venerdì 22 novembre 2019

Morte bella parea

Il dialogo virtuale di oggi ha come vittima il professor Paolo Flores d’Arcais, noto filosofo e direttore della rivista culturale “MicroMega”, ed ha come oggetto il tema, sempre importante e delicato, del “fine vita”, a cui il professore ha dedicato un breve ma intenso pamphlet dal titolo “Questione di vita e di morte”.
L'intervista è tratta – con minime variazioni - dal sito Bonculture e le domande sono di Felice Sblendorio (con cui mi scuso per il piccolo furto innocente).
LUMEN


LUMEN – Professore, buongiorno.
FLORES – Buongiorno a voi.

LUMEN - Come è giusto trattare il nostro fine vita? Può ognuno di noi decidere il proprio corso, oppure la nostra libertà di decisione deve essere condizionata da un estraneo, da una asettica maggioranza o da un altro potere con un preciso orientamento spirituale e ideologico?
FLORES – Sono domande molto importanti, direi fondamentali. E proprio a queste domande ho cercato di rispondere nel mio ultimo libro, "Questione di vita e di morte".

LUMEN - Il Cardinale Bassetti nello scorso settembre ha affermato che “Va negato un diritto a darsi la morte: vivere è un dovere, anche per chi è malato e sofferente”. Tutto il contrario di quello che voi affermate in questo libro: è così?
FLORES - A tutti coloro che sostengono la posizione del Cardinal Bassetti sottopongo una domanda molto secca: sul vostro fine vita preferireste decidere voi oppure delegare una scelta così personale a qualcun altro? Io ho posto questa domanda in occasione di dibattiti e mai nessuno dice: “Preferisco che decida lei, che decida un estraneo che non so chi sia, che ha valori completamente diversi dai miei”. Tutti pretendono che sul loro fine vita decidano loro stessi.

LUMEN – Mi pare giusto.
FLORES - Ora, per quale motivo, visto che tutti pretendono una propria autonomia di scelta, ci sono alcuni che oltre a decidere sul proprio pretendono di decidere pure sul mio, sul suo, sul fine vita degli altri? È una pretesa assurda che non sta né in cielo, né in terra. Il diritto all’eutanasia è un diritto della sfera privata di ognuno di noi, che non dovrebbe neanche essere posto ai voti di una maggioranza, perché anche una minoranza risicatissima, che nell’ideale simbolico è il singolo cittadino, avrebbe diritto a decidere quello che vuole. Questo diritto è uno di quelli che non possono essere messi in discussione.

LUMEN - Credo che le due prospettive siano inconciliabili: Bassetti parla di dovere, voi parlate di diritto alla vita. Se non siamo in grado di rifiutare questo dono, scegliendo autonomamente il suo corso, cosa diventa la vita?
FLORES – Appunto. Che senso ha dire che la vita è un dovere, visto che poi il Cardinale parla di dono? Posto che l’espressione “vita come dono” è sempre utilizzata in forma retorica, perché ovviamente si intende dono di Dio e questo limita il concetto ai soli credenti: un dono è tale se io lo posso rifiutare, se io non lo posso rifiutare non è un dono ma una condanna. Si parla di dono da condividere con gli altri: questo, però, non è un dono. Io un dono posso rifiutarlo, tenerlo tutto per me, regalarlo. Un dono è questo, altrimenti si parla di dono ma s’intende altro: il dovere secondo la morale di Santa Romana Chiesa. Cambia tutto.

LUMEN – Voi pertanto destrutturate questa linea di pensiero, della vita come bene indisponibile. Perché non possiamo legittimare questa prospettiva come principio di natura ?
FLORES - Perché l’esistenza dell’uomo è quanto di più innaturale ci sia: dal primo momento in cui l’essere umano ha cominciato a utilizzare delle erbe facendo infusi per curare delle ferite, la sua vita non è stata più una vita determinata dalla natura, ma dall’intervento dell’uomo sulla natura. Dire che la morte deve avvenire in modo naturale non significa assolutamente nulla, perché noi interveniamo sempre contro la natura, contro il suo andamento spontaneo fin dall’inizio della nascita: se non intervenissimo in molti parti morirebbe sia la mamma che il bambino.

LUMEN – Verissimo.
FLORES - Chi parla di lasciar fare alla natura dovrebbe riflettere sulla radice della parola antibiotico: anti-bios, contro la vita, quella dei batteri, agenti che ci fanno del male e che noi distruggiamo. Quella della natura è una tesi assurda. Ne parlavano già gli stoici, Montaigne, Hume e proprio uno di loro diceva: spostiamo il corso dei fiumi per irrigare e questo non è contro la volontà della natura? Tutta la vita umana è contro natura.

LUMEN - La Chiesa parla di una cultura della morte, teorizzata anche da Benedetto XVI, mentre voi parlate dell’opposizione a questo diritto, che è la condanna alla vita. La vostra, però, non è un’apologia al suicidio: quando secondo voi è moralmente giusto lasciarsi andare?
FLORES - Il mio libro è un’apologia della libertà e della bellezza della vita, solo che la bellezza della vita implica il fatto che chi la vive la senta come qualcosa di bello: nel momento in cui si dovesse sentire questa vita come una tortura, con che diritto condanniamo una persona alla tortura?

LUMEN – E la tortura, giustamente, è proibita.
FLORES – Appunto. Io non mi metterei mai a decidere quando sia giusto prendere una decisione del genere, perché è una scelta particolare, circostanziata. La legge oggi stabilisce che si possano rifiutare delle cure mediche anche se queste cure portano alla morte, e lo fa perché riconosce un diritto di libertà: nessuno può obbligare queste cure e nessuno può decidere quando è giusto o sbagliato lasciarsi andare.

LUMEN - Su questo tema la politica ha latitato e continua a latitare. I diritti civili non sono politicamente urgenti?
FLORES - Non saprei, ma spero che non sia così. Su questi temi, secondo me, la decisione dovrebbe essere unanime perché viviamo in una società democratica dove la vita di ognuno è uguale quanto quella dell’altro in ordine di libertà e dignità personale. Il fatto che una parte clericale del Paese pretenda di imporre la sua idea sul fine vita anche per gli altri è una prevaricazione inaccettabile che dura da più di ottant’anni, da quando il fascismo decise di inserire quei principi nei codici.

LUMEN - È una decisione che può prendere una maggioranza politica?
FLORES - Questo è un dilemma. Io credo che un tema del genere debba unire tutti. Quando si dice che in parlamento molti sono contrari al diritto all’eutanasia dovremmo riprendere sempre quel vecchio interrogativo: e se decidesse per te il tuo nemico, ad esempio ? Se si decide a maggioranza, oggi chi soffre bestialmente potrebbe non porre fine alla sua tortura, ma domani un’altra maggioranza potrebbe dire che in caso di quelle sofferenze è obbligatorio porre fine. La maggioranza ha questa particolarità: può oscillare in un senso oppure nell’altro. È ovvio che sarebbe mostruoso imporre il fine vita a chi vuole continuare la sofferenza, come sarebbe ugualmente mostruoso decidere per chi non vuole soffrire più. Ecco perché è importante concorrere per la libertà.

LUMEN - I cardinali e la chiesa, comunque, restano sempre sullo sfondo. Anche nel vostro libro c'è una dura la critica contro le gerarchie ecclesiastiche italiane. Però non crede che, lasciando un momento da parte le varie ingerenze, si riveli più colpevole di queste mancanze la struttura democratica? La Chiesa tutela un patrimonio di valori non negoziabili, quelli che sostengono e nutrono un percorso di fede.
FLORES - Nel mio libro analizzo tutte le obiezioni al diritto di eutanasia svolte dalle tre figure più importanti della bioetica: il Cardinale Sgreccia, il Cardinale Tettamanzi e Monsignor Paglia. Sarei ben felice di sentire le teorie contrarie in un confronto pubblico da parte degli esponenti della Chiesa. Trovo curioso che la Chiesa non abbia il coraggio di dire quello che è abbastanza ovvio: noi chiediamo ai cattolici di rifiutare l’eutanasia perché per noi la vita è un dono di Dio e solo lui può decidere sul nostro corso. Quindi si stabilisce con forza il motivo di fede. È strano che rinuncino all’argomento di fede, che dovrebbe essere l’elemento fondamentale per un cattolico.

LUMEN – E perchè lo fanno ?
FLORES - Forse ci rinunciano perché sanno che se utilizzassero l’argomento di fede, che è l’unico valido per l’eutanasia, dovrebbero poi accettare che in uno Stato laico e pluralista questo valga solo per loro, ma non possa essere esteso come obbligo a tutti tramite il braccio secolare della legge. È così che la Chiesa ha smesso di confrontarsi, perché se la fede è il solo argomento convincente utile a negare il diritto di ciascuno a porre fine alle proprie sofferenze, non si può di certo pretendere che un motivo religioso diventi argomento per fare una legge. Questa sarebbe una pretesa analoga a quella della sharia.

LUMEN – Una prospettiva da brividi. Grazie professore e auguri per il vostro libro.
FLORES – Grazie e voi.

8 commenti:

  1. Volevo comprare il libro di F. d'Arcais, per altro breve, ma poi vi ho rinunciato. In fondo condivido pienamente la posizione di F. d'Arcais e il libro aggiungerebbe solo particolari non proprio necessari o dirimenti. La questione per noi agnostici è chiara, chiarissima. Un dibattito con le alte autorità vaticane non servirebbe a nulla (fra parentesi, l'arcigno signor Niet - Elio Sgreccia - è morto alcune settimane fa). Sgreccia diceva sempre no a qualsiasi proprosta innovativa. Vorrei ricordare en passant che la Chiesa ha sempre condannato qualsiasi forma di fecondazione artificiale o assistita, come pure ovviamente l'autoerotismo. Adesso invece l'ultimo papa (ultimo in ogni senso) viene a dirci che l'omosessualità è un dono di Dio ... Che s'adda fa pe' campà, dicono dalle mie parti (Napoli). Qualche concessione la Chiesa deve pur farla, altrimenti tutte le pecore scapperebbero e lei non può fare niente perché il potere, quello vero, ritiene ormai la Chiesa e la sua morale non più utili al mantenimento del potere, anzi persino nefasti (la società dei consumi è incompatibile con la severa morale cattolica e il pauperismo). Ricordo che non molto tempo fa, anni Cinquanta e persino Sessanta, gli alberghi rifiutavano in Italia la matrimoniale a due persone non sposate ...
    Ma un'autorità è tale se viene riconosciuta dalla collettività e deve fondarsi su alcuni principi non negoziabili, per es. la morale pubblica. I tre comandamenti fondamentali del Decalogo - non uccidere, non rubare, non dire il falso - sono universalmente riconosciuti e alla base della morale pubblica. Invece i primi tre comandamenti ... non li sanno recitare nemmeno i preti. Ma ce n'è uno, il primo, su cui si fonda ancora un certo potere della Chiesa: Io sono il signore Dio tuo, non avrai altro Dio al di fuori di me. Chi sia questo Dio, dove stia di casa, che progetti abbia ecc. ecc. non lo sa ovviamente nessuno, nemmeno la Chiesa, che però si appella alla fede nell'esistenza di Dio, ormai l'ultima diga al dilagare dell'agnosticismo. Il potere, quello vero, a cui la Chiesa e la sua morale sessuale stavano sui santissimi, un po' blandisce ancora la Chiesa (può magari ancora servire), un po' vorrebbe liberarsene (la gente deve consumare, non pregare).
    La Chiesa "molla" sulla sessualità e sposta il discorso su altri temi (Bergoglio: fornicare è meno grave di non accogliere i migranti). Ma ovviamente non può rinunciare alla fede in Dio e al principio evangelico dell'amore del prossimo. Salvini non è cristiano, anche se brandisce il rosario, perché erige muri e chiude i porti.
    Quo usque tandem abutere, sancta romana ecclesia, patientia nostra ....

    RispondiElimina
    Risposte
    1. << il potere, quello vero, ritiene ormai la Chiesa e la sua morale non più utili al mantenimento del potere, anzi persino nefasti (la società dei consumi è incompatibile con la severa morale cattolica e il pauperismo). >>

      E' una osservazione molto acuta, la tua, e che aiuta a spiegare molte cose circa l'evidente declino della Chiesa cattolica.
      Il trono e l'altare si sono sempre sostenuti egregiamente a vicenda, ma se l'altare non serve più, se diventa un inciampo, il trono può benissimo fare da solo, quando siano disponibili altre tecniche di controllo sociale.
      Mentre l'inverso è molto più difficile, perchè la fede ha bisogno della forza e delle risorse (anche economiche) del mondo secolare.

      Elimina
  2. Ma torniamo all'argomento di oggi, la buona morte o l'aiuto al sofferente e/o morente. D'Arcais è imbattibile quando parla di religione o della buona morte (evitiamo per quanto possibile parola gravemente ipotecate, come eutanasia; anche suicidio assistito suona male, mentre il termine tedesco - Sterbehilfe (aiuto a morire) - non implica violenza come suicidio, è direi un'espressione neutra, anzi benevola: aiuto qualcuno a sottrarsi a sofferenze magari indicibili e inutili (mentre il buon pastore Pio XII vedeva nella sofferenza dei moribondi un ... aiuto divino a purificarsi, una specie di purgatorio in terra che avrebbe abbreviato il viaggio in paradiso ...).

    C'è però un ma al discorso di F. d'Arcais. Il singolo individuo ha bisogno della società, non può sopravvivere da solo. Ma la società ha a sua volta bisogno dell'apporto del singolo al bene comune. L'individuo è dunque parte di un gruppo e sottostà necessariamente ad alcuni principi o norme della società. Per il potere e la Chiesa era inammissibile che l'individuo decidesse di propria volontà a porre fine alla propria esistenza, persino in situazioni drammatiche. Ma su questo punto la morale pubblica è cambiata o sta cambiando: si riconosce all'individuo la facoltà di decidere il momento e i modi per porre fine alla propria vita (pronunciamento ufficiale del Tribunale Federale svizzero, la massima autorità del paese). La Chiesa ovviamente non può condividere questa posizione: se l'accettasse dovrebbe chiudere bottega. Perciò i suoi vani appelli all'autorità di Dio cui solo spetta il diritto di farci morire quando pare a lui. La vita è un dono indisponibile, Dio dona la vita e se la riprende quando fa comodo a lui ...
    (e così ci manda all'inferno, mentre se aspettava un momento di più potevamo salvarci con un atto di "contrizione perfetta").

    In fatto di buona morte (non diciamo eutanasia, se no tirano subito fuori il nazismo) la morale comune sta cambiando, non per niente si sta adeguando persino la Chiesa che accetta ormai i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio e persino la sodomia. Si appella ancora a Dio per darsi un tono, in fondo non le resta altro.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. << C'è però un ma al discorso di F. d'Arcais. Il singolo individuo ha bisogno della società, non può sopravvivere da solo. Ma la società ha a sua volta bisogno dell'apporto del singolo al bene comune. L'individuo è dunque parte di un gruppo e sottostà necessariamente ad alcuni principi o norme della società. >>

      Questo è vero,certo; la società ha sicuramente le sue giuste pretese nei contronti delle nostre decisioni.
      Ma se possiamo discutere sull'ampiezza dei diritti di fine vita, è necessario che il principio sia comunque rovesciato rispetto ad oggi: ovvero io posso decidere liberamente del mio fine vita, salvo i casi espressamente vietati dalla legge.

      Questo sarebbe sufficiente ad evitare le situazioni più estreme, in cui ci si sottrae egoisticamente agli impegni sociali.
      Inoltre, i casi di fine vita riguardano nella gran maggioranza dei casi persone gravemente malate che - in quanto tali - rappresentano per la collettività non un supporto, ma un costo notevole.

      E se è vero che la collettività - ovviamente - non può decidere per loro (sarebbe uan cosa da nazisti) è anche vero che loro devono essere liberi di decidere per sè, anche nell'interesse indiretto della collettività.
      Aggiungo infine che le persone che sceglierebbero il fine vita per motivi diversi dalla salute, sarebbero comunque pochissime e quindi l'impatto sociale sarebbe irrisorio.

      Elimina
  3. Ma chi è questo Flores d'Arcais? Wikipedia ci racconta un po' i suoi trascorsi ... allucinanti. Lo direi per lo meno ondivago: va dove lo porta il cuore. Adesso è innamorato delle sardine ...
    Ma giudicate voi.

    "Tra gli autori cui ha dichiarato di ispirarsi per i suoi saggi possiamo citare Albert Camus e Hannah Arendt. È stato, fino al 2009, ricercatore universitario di filosofia morale presso il dipartimento di Studi filosofici ed epistemologici della facoltà di Filosofia dell'Università di Roma "La Sapienza". Paolo Flores d'Arcais è "radicalmente ateo"[1].

    Inizia presto ad occuparsi di politica nell'organizzazione giovanile del Partito Comunista Italiano, ma presto viene espulso dalla FGCI per la sua prolungata e grave attività frazionistica, cioè per la sua doppia militanza nella FGCI e nella Quarta Internazionale trotskista. Allievo e amico di Lucio Colletti, dopo esser stato uno dei protagonisti del "Sessantotto" romano, approda a posizioni di riformismo radicale e verso la fine degli anni settanta ha una breve ma vivida intesa con Bettino Craxi e Claudio Martelli, dai quali, tuttavia, si distacca ben presto.

    Nel 1991 aderisce al Partito Democratico della Sinistra di Achille Occhetto entrando nella Direzione del movimento, da cui però fuoriesce due anni dopo poiché favorevole alla guerra del Golfo a differenza della linea maggioritaria del partito. Tra i promotori della breve stagione dei girotondi, tenta di proporre una lista di suoi candidati alle primarie dell'Ulivo per le elezioni politiche del 2006 ma come lui stesso deve ammettere "realizza un fallimento pieno e perfetto" raccogliendo appena 130 adesioni alla sua idea. Il 25 marzo 2008 annuncia su MicroMega che nelle elezioni politiche del 2008 avrebbe votato per il Partito Democratico in funzione anti-berlusconiana.[2] Il 29 gennaio 2009 decide di ritentare in politica prospettando il "Partito dei Senza Partito" insieme ad Antonio Di Pietro ed Andrea Camilleri per partecipare alle elezioni europee del 2009[3] ma, il 12 marzo dello stesso anno, viene annunciato il mancato accordo fra i tre. Per le elezioni politiche del 2013 ha dichiarato di votare la lista Rivoluzione Civile di Antonio Ingroia.[4] Successivamente non nasconde le sue simpatie per il Movimento 5 Stelle per il quale dichiara di votare[5]. Tuttavia in seguito all'alleanza tra il Movimento 5 Stelle e la Lega si dice deluso dal Movimento, accusando in particolare Luigi Di Maio di avere tradito le promesse agli elettori.[6] "

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Sergio, per gli intellettuali di sinistra il mondo non può essere accettato così com'è (orrore !), ma deve essere modellato secondo i loro nobili ideali.
      E siccome l'impresa resta impossibile, ecco che si passa da un movimento all'altro nell'inutile tentativo di combinare qualcosa.
      Alla fine, ovviamente, non si sarà costruito nulla (come dimostrano le infinite frammentazioni della sinistra), ma almeno ci si sentirà in pace con la propria coscienza.

      Elimina
  4. Sui diritti civili e sulle questioni bioetiche le posizioni di Flores d'A. risultano più che ragionevoli e ampiamente condivisibili: l'apologia cattolico-clericale della 'morte naturale' fa pendant con la tetragona opposizione cattolico-clericale alle moderne tecniche anticoncezionali e alla pianificazione familiare in gen.le: opposizione che ha dato e continua a dare un sostanzioso e pesante contributo all'attuale esplosione demografica terzomondiale e alle gravissime conseguenze ambientali e socio-economiche di quest'ultima... Saluti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. << Sui diritti civili e sulle questioni bioetiche le posizioni di Flores d'A. risultano più che ragionevoli e ampiamente condivisibili. >>

      Su questo sono pienamente d'accordo.
      Purtroppo, mentre sui temi della bioetica e (in parte) della demografia, gli intellettuali di sinistra hanno idee ottime ed applicabili, sul versante socio-economico finiscono facilmente fuori strada, con idee ottime, ma - ahimè - impraticabili.

      Elimina