(“La solidarietà umana ed il gene egoista” - di CHRIS KNIGHT)
(seconda parte)
<< Quasi tutti gli scienziati evoluzionisti oggi sono d’accordo che la teoria della “selezione di gruppo” di Wynne-Edwards
era sbagliata.
L'idea che il sesso, la violenza o qualsiasi altra forma di comportamento animale si sia potuto evolvere "per il bene della
specie" attualmente è completamente screditata.
Gli animali non praticano il sesso "per perpetuare la specie"; lo fanno per una ragione più terra-terra: per perpetuare i
propri geni particolari.
Nessun
gene può essere concepito per minimizzare la propria auto-replica: in
un mondo competitivo, sarebbe eliminato velocemente
e sarebbe sostituito.
Supponiamo che un leone uccida i suoi cuccioli per aiutare a ridurre il livello di popolazione totale. Rispetto agli altri
leoni, questo individuo avrebbe un debole successo riproduttore.
Indipendentemente
da ciò che alla fine capiterebbe al gruppo intero, tutti gli individui
di qualsiasi popolazione futura sarebbero
esclusivamente i discendenti dei riproduttori più “egoisti” - questi
leoni programmati per massimizzare la trasmissione dei loro geni (a
spese dei geni rivali) alle generazioni future.
Una volta compreso ciò, gli scienziati furono in grado di mostrare che i leoni che uccidevano i cuccioli non uccidevano in
realtà quelli propri, ma quelli generati dai maschi rivali.
La
stessa cosa si applicava agli altri casi di sedicente "regolazione di
popolazione". In ogni caso, poteva essere mostrato
che gli animali responsabili agivano "egoisticamente" da un punto di
vista genetico, i loro geni servivano a trasmettere quante più copie
possibili di loro stessi alle generazioni future, senza preoccuparsi
troppo di alcuna conseguenza sul livello della popolazione
a lungo termine. (…).
I
pensatori “selezionisti di gruppo” con ostinazione avevano vestito di
“morale” l'infanticidio, la violenza o l'aggressione,
tenuto conto degli interessi superiori “della nazione” o “del gruppo”. I
militaristi e gli sterminatori erano stati riconsiderati come custodi
di interessi superiori, con le loro idee circa l’uccisione della
popolazione eccedentaria o l’eliminazione dei deboli
per un benessere superiore.
Il darwinismo del “gene egoista” mise bruscamente fine a tutto questo. I gruppi o specie animali non potevano ormai più essere
paragonati agli Stati-nazione, descritti come insiemi coesi e moralmente regolati.
Al
posto di ciò, ci si aspettava che gli animali cerchino di ottimizzare
il loro valore selettivo, agendo consapevolmente
o inconsapevolmente per propagare i loro geni. Ci si aspettava perciò
anche che le unità sociali non mostrino solo la cooperazione ma anche il
conflitto, opponendo in modo ricorrente le femmine e i maschi, i
giovani ed i vecchi, ed anche i bambini ed i loro
genitori. (…)
Una volta rovesciato il “selezionismo di gruppo”, gli scienziati furono costretti a riosservare la vita, affrontando, chiarendo
e spesso risolvendo una serie di enigmi scientifici in esame.
Come apparve la vita sulla Terra? Quando e perché il sesso si evolse? Come diventarono così cooperativi gli insetti sociali?
Perché, come tutti gli organismi viventi, cadiamo malati ed alla fine moriamo?
Da
allora, ogni teoria ha dovuto dimostrare la sua coerenza con
l’implacabile “egoismo” senza compiacenza dei geni. Il risultato
è stato una spettacolare serie di aperture intellettuali, che
rappresentano una vera rivoluzione, ancora in corso, nelle scienze della
vita.
Il libro di Richard Dawkins,
Il Gene egoista, ha
riassunto numerose di queste nuove scoperte quando è stato pubblicato
con acclamazioni generali – e con una veemenza equivalente di denunce
dalla “sinistra classe media” - nel 1976. (…)
Prima della rivoluzione del “gene egoista” nelle scienze della vita, i biologi si erano appellati alla “cooperazione” nel
mondo animale in quanto principio esplicativo senza avere spiegato mai da dove veniva questo principio. (…)
Quando si è constatato che gli animali si aiutano o anche rischiano la loro vita uno per l'altro – spesso ciò capita - un
tale altruismo piuttosto che essere solo ammesso doveva essere spiegato.
Soprattutto, ogni altruismo a livello del comportamento sociale doveva conciliarsi con l’“egoismo” replicativo dei geni di
questi animali. Da questo punto di vista, il nuovo darwinismo potrebbe quasi essere chiamato la “scienza della solidarietà”.
L’egoismo è facile da spiegare. La vera sfida è spiegare perché gli animali, spesso, non sono egoisti.
È
una sfida particolare nel caso degli uomini che - forse più che
qualsiasi altro animale - possono lanciarsi in atti di coraggio
e di sacrificio personale per il beneficio degli altri. (…)
Perché i geni che permettono o rendono possibile l'eroismo (…) non sono stati eliminati durante il tempo evolutivo?
L'uomo che muore in combattimento non avrà più bambini. Per contrasto, il vigliacco può lasciare numerosi discendenti. Su
questa base, non dovremmo aspettarci che ogni generazione sia meno eroica - più egoista - della precedente?
La
teoria utopica della “selezione di gruppo” aveva oscurato questo
problema proponendo una risposta fin troppo facile. L'eroismo
operava per il bene del gruppo.
Il
problema era che questo non riusciva a spiegare come un tale coraggio
poteva fare parte della natura umana, trasmesso di
generazione in generazione. È precisamente questa difficoltà che spinse
i nuovi darwinisti a trovare una risposta migliore. Quando la soluzione
fu trovata, diventò la pietra angolare della scienza evoluzionistica.
La soluzione all'enigma risiedeva nell'idea di “valore selettivo inclusivo”.
Il coraggio in combattimento si basa su degli istinti non radicalmente differenti da quelli che spingono una madre a rischiare
difendendo i suoi bambini. (…)
La
madre concepisce questi bambini come parte di “sé” potenzialmente
immortale. In termini genetici, ciò è realistico perché
i suoi bambini condividono i suoi geni. Possiamo capire facilmente
perché i geni “egoisti” di una madre possono spingerla a comportarsi in
modo disinteressato: questo avviene nell’ interesse proprio dei geni.
Una logica simile potrebbe spingere fratelli e sorelle a comportarsi in modo disinteressato gli uni verso gli altri.
Nel lontano passato evolutivo, gli uomini si evolvevano in gruppi di relativa piccola scala basata sulla parentela.
Ogni persona con cui lavoravi, o con cui ti eri legato strettamente, aveva una buona probabilità statistica di condividere
i tuoi geni. Di fatto, i geni avrebbero detto: “Replicaci assumendo dei rischi per difendere i tuoi fratelli e sorelle”.
Noi, umani, siamo concepiti per aiutarci gli uni gli altri - e anche morire gli uni per gli altri - a patto di avere avuto
prima una opportunità di formare dei legami.
Oggi, anche nelle condizioni in cui abbiamo molto meno probabilità di essere imparentati, questi istinti continuano a spingerci
con la stessa forza di una volta.
La
nozione di “solidarietà fraterna” non è totalmente dipendente da
fattori esterni e sociali, come l'educazione o la propaganda.
Non ha bisogno di essere inculcata nelle persone contro la loro natura
profonda.
La solidarietà fa parte di una vecchia tradizione - una strategia evolutiva - che, molto tempo fa, diventò centrale alla stessa
natura umana. È un'espressione senza prezzo dell’“egoismo” dei nostri geni. >>
CHRIS KNIGHT
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