Torno a parlare (male) dei buonisti e della carità interessata, con questo post al vetriolo di Uriel Fanelli, tratto dal suo blog personale (LINK).
Le considerazioni di Fanelli possono apparire un po' troppo ciniche o anche eccessive, ma la sua analisi psicologica dei 'buonisti' mi sembra abbastanza centrata.
LUMEN
<< La beneficenza (...) appartiene alla categoria delle manifestazioni di potere. In quanto tale, e’ un vero proprio atto di sopraffazione, che approfitta della debolezza (indigenza) di chi subisce questo atto: essendo povero sei costretto a subire la beneficenza per vivere. (…)
La beneficenza [infatti] e’ tutta una serie di cose:
= La beneficenza e’ uno status symbol. Chi fa beneficenza? I ricchi. Chi ha una fondazione per aiutare l’ Africa? Bill Gates. Chi riceve beneficenza? I poveri. La beneficenza ha tutte le qualita’ degli status symbol. Potete possedere un’auto costosa, frequentare determinati locali o fare beneficenza: socialmente, siete riconoscibili come ricchi in tutti i casi.
= La beneficenza e’ un atto di superiorita’. Normalmente chi fa beneficenza non chiede nulla in cambio. Le associazioni di beneficenza non chiedono a chi viene beneficato di , che so, aiutarli nelle loro attivita’. Tra dare cibo ad una persona e mandarla via e dare cibo ad una persona e , che so, farsi aiutare in cucina, la differenza starebbe nella dignita’: ma lo scopo della beneficenza e’ l’umiliazione pubblica, quindi non si tollera alcuna beneficenza che sfoci in un rapporto do-ut-des, che sarebbe paritario.
= La beneficenza e’ un insulto deliberato. Il fatto che ad una persona beneficiata non venga mai offerto alcun modo di sdebitarsi , ne’ gli sia consentito di farlo, classifica la beneficenza come un atto di deliberata offesa. (...)
= La beneficenza e’ una libera scelta solo da un lato. Quando si fanno presenti queste cose, immediatamente parte la storia che “si, ma se ti metti nei loro panni e’ una manna dal cielo, mentre tu ci rimetti il superfluo”. E non ci si rende conto che si sta semplicemente enunciando la propria superiorita’: posso farlo perche’ sono ricco, deve subirlo perche’ e’ povero.
= La beneficenza e’ economica. Tra gli status symbol, la beneficenza e’ quella accessibile gia’ al ceto medio, e persino alla working class. In quanto tale, si tratta del piu’ economico tra gli status symbol: sentirsi superiori agli altri per un vestito piu’ lussuoso puo’ costare centinaia di euro. Sentirsi superiori ad un tizio che chiede l’elemosina ne costa uno o due.
La beneficenza e’ l’unico rapporto di umiliazione pubblica ad essere socialmente tollerato, per la semplice ragione che, come tutti gli status symbol, e’ troppo piacevole e diffuso perche’ le masse accettino di rinunciarvi.
Se proponiamo di passare dalla beneficenza al welfare, per esempio, molti non ci stanno piu’. Se creassimo un ente statale con la finalita’ di raccogliere soldi per la beneficeza ai clochard, e poi si occupi di distribuire ad ogni clochard un assegno giornaliero, scopriremmo che nessuno la troverebbe piu’ affascinante. Le forme di contribuzione volontaria al welfare, che di per se’ hanno la stessa identica funzione di ridistribuzione della ricchezza, non sono amate quanto la beneficenza che avviene in pubblico, col rapporto personale. Perche’?
Perche’ non vedendo il beneficiato, ci viene tolta la libidine di sentirci superiori ad un essere umano in carne ed ossa. La sopraffazione, cioe’, deve essere personale. Se non vediamo la persona che abbiamo sopraffatto di fronte a noi, non sembra la stessa cosa. Si dice che e’ “impersonale”, ma se il punto fosse dare da mangiare, non farebbe alcuna differenza.
E qui andiamo a quelli che continuano a dire “L’ occidente deve aiutare” In realta’ si tratta di persone che stanno cercando di sancire la superiorita’ dell’ occidente. Il meccanismo e’ lo stesso di quello dell’elemosina: nel momento in cui diamo, stiamo dicendo sempre tre cose:
= Abbiamo del superfluo da dare.
= Loro sono cosi’ disperati da accettare.
= Noi siamo sempre migliori di loro.
Se la terza frase vi sfugge, proviamo a farci delle domande. Quando avviene una catastrofe naturale in qualche “Sarkazzistan”, o quando veniamo a sapere che esistono bambini poveri in qualche paese (…), allora noi andiamo dalle nostre associazioni caritatevoli a dare dei soldi. Perche’ noi siamo “i paesi industrializzati”. Questi paesi, che hanno emergenze, si rivolgono inoltre ai vari enti come Unicef, FAO, e compagnia bella, allo scopo di ricevere fondi per alleviare le sofferenze dei loro popoli.
Adesso faccio una domanda: durante l’ultima crisi finanziaria, ma anche durante l’ultimo terremoto in Italia, o durante l’ultima inondazione, o quando ISTAT ha detto che ci sono 7 milioni di famiglie povere in Italia, o quando salta fuori che di conseguenza ci sono N centinaia di migliaia di bambini poveri in italia, qualcuno in Italia ha mai proposto di chiedere l’ elemosina di paesi piu’ ricchi? (...)
Perche’ non chiedere agli enti di beneficenza come UNICEF di aiutare i bambini italiani poveri, o la FAO ad aiutare le femiglie italiane in difficolta’? Perche’ non accettare la beneficenza dei paesi ricchi di liquidita’, come la Cina? Tutti allora vi metterete a dire che “non siamo ancora a questo punto”, che “possiamo farcela da soli”, “non siamo ancora costretti a farlo”, “sarebbe troppo umiliante”. Ma guarda caso, e’ proprio quello che voi proponete di fare con gli altri.
Allora, sembra che sia del tutto logico se voi fate l’elemosina agli altri, ma quando si tratta di chiederla, si scopre che e’ umiliante, che piuttosto vi arrangiate, che non siete ancora costretti a chiederla… insomma, che e’ davvero una cosa brutta. Non e’, quindi, quella cosa benevolente, frutto di umana fratellanza (ovvero eguaglianza): e’ una semplice dimostrazione di superiorita’ di chi la offre, o una dichiarazione di sconfitta di chi la chiede.
Del resto, anziche’ dare soldi in aiuti a chi sta male si potrebbero stipulare trattati commerciali che aiutino quelle nazioni a riprendersi, MA in quel caso si uscirebbe dall’elemosina, e questo togliere all’occidente l’assunzione di superiorita’ che lo spinge a fare elemosina. Avere aiuti “in cambio di qualcosa” (…) non e’ accettabile come elemosina: non perche’ non sarebbe giusto sdebitarsi, ma perche’ consente a chi riceve l’elemosina di conservare la dignita’ del “do ut des”, ovvero di sfuggire all’umiliazione totale.
Se osservate bene chi siano i maggiori contribuenti delle entita’ caritatevoli dell’ ONU, della FAO, e di tutti gli altri enti simili, scoprite che sebbene l’occidente sia in declino e si venga superati da altre nazioni in via di sviluppo, la quantita’ di soldi dati in aiuti per i paesi poveri e’ cambiata di pochissimo. I soldi degli aiuti ai poveri africani arrivano, esattamente come prima, sempre dagli stessi paesi: il fatto che l’ Italia sia stata superata dal Brasile in termini economici non significa che il Brasile donera’ piu’ soldi dell’ Italia ai paesi dove si fa la fame. (...)
Dietro questo punto si nasconde lo spartiacque, la forza che spinge ogni paese occidentale a dire “dobbiamo aiutarli”: la convinzione di essere superiori. E a maggior ragione durante una crisi tremenda, quando la superiorita’ viene messa in dubbio, non sperate che questo bisogno si attenui: e’ proprio quando la superiorita’ viene messa in dubbio che c’e’ bisogno di conferme. >>
URIEL FANELLI
Carino, divertente, vero. A conferma della tua teoria, Lumen, del volere essere superiori ad ogni costo, ciò che è fonte di profonda soddisfazione e magari felicità.
RispondiEliminaQuando io dono la cosa giusta alla persona giusta e questa mi dice grazie, questa persona ha contratto un debito che intende onorare al momento giusto se il grazie è sincero. In questo caso chi dona non si sente superiore al beneficiato, il dono rinsalda il vincolo di affetto, amicizia o di partneriato in affari, è per così un investimento, è implicito il do ut des anche se il beneficiato non deve subito rimborsare (anzi il rimborso immediato è quasi offensivo, significa che non si vuole essere da meno di chi dona). Non per nulla però la mancanza di gratitudine fa male. Chi dona ha già una ricompensa, gli può anche bastare il sorriso del beneficiato. Però in effetti è sempre un do ut des, almeno un sorriso me lo devi.
Gli antropologi hanno raccontato di una curiosa usanza, legata al dono come prestigio, praticata da alcune società primitive e chiamata (con un nome impronunciabile) POTLATCH.
EliminaEcco cosa ne dice wiki:
<< Il potlatch è una cerimonia che si svolge tra alcune tribù di Nativi americani della costa nordoccidentale del Pacifico degli Stati Uniti e del Canada, come gli Haida, i Tlingit, i Tsimshian, i Salish, i Nuu-chah-nulth e i Kwakiutl (Kwakwaka'wakw).
Il potlatch assume la forma di una cerimonia rituale, che tradizionalmente comprende un banchetto a base di carne di foca o di salmone, in cui vengono ostentate pratiche distruttive di beni considerati "di prestigio". >>
Però donare a chi si vuol bene e con cui siamo dunque in relazione è un bel gesto "quasi" disinteressato, non per sentirsi superiori: è una dimostrazione di affetto, per questo non si smetterà mai di fare regali (mi raccomando: la cosa giusta alla persona giusta, di tanti regali spesso i beneficiati si sbarazzano immediatamente).
RispondiEliminaLa beneficenza però è una cosa un po' particolare: si fa la beneficenza perché ci si sente un po' in colpa, noi abbiamo tanto e il beneficiato ha meno, poco o anche niente. I paesi ricchi fanno beneficenza per il senso di colpa, ma sotto sotto è un investimento anche questo. Se li aiutiamo non ci invaderanno e poi staremo tutti un po' meglio, "cresceremo" tutti.
A proposito della beneficenza Nietzsche osservava: l'elemosina dà fastidio se si dona e se non si dona. Nel primo caso (dono) ci impoveriamo ovvero cediamo qualcosa di nostro e se non doniamo ci sentiamo in colpa. Bisognerebbe eliminare sia i pezzenti che i paesi poveri (il solito fesso dirà che voglio eliminarli fisicamente, ammazzarli, in realtà voglio dire che bisognerebbe eliminare la povertà, la miseria, e fare in modo che i paesi poveri possano organizzarsi per non essere più tali, magari appunto con aiuti appropriati).
Caro Sergio, come diceva anche Gesù nel Vangelo (ma per motivi diversi) "i poveri li avrete sempre con voi".
EliminaI biologi evoluzionisti spiegano infatti che le tutte le specie viventi (compreso quindi anche l'Homo sapiens) tendono sempre a riprodursi al massimo, sino al limite della sopravvivenza.
E la povertà, in fondo, è esattamente questo.
Non capisco il tuo intervento. D'accordo, ci saranno sempre differenze di reddito, ricchi o benestanti e meno abbienti, ma si tratta di eliminare la miseria nera, la povertà assoluta, cosa credo fattibile e anche nel nostro interesse, nell'interesse di tutti. Perché chi ha fame alla fine non capisce più niente ed è disposto a tutto, anche ad ammazzarti, e come dargli torto. Ciò che invece non è possibile e nemmeno auspicabile è l'egualitarismo assoluto del comunismo e anche del cristianesimo primitivo (la prima comunità cristiana metteva tutto in comune, finché la cosa scocciò ai coniugi Anania che si tennero parte del loro guadagno - e furono fulminati da Pietro, marito e moglie morirono d'infarto quando furono scoperti - ma Pietro rimproverava loro soprattutto di non essere stati sinceri, non di essersi tenuti parte del guadagno).
EliminaForse mi sono espresso male.
EliminaQuello che volevo dire è che gli interventi dei governi a favore della popolazione più povera, in genere, portano ad un aumento demografico proprio nelle fasce più disagiate.
In tal modo si innesca un meccanismo che rischia di non avere fine.
Forse si può evitare la 'fame nera', ma non la povertà, che è un concetto più ampio.
Be', il concetto di povertà è ambiguo: ci sarà sempre chi ha meno degli altri e si sentirà perciò svantaggiato o persino povero. Anche un miliardario può rodersi il fegato e considerarsi fregato e povero rispetto al concorrente che ha un miliardo in più. Però il minimo vitale può e deve essere garantito a tutti, a tutti gli otto miliardi di esseri umani viventi. Ovviamente bisogna mettersi d'accordo su cosa debba intendersi per minimo vitale, difficile ma non impossibile. Alcuni desiderano anche interventi di chirurgia plastica o il cambio di sesso come minimo vitale. Un democristiano tedesco prometteva "benessere per tutti", ma cosa intendesse esattamente non lo so, credo non l'abbia nemmeno detto. Fra parentesi, voi italiani usate la parolina magica "welfare", uelfer. Si usa solo in Inghilterra e in Italia, uelfer suona meglio che assistenza pubblica o stato sociale, insomma carità ...
EliminaUelfer per tutti, certo, per otto miliardi di esseri umani.
Ma chi lavora e produce? Be', ti dicono le macchine e i robot e poi l'IA. Bill Gates ha detto giorni fa che lavoreremo solo due giorni la settimana, ricordo il cattolico Ettore Gotti Tedeschi, il silurato dello IOR vaticano, che diceva: in fondo oggi possiamo (noi possiamo, lui e le elite) procurare tutto quello che la gente vuole gratis (dunque senza lavorare!?).
<< il concetto di povertà è ambiguo: ci sarà sempre chi ha meno degli altri e si sentirà perciò svantaggiato o persino povero. >>
EliminaCaro Sergio, hai sollevato un problema di grande importanza, perchè il termine 'povertà' appartiene a quella categoria di concetti un po' vaghi, che possono essere interpretati in modi diversi.
Ecco cosa ho trovato in rete sul sito dell'enciclopedia Treccani:
<< La POVERTA' in senso assoluto può essere definita come la carenza dei mezzi indispensabili alla mera sussistenza dell’individuo. Ma tale definizione non è sufficiente a rendere il concetto univoco. Infatti la stessa sussistenza è definita in maniera diversa dalle varie teorie economiche.
Inoltre la carenza dei mezzi è legata alle condizioni storiche di sviluppo della società (la P. di una società primitiva è diversa dalla P. di un’economia industrializzata) e varia in base al territorio in cui essa si manifesta. Queste connotazioni di relatività del concetto di P. possono essere ulteriormente ampliate in riferimento alla struttura sociale considerata.
Difatti, dati il luogo e un’epoca storica, la P. non esprime soltanto la condizione di coloro che possiedono una quantità di beni materiali insufficienti alla sopravvivenza, ma anche di coloro che ne possiedono in quantità minore rispetto ad altri individui. In tal senso il concetto di P. è relativo anche alla distribuzione dei beni che si realizza nell’ambito di una medesima struttura sociale. >>
Caro Lumen, grazie delle precisazioni fornite dalla Treccani, in effetti molto illuminanti. Essere povero a Haiti non è la stessa cosa di essere povero in Svizzera.
EliminaPensa che secondo la Caritas in Svizzera ci sarebbero addirittura 800'000 indigenti (cioè circa un decimo della popolazione). Superfluo dirti che questi 800'000 indigenti godono di un tenore di vita che gli haitiani, centinaia di milioni di indiani e cinesi si sognano (vitto, alloggio e assistenza sanitaria di prim'ordine assicurati più altre regalie).
Allora Gesù aveva proprio ragione: i poveri li avrete sempre con voi. Chi ha meno invidia chi ha di più e vive meglio, comunque con più agi, e si sentirà persino povero. Il parere di Gesù può sembrare cinico: la povertà non si può estirpare, è un fatto di natura, fatevene una ragione. Ma come dicevo sopra ciò che si può davvero eliminare è la miseria, la povertà assoluta, e lo Stato può provvedere. Nell'antica Roma bastavano pane e giochi per tenere a bada il popolino. Oggi lo Stato fa già decisamente di più, ma ovviamente non basta mai. Anzi più sei generoso e più pretese avanzano i meno abbienti. Visto che puoi permetterti di fare il generoso (e te ne vanti pure!) puoi sicuramente mollarci qualcosa di più. Ma non basterà mai.
Ho forti dubbi che la frase di Gesà fosse una presa d'atto sociologica, come quella a cui sono giunti gli economisti e gli antropologi odierni.
EliminaSono concetti troppo sofisticati per un semplice predicatore apocalittico di duemila anni fa.
In rete, infatti, ho trovato queste altre spiegazioni alternative, che mi sembrano più verosimili:
= È un invito a non ignorare i poveri, che sono segno concreto della presenza di Cristo
= È un invito a non accumulare tesori sulla terra, ma a liberarsi da ogni vincolo che impedisce di raggiungere la vera felicità
= È un invito a condividere e partecipare, accogliendo la sfida dell'inclusione
= È un invito a non considerare i poveri come una categoria separata, ma a riconoscerli come fratelli
= È un invito a non tradire l'insegnamento di Gesù, che li difende e li evangelizza per primi
Caro Lumen, queste spiegazioni alternative non mi convincono molto, anzi alcune le trovo ricercate (la sfida dell'inclusione? Ma dài!). Il rasoio di Occam consiglia di scegliere l'opzione più semplice che secondo me è anche evidente: Gesù ha semplicemente constatato nella sua vita la realtà della povertà, un dato di fatto, e ha giustamente osservato: i poveri non ve li toglierete mai dai piedi, io invece me ne torno a casa e non mi vedrete più. La mia formulazione è ovviamente irriverente per i credenti, ma la sostanza è questa (o no?).
EliminaCaro Sergio, non hai tutti i torti.
EliminaAggiungo due considerazioni, una psicologica e una teologica.
La prima è che all'epoca la povertà era la condizione normale di gran parte della popolazione, che aveva a malapena di che sfamarsi. Quindi l'idea che la povertà potesse essere sconfitta era del tutto inconcepibile.
La seconda è che Gesù, con questa frase, dimostra di essere consapevole della sua natura umana e non divina: se fosse stato Dio, infatti, avrebbe potuto abolire la povertà con un 'fiat'.
Se fosse stato Dio ... Già, in fondo poteva risolvere tutti i problemi del suo tempo e anche i futuri dell'umanità ... Una domanda - ovviamente irriverente e oscena per i credenti - è perché Gesù dopo la sua resurrezione non si sia rifatto vivo in pubblico e abbia regolato i conti con Pilato e il Sinedrio. Invece è apparso solo ai suoi amici che poi ce l'hanno raccontato ... e li mortacci a chi non ci crede! C'è chi dice che non sia davvero morto in croce e poi sia andato all'estero (nemo propheta in patria), in India, dove c'è la sua tomba.
EliminaComunque, quello della (presunta) resurrezione di Gesù resta un bel mistero storico.
EliminaSe molta gente ci ha creduto, vuol dire che qualcosa è successo. Ma cosa ?
Cosa si saranno inventati ? Non lo sapremo mai.
Ma insomma, quale mistero? Anche tu adesso ti metti a fare il ... Veneziani che sta cercando anche lui Dio e, accidenti, cerca ancora e non lo trova. Come tutti da St. Agostino in poi. Questa storia della ricerca di Dio è proprio buffa. I "ricercatori" stanno cercando un oggetto indefinibile che resta indefinibile e naturalmente introvabile. Ma basta per favore! La resurrezione di Gesù è una balla bella e buona, punto, inutile filosofarci sopra. Non puoi dirmi che il fatto (!!!) "resta un bel mistero storico" e "se molta gente ci ha creduto, vuol dire che qualcosa è successo". Non è serio, specie da parte di un ateo come te che riconosce come sua sola guida la scienza. E naturalmente hai fatto benissimo a sceglierti questa guida. Seguila e lascia stare i misteri ... buffi.
EliminaCaro Sergio, non ci siamo capiti.
EliminaE' ovvio che non è successo niente di soprannaturale, ma il mistero storico resta.
Perchè c'è stata gente (molta gente) che ha creduto nella resurrezione di Gesù, mentre questo non è successo per nessun altro dei suoi contemporanei?
E' stata inscenata una commedia ? Hanno utilizzato qualche trucco come quello dei prestigiatori ?
E' questo che io mi chiedo.
Se a quei tempi ci fosse stato il CICAP forse lo avrebbe scoperto; ma erano altri tempi.
Un'altra cosa che non capisco è che i credenti "cerchino" Dio quando questo Dio ce l'hanno già in casa, nel tabernacolo e nell'ostia consacrata. Dio si è rivelato, secondo loro, si è incarnato in Gesù, suo figlio unico e sostanziale al padre, dunque lui stesso Dio, la seconda persona della Trinità. Cosa c'è ancora da cercare? Il fatto è che il dubbio è connaturato alla fede, una fede senza dubbio non è fede. E St. Agostino qualche dubbio ce l'aveva (sulla resurrezione e tutto il resto) e perciò "cercava" anche lui Dio che pure si era già rivelato in Gesù. Cosa dice St. Agostino nel bel latino: "Inquietum est cor nostrum usquam requiescat in te". I credenti veri e intelligenti sono rosi almeno ogni tanto dal dubbio e perciò si mettono alla ricerca (di non si sa bene che cosa). Dio ce l'hanno in tasca, Gesù risorto, ma non gli basta ovviamente. E quanti santi hanno avuto il dubbio di fede, la notte della fede (due tra gli ultimi: Santa Teresa del Bambin Gesù e anche Madre Teresa). Ricordo Sossio Giametta: siamo immersi in un universo dalle dimensioni inammaginabili, la cosa migliore è di ricavarne tutto il meglio possibile, cavalcare l'onda attenendosi ovviamente ad alcuni principi, primo fra tutti il neminem laedere.
RispondiEliminaMa sei davvero ateo o vorresti anche tu credere in Dio come Veneziani e tanti altri atei (persino d'Alema invidiava i credenti ...). Ma che gente da quattro soldi! Ah, i soldi gli interessono eccome a questi signori, anche se fingono indifferenza o persino disprezzo verso il vile denaro.
Scusa lo sfogo, ma mi hai fatto incazzare.
<< Ma sei davvero ateo o vorresti anche tu credere in Dio >>
EliminaMa no, dai, cosa vai a pensare ?
Non sono neppure solo un agnostico: sono proprio un ateo materialista duro e puro.
Certe nostalgie preferisco lasciarle ad altri.
Vedo che ce la suoniamo e cantiamo da soli noi due. Non sarebbe il caso di trasferirsi in privato e di chiudere tutti questi blog che del resto io non frequento più. Alla fine mi aveva scocciato anche Pardo, vaccinista convinto, russofobo e filoisraeliano a cui andava bene anche quello che sta facendo il "popolo eletto" a Gaza, un autentico sterminio. Ma considerarsi il popolo eletto non è la più alta forma di razzismo? Naturalmente la maggioranza degli israeliani è agnostica o atea, come quel figlio di buona donna Harari, non credo che si considerino davvero il popolo eletto, ma quei fessi di ortodossi ci credono davvero, stanno aspettando ancora il messia. E cosa farà poi questo messia?
RispondiEliminaSono arciconvinto che il solito fesso mi darà ora dell'antisemita.
<< Ma considerarsi il popolo eletto non è la più alta forma di razzismo? >>
EliminaTutti i popoli sono razzisti. Non vedo perchè gli ebrei dovrebbero far eccezione.
No, questa non te la passo che tutti i popoli siano razzisti. Diffidenti sono, siamo tutti, e dalla diffidenza - naturalissima e anche salvavita - si può passare facilmente all'ostitilità e quindi poi anche al credersi superiori, portatori di chissà quali grandi valori. Ma veramente razzisti nel senso più vero della parola sono oggi pochi. Non vorrai mica dirmi che noi italiani siamo razzisti come pretende certa sinistra ebete e antitaliana e gli stessi invasori? A me non piacciono certe espressioni che calano dall'alto come "la diversità è ricchezza" e quindi dobbiamo accogliere tutti. Però è un fatto che i vari popoli e etnie abbiano culture diverse, il che non è un male, anzi dal confronto s'impara e crescono sinergie. Un mondo uniforme sarebbe orrendo e basterebbe un virus per uccidere tutti.
EliminaOggi sono polemico, mi dispiace.
Ogni popolo considera se stesso superiore agli altri ed è una conseguenza inevitabile della selezione naturale (il famoso gene replicatore).
EliminaSe non è razzismo, è qualcosa che gli somiglia molto.
Mi sentirei di condividere il pensiero di Lumen. Io credo che come esista oggi un fascismo "riconciliato" (che non è quello di pochi fanatici del ventennio) esista anche un razzismo "strisciante", come perché non dichiarato, che in Italia gode al solo sentire parlare di Albania. Ovviamente il rimpatrio è necessario se gli immigrati sono irregolari ma mi stupirei se qualche leghista difendesse la causa di qualche migrante onesto che viene sfruttato dal caporalato per fare un esempio.
EliminaMi piace la definizione di "razzismo strisciante" e credo che sia abbastanza centrata.
EliminaMi pare invece che in Italia non esista il razzismo violento che si vede altrove.
E questo è un elemento positivo.
Ma basta, ma quale razzismo strisciante, ma fatemi il piacere! Sono decenni che l'Italia è invasa da gente di tutto il mondo, soprattutto africani, ed è pure islamizzata, abbiamo la sinistra atea che festegga il ramadan con gli islamici e accusa altri italiani di razzismo! Ma basta!
EliminaErano forse razzisti gli italiani del nord che chiamavano terroni i meridionali che venivano a lavorare al nord? I terroni chiamavano polentoni i nordici, pari e patta.
Certo che non si volevano troppo bene, ma suvvia un minimo di psicologia porca miseria.
Questo è definitivamente il mio ultimo commento in questo blog, mi sono rotto, ma veramente rotto e definitivamente, caro Lumen.
Comunque mi ha fatto piacere chiacchierare per dieci anni qui dentro, più di dieci anni, un bel lasso di tempo.
Ma ora basta, chiudere tutti i blog, tutti. Non se ne può più di chiacchiere, di insulti e scemenze. Be' insulti da te non ne ho mai ricevuto, solo da quel cesso di Lorenzo Celsi, un cialtrone e un maleducato mai visto (eh lui ha fatto il politecnico, capirai).
Grazie e buona fortuna.
Caro Sergio, che posso dire ?
EliminaChe mi dispiace molto per la tua decisione e che, dopo tanti anni, mi mancheranno moltissimo i tuoi commenti.
Sappi però che, se cambi idea, io sono sempre qui.
Comprendo l'angoscia di Sergio, la sua stanchezza, forse dovute al fatto che i nostri capataz si comportano in maniera incomprensibile, senza regole, né buonsenso, né consuetudine, immondi felloni messi a condurre greggi sbandate, che sovente, per non dire sempre, non capiscono un pazzo (con la c) sia presi singolarmente che in gruppo eccetera eccetera.Buon per lui, per Sergio, vivere in Svizzera, paradiso artificioso di precisione da orologeria, ché se vivesse da noi........
RispondiEliminaPeriodo di falcidia fra i blog, fra chi scribacchia qualcosa. Sergio non mollare!
Grazie, Mauro,
EliminaSpero che Sergio ti ascolti.