mercoledì 24 agosto 2016

Perle Manzoniane

Quelle che seguono sono alcune “perle di saggezza” colte qua e là tra le pagine dei Promessi Sposi. Il buon Manzoni aveva i suoi difetti, ma sapeva scrivere e su questo non ci sono dubbi. Lumen


LA GIUSTIZIA

<< Ma chi, prima di commettere il delitto, aveva prese le sue misure per ricoverarsi a tempo in un convento, in un palazzo, dove i birri non avrebber mai osato metter piede; chi, senz’altre precauzioni, portava una livrea che impegnasse a difenderlo la vanità e l’interesse d’una famiglia potente, di tutto un ceto, [costui] era libero nelle sue operazioni, e poteva ridersi di tutto quel fracasso delle gride.
Di quegli stessi ch’eran deputati a farle eseguire, alcuni appartenevano per nascita alla parte privilegiata, alcuni ne dipendevano per clientela; gli uni e gli altri, per educazione, per interesse, per consuetudine, per imitazione, ne avevano abbracciate le massime, e si sarebbero ben guardati dall’offenderle, per amor d’un pezzo di carta attaccato sulle cantonate.
Gli uomini poi incaricati dell’esecuzione immediata, quando fossero stati intraprendenti come eroi, ubbidienti come monaci, e pronti a sacrificarsi come martiri, non avrebber però potuto venirne alla fine, inferiori com’eran di numero a quelli che si trattava di sottomettere, e con una gran probabilità d’essere abbandonati da chi, in astratto e, per così dire, in teoria, imponeva loro di operare.
Ma, oltre di ciò, costoro eran generalmente de’ più abbietti e ribaldi soggetti del loro tempo; l’incarico loro era tenuto a vile anche da quelli che potevano averne terrore, e il loro titolo un improperio.
Era quindi ben naturale che costoro, in vece d’arrischiare, anzi di gettar la vita in un’impresa disperata, vendessero la loro inazione, o anche la loro connivenza ai potenti, e si riservassero a esercitare la loro esecrata autorità e la forza che pure avevano, in quelle occasioni dove non c’era pericolo; nell’opprimer cioè, e nel vessare gli uomini pacifici e senza difesa. >>


LA SERVA

<< Era Perpetua, come ognun se n’avvede, la serva di don Abbondio: serva affezionata e fedele, che sapeva ubbidire e comandare, secondo l’occasione, tollerare a tempo il brontolìo e le fantasticaggini del padrone, e fargli a tempo tollerar le proprie, che divenivan di giorno in giorno più frequenti, da che aveva passata l’età sinodale dei quaranta, rimanendo celibe, per aver rifiutati tutti i partiti che le si erano offerti, come diceva lei, o per non aver mai trovato un cane che la volesse, come dicevan le sue amiche. >>


LO SGUARDO

<< Il padre Cristoforo da *** era un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquant’anni.
Il suo capo raso, salvo la piccola corona di capelli, che vi girava intorno, secondo il rito cappuccinesco, s’alzava di tempo in tempo, con un movimento che lasciava trasparire un non so che d’altero e d’inquieto; e subito s’abbassava, per riflessione d’umiltà.
La barba bianca e lunga, che gli copriva le guance e il mento, faceva ancor più risaltare le forme rilevate della parte superiore del volto, alle quali un’astinenza, già da gran pezzo abituale, aveva assai più aggiunto di gravità che tolto d’espressione.
Due occhi incavati eran per lo più chinati a terra, ma talvolta sfolgoravano, con vivacità repentina; come due cavalli bizzarri, condotti a mano da un cocchiere, col quale sanno, per esperienza, che non si può vincerla, pure fanno, di tempo in tempo, qualche sgambetto, che scontan subito, con una buona tirata di morso. >>


L’AMICIZIA

<< Una delle più gran consolazioni di questa vita è l'amicizia; e una delle consolazioni dell'amicizia è quell'avere a cui confidare un segreto.
Ora, gli amici non sono a due a due, come gli sposi; ognuno, generalmente parlando, ne ha più d'uno: il che forma una catena, di cui nessuno potrebbe trovar la fine.
Quando dunque un amico si procura quella consolazione di deporre un segreto nel seno d'un altro, dà a costui la voglia di procurarsi la stessa consolazione anche lui.
Lo prega, è vero, di non dir nulla a nessuno; e una tal condizione, chi la prendesse nel senso rigoroso delle parole, troncherebbe immediatamente il corso delle consolazioni.
Ma la pratica generale ha voluto che obblighi soltanto a non confidare il segreto, se non a chi sia un amico ugualmente fidato, e imponendogli la stessa condizione.
Così, d'amico fidato in amico fidato, il segreto gira e gira per quell'immensa catena, tanto che arriva all'orecchio di colui o di coloro a cui il primo che ha parlato intendeva appunto di non lasciarlo arrivar mai.
Avrebbe però ordinariamente a stare un gran pezzo in cammino, se ognuno non avesse che due amici: quello che gli dice, e quello a cui ridice la cosa da tacersi.
Ma ci son degli uomini privilegiati che li contano a centinaia; e quando il segreto è venuto a uno di questi uomini, i giri divengon sì rapidi e sì molteplici, che non è più possibile di seguirne la traccia. > >


LA PENURIA

<< Gl’incettatori di grano, reali o immaginari, i possessori di terre (…), i fornai che ne compravano, tutti coloro in somma che ne avessero o poco o assai, o che avessero il nome d’averne, a questi si dava la colpa della penuria e del rincaro [del grano], questi erano il bersaglio del lamento universale, l’abbominio della moltitudine male e ben vestita.
Si diceva di sicuro dov’erano i magazzini, i granai, colmi, traboccanti, appuntellati; s’indicava il numero de’ sacchi, spropositato; si parlava con certezza dell’immensa quantità di granaglie che veniva spedita segretamente in altri paesi; ne’ quali probabilmente si gridava, con altrettanta sicurezza e con fremito uguale, che le granaglie di là venivano a Milano.
S’imploravan da’ magistrati que’ provvedimenti, che alla moltitudine paion sempre, o almeno sono sempre parsi finora, così giusti, così semplici, così atti a far saltar fuori il grano, nascosto, murato, sepolto, come dicevano, e a far ritornar l’abbondanza.
I magistrati qualche cosa facevano: come di stabilire il prezzo massimo d’alcune derrate, d’intimar pene a chi ricusasse di vendere, e altri editti di quel genere.
Siccome però tutti i provvedimenti di questo mondo, per quanto siano gagliardi, non hanno virtù di diminuire il bisogno del cibo, nè di far venire derrate fuor di stagione; e siccome questi in ispecie non avevan certamente quella d’attirarne da dove ce ne potesse essere di soprabbondanti; così il male durava e cresceva. >> 



IL CAGNACCIO

 << Don Abbondio, a quelle dimostrazioni [del Cardinale verso l’Innominato], stava come un ragazzo pauroso, che veda uno accarezzar con sicurezza un suo cagnaccio grosso, rabbuffato, con gli occhi rossi, con un nomaccio famoso per morsi e per ispaventi, e senta dire al padrone che il suo cane è un buon bestione, quieto, quieto: guarda il padrone, e non contraddice nè approva; guarda il cane, e non ardisce accostarglisi, per timore che il buon bestione non gli mostri i denti, fosse anche per fargli le feste; non ardisce allontanarsi, per non farsi scorgere; e dice in cuor suo: oh se fossi a casa mia ! >>


I TITOLI

<< Il papa, che Dio lo conservi anche lui, ha prescritto, fin dal mese di giugno, che ai cardinali si dia questo titolo [di ‘eminenza’].
E sapete perchè sarà venuto a questa risoluzione? Perchè l’’illustrissimo’, ch’era riservato a loro e a certi principi, ora, vedete anche voi altri, cos’è diventato, a quanti si dà: e come se lo succiano volentieri !
E cosa doveva fare, il papa? Levarlo a tutti? Lamenti, ricorsi, dispiaceri, guai; e per di più, continuar come prima. Dunque ha trovato un bonissimo ripiego.
A poco a poco poi, si comincerà a dar dell’eminenza ai vescovi; poi lo vorranno gli abati, poi i proposti: perchè gli uomini son fatti così; sempre voglion salire, sempre salire; poi i canonici… (…)
Piuttosto, non mi maraviglierei punto che i cavalieri, i quali sono avvezzi a sentirsi dar dell’illustrissimo, a esser trattati come i cardinali, un giorno volessero dell’eminenza anche loro.
E se la vogliono, vedete, troveranno chi gliene darà. E allora, il papa che ci sarà allora, troverà qualche altra cosa per i cardinali. >>

ALESSANDRO MANZONI

9 commenti:

  1. Risposte
    1. Fatto. Grazie.
      (il maiuscolo però lo lascio, anche se si tratta di un aggettivo, perchè mi piace così).

      A proposito, quale ti piace di più ?
      A me, senza dubbio, l'ultima.

      Elimina
    2. Sto leggendo Carrere, "io sono vivo voi siete morti" e "l'avversario": Manzoni stride, non lo posso leggere adesso.
      A proposito di "eminenze", c'e' un bellissimo articolo-intervista a don verze', qui la prima pagina:
      http://mag.wired.it/rivista/storie/la-fine-della-morte.html?page=1#content
      qui completo col resto:
      http://www.lastampa.it/2011/12/21/blogs/oltretevere/la-verita-di-don-verze-HqfvlMQYiRUej1ZZKa04bK/pagina.html
      Se lo leggi fino alla fine capisci il perche' della citazione :)

      Elimina
    3. Anche questo e' un articolo che potresti pubblicare :)

      Elimina
    4. Meglio di no.
      Il finale può anche far sorridere, ma non è nel mio stile.

      Elimina
  2. Manzoni ha un dono, quello di fotografare con occhio preciso, tagliente, l'umanità che affonda le radici nella cultura della nostra penisola. Non ho mai trovato in nessun autore contemporaneo la capacità di vedere vizi e virtù di una società senza tempo. Oggi come allora perversioni ed egoismi si ripresentano, intatti. Credo che per meglio comprendere le reazioni dei cittadini di fronte all'attuale realtà pandemica, sarebbe sufficiente leggere le pagine che Manzoni dedica all'epidemia di peste.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Agostino, sono d'accordo.
      Manzoni aveva un vero talento per queste osservazioni 'sociali' che definirei senza tempo, in quanto si trovano a metà tra la nota culturale (transitoria) e quella antropoogica (e quindi eterna).
      Si tratta di un talento raro, che è molto difficile trovare negli altri autori, come mi confermi anche tu, che di classici ne conosci molti più di me.
      Per questo il suo romanzo è davvero un classico sempre attuale che non passa mai di moda (vedi appunto il parallelo tra la peste e la pandemia di oggi).

      Elimina
  3. A questo proposito, aggiungerei questa citazione: "Noi uomini siam in generale fatti così: ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali minori, e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi; sopportiamo, non rassegnati ma stupidi, il colmo di ciò che da principio avevamo chiamato insopportabile" (A.Manzoni, Promessi Sposi, Cap.XXVIII).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ti ringrazio per il contributo.
      Ma il Manzoni era anche un eccellente dialogista e sono molti i personaggi che rimangono nella memoria proprio grazie a qualche dialogo memorabile.
      Uno fra tutti, quello tra il Conte Zio ed il Padre Provinciale che io considero un capolavoro assoluto (ed al quale ho dedicato anche un post, che puoi trovare qui: https://ilfenotipoconsapevole.blogspot.com/2017/07/i-giganti-della-fede-il-padre.html ),

      Elimina