecchie tensioni che però non sfoceranno in nuove guerre, ormai inconcepibili (per es. tra Francia e Germania o Italia e Austria: una cosa da ridere). Sì, d'accordo, mai dire mai, ma nuovi conflitti armati in Europa occidentale sono fantascienza.
      Può e vuole poi l'UE sganciarsi dagli S.U. ? Non credo, soprattutto non lo vogliono e non lo permetteranno gli S. U.
      Insomma, stiamo in pace non per una precisa volontà ma per una serie di circostanze favorevoli alla pace.

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  3. << La pace di cui abbiamo goduto e di cui godiamo non è dunque, secondo me, merito del progetto della fantomatica Unione Europea. Bastava il MEC >

    Non escludo che tu abbia ragione, ma in fondo il "mercato comune" non era già, in nuce, una forma di unione europea ?
    E siccome funzionava bene, è sembrato logico ed opportuno procedere sulla strada dell'integrazione.

    Forse si è andati troppo oltre, e sicuramente con modalità opache e poco democratiche, ma il collegamento UE/PACE, anche se non direttamente causale (e con la tutela ingombrante degli USA), mi pare comunque sostenibile.

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