sabato 13 agosto 2016

Lavori in corso - 2

(Continua l’interessante articolo di Maurizio Pallante sul rapporto tra decrescita e occupazione. Lumen)


(seconda parte)
 
<< Per far fronte alla recessione, i governi hanno adottato le tradizionali misure di politica economica a sostegno della domanda: riduzione della pressione fiscale; deroghe alle norme urbanistiche per incentivare la ripresa dell’attività edilizia; incentivi all’acquisto di beni durevoli: automobili, mobili, elettrodomestici; copertura dei debiti delle banche con denaro pubblico (700 miliardi di dollari negli Stati Uniti); grandiosi piani di opere pubbliche. L’ultimo, in ordine di tempo, approvato dal presidente Obama, ammonta a 50 miliardi di dollari per strade e ferrovie (…).

Queste misure non solo non sono state in grado di rilanciare il ciclo economico e ridurre la disoccupazione, ma hanno fatto crescere i debiti pubblici al limite dell’insolvenza. Per scongiurare questo pericolo i governi hanno bruscamente capovolto la politica economica, adottando drastiche misure di contenimento della spesa statale che tolgono ossigeno alla ripresa economica e alla prospettiva di ridurre la disoccupazione. Resta difficile capire come si sia potuto credere e far credere che incentivando la domanda di prodotti che hanno saturato da tempo il mercato si potesse far ripartire la crescita economica.

In Italia negli anni sessanta del secolo scorso le automobili circolanti erano 1.800.000. Nel 2008 sono state 35 milioni. Se nei decenni passati il settore aveva grandi possibilità di espansione, oggi non ne ha più. Ha riacquistato un po’ di slancio con gli incentivi alla rottamazione, ma appena sono finiti la domanda di nuove immatricolazioni è crollata quasi del 30 per cento da un mese all’altro. A livello mondiale l’eccesso della produzione automobilistica è circa un terzo del totale: 34 milioni di autovetture all’anno su 94 milioni.

La scelta di puntare sul rilancio della produzione automobilistica non solo si è dimostrata fallimentare dal punto di vista economico, ma è anche irresponsabile dal punto di vista energetico e ambientale perché l’autotrasporto (autovetture e camion) assorbe in Italia circa un terzo di tutte le importazioni di fonti fossili. Contribuisce per un terzo alle emissioni di CO2, che sono la causa principale dell’innalzamento della temperatura terrestre.

Occorre sfatare il luogo comune che l’edilizia sia ancora il volano della crescita. La produzione annua di cemento in Italia non è cresciuta costantemente: negli anni 1992-1996 ha avuto una significativa diminuzione del 20 per cento. L’economia non se ne è accorta, e questa è forse la cosa più curiosa, visto che tra il 1992 e il 1996 il PIL è cresciuto del 24,6 per cento. Viceversa, tra il 2002 e il 2006 la produzione di cemento è cresciuta del 15 per cento e il PIL solo del 13 per cento. Non sembra che il cemento faccia poi così bene alla crescita economica.

Negli anni sessanta del secolo scorso anche il settore dell’edilizia presentava grandi possibilità di espansione, sia perché era necessario completare l’opera della ricostruzione post-bellica, sia perché erano in corso movimenti migratori di carattere biblico dalle campagne alle città, dal sud al nord, dal nord-est al nord-ovest. Ora non è più così. Nel quindicennio intercorrente tra i censimenti agricoli del 1990 e del 2005 sono stati edificati 3 milioni di ettari di terreno: una superficie pari al Lazio e all’Abruzzo.

Contestualmente il numero degli edifici inutilizzati è cresciuto. A Roma ci sono 245.000 abitazioni vuote su 1.715.000. Una su sette. A Milano 80.000 appartamenti su 1.640.000 e 900.000 metri cubi di uffici: un volume equivalente a 30 grattacieli Pirelli. Situazioni analoghe si verificano in tutte le città di tutte le dimensioni. I terreni agricoli adiacenti alle aree urbane sono costellati di capannoni industriali in cui non si è mai svolta la minima attività produttiva.

Anche la scelta di puntare sull’edilizia come volano della ripresa economica si è rivelato un errore strategico e contemporaneamente una dimostrazione di irresponsabilità ambientale perché i consumi energetici degli edifici sono superiori a quelli delle automobili. Assorbono altrettanta energia, un terzo del totale, ma solo in cinque mesi per il riscaldamento invernale.

Non ci vuole una grande competenza in materia economica, basta un minimo di razionalità per capire che per affrontare con probabilità di successo sia gli aspetti economico-occupazionali, sia gli aspetti ambientali-climatici della crisi in corso bisogna fare esattamente il contrario di quanto si è tentato di fare sino ad ora. Occorre indirizzare il sistema economico-produttivo a sviluppare i settori che presentano ampi spazi di mercato e, a parità di produzione, riducono l’inquinamento e il consumo di risorse, in particolare quelle energetiche.

Poiché nei decenni passati, in conseguenza della sovrabbondanza di fonti fossili a prezzi irrisori l’unico obbiettivo che si è perseguito è stato la crescita della produzione di merci senza nessuna preoccupazione per le conseguenze ambientali, i settori che oggi presentano i più ampi spazi di mercato sono quelli che accrescono l’efficienza nell’uso delle risorse consentendo di diminuire l’inquinamento, le emissioni di CO2 e i rifiuti.

Ma se cresce l’efficienza nell’uso delle risorse, diminuisce automaticamente il loro consumo e quindi, una volta che siano stati ammortizzati i costi d’investimento con i risparmi sui costi di gestione, il prodotto interno lordo diminuisce. La decrescita guidata della produzione e del consumo di “merci che non sono beni”, ha le potenzialità per superare sia gli aspetti economici e occupazionali, sia gli aspetti energetici e climatici della crisi facendo fare un salto di qualità alla storia umana.

Con due vantaggi ulteriori. Le tecnologie con le caratteristiche indicate, che a rigor di logica si possono definire tecnologie della decrescita, pagano i propri investimenti da sé, col denaro che consentono di risparmiare sui costi di gestione. E, inoltre, ridanno un senso al lavoro perché non lo indirizzano, come fanno le tecnologie della crescita, a produrre quantità sempre maggiori di merci da buttare sempre più in fretta per produrne altre, senza preoccuparsi della loro utilità e/o dei danni che creano, ma a produrre con un sempre minore impatto ambientale merci con una utilità specifica. A produrre merci che siano beni per chi le utilizza e non siano un male per la terra.

In ultima analisi l’obbiettivo delle tecnologie della decrescita è sostituire in misura sempre maggiore l’hardware delle materie prime col software dell’intelligenza umana guidata dall’etica e dal rispetto della vita in tutte le forme in cui si manifesta.

Riducendo il consumo di merci che non sono beni, il denaro che si risparmia deve essere necessariamente utilizzato per pagare gli investimenti, e i salari, gli stipendi, le parcelle, i guadagni di chi produce, commercializza, installa, gestisce e fa la manutenzione delle tecnologie che riducono il consumo di merci che non sono beni. Le tecnologie della decrescita sono in grado di ri-avviare un circolo virtuoso dell’economia, non solo nella logica interna dei cicli economici - più produzione, più occupazione, più domanda, più produzione - ma anche per le conseguenze positive sugli ambienti e sulla vita degli esseri umani.

È una pericolosa illusione ipotizzare che si possa uscire dalla recessione riprendendo a fare quello che si è sempre fatto. Occorre aprire una fase nuova, esplorare una nuova frontiera. Non ci si può limitare a misure di politica economica e finanziaria finalizzate ad accrescere la domanda di merci in una logica esclusivamente quantitativa. Occorre adottare criteri di valutazione qualitativa.

Non ci si può limitare ad abbassare il costo del denaro per rilanciare investimenti e consumi. Occorre decidere quali produzioni si ritiene utile incentivare e quali si ritiene opportuno ridurre. Non ci si può limitare a spendere grandi somme di denaro pubblico - che tra l’altro non ci sono - per finanziare grandi opere, di cui si conosce a priori l’inutilità, solo perché si ritiene che possano fare da volano alla ripresa economica, ma occorre finanziarie opere pubbliche che consentono di migliorare la qualità ambientale e la vita degli esseri umani.

Non i treni ad alta velocità, che hanno un impatto ambientale devastante, aumentano i consumi energetici e non risolvono il problema degli spostamenti quotidiani sui tragitti “casa – lavoro”, ma una rete efficiente di treni locali per ridurre l’inquinamento ambientale e lo stress da traffico automobilistico che assorbe anni di vita e mina la salute di milioni di pendolari.

Non festeggiamenti e manifestazioni per attirare l’arrivo di un numero di consumatori più ampio di quelli che vivono nei luoghi in cui si organizzano, perché sono fuochi di paglia che lasciano pesanti eredità di edifici destinati a degradarsi progressivamente e assorbire quote crescenti dei bilanci pubblici per le spese di gestione e manutenzione. Non lo stadio del curling come si è fatto nelle Olimpiadi invernali di Torino, ma ospedali efficienti e scuole che non crollino in testa agli studenti.

Non piani regolatori espansivi che autorizzano a cementificare progressivamente i terreni agricoli, ma un programma di ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio esistente per ridurne i consumi da 200 chilowattora al metro quadrato all’anno al valore massimo di 70 vigente nella Provincia di Bolzano. Non l’incredibile miopia di puntare sulla produzione automobilistica, ma la parziale riconversione dell’industria automobilistica alla produzione di micro-cogeneratori e tri-generatori per dimezzare i consumi di fonti fossili ricavando il riscaldamento e il raffrescamento come sottoprodotti della produzione decentrata di energia elettrica, a partire dagli ospedali e dalle strutture con consumi continuativi di elettricità e calore nel corso dell’anno.

Lo sviluppo delle tecnologie della decrescita è la strada maestra per uscire dalla recessione e accrescere l’occupazione, non come un obbiettivo in sé, ma come conseguenza di lavori che hanno un senso perché consentono di migliorare la qualità della vita riducendo l’impronta ecologica, il consumo di risorse, l’impatto ambientale e la produzione di rifiuti delle attività con cui gli esseri umani ricavano dalla natura le risorse da trasformare in beni e in merci che sono beni.

Se le tecnologie finalizzate ad aumentare la produttività finalizzano il fare umano a fare sempre di più, le tecnologie della decrescita connotano il fare umano come un fare bene e lo finalizzano alla possibilità di contemplare ciò che si è fatto. >>

MAURIZIO PALLANTE

(continua)

13 commenti:

  1. Leggo un po' alla volta.
    Come prima osservazione:

    "Nel quindicennio intercorrente tra i censimenti agricoli del 1990 e del 2005 sono stati edificati 3 milioni di ettari di terreno: una superficie pari al Lazio e all’Abruzzo."

    Ancora con questa storia smaccatamente inverosimile, l'edificazione dell'equivalente di due regioni in pochi anni: cio' che e' successo e' tutt'altro, e' successo che, per AUMENTARE IL PRELIEVO FISCALE, sono stati passati dal cosiddetto "catasto agricolo" a "quello urbano" moltissimi fabbricati, man mano che morivano o cessavano l'attivita' agricola i titolari della propieta', che per poter avere diritto ad essere inquadrati nel catasto agricolo e quindi non pagare le salatissime tasse patrimoniali introdotte negli anni '90 (ISI, ICI e poi IMU) dovevano essere coltivatori di professione.

    Il catasto agricolo e quello urbano sono completamente diversi sia nella filosofia, che nel prelievo fiscale.

    Nel catasto agricolo gli edifici sono considerati "annessi" del terreno, e non sono tassabili. Gli edifici e' come se non esistessero, esiste solo il terreno. Nel catasto urbano e' il contrario, esistono gli edifici e il terreno e' come se non ci sia, che sia coltivato o no. Con l'avvento della tassazione patrimoniale locale nei primi anni '90, gli immobili appartenenti al catasto urbano sono diventati le principali fonti di introito per le amministrazioni locali sempre piu' spendaccione, ingorde, da allora obbligate ad avere pareggi di bilancio. Cio' ha fatto "sparire" dal catasto agricolo moltissimi terreni, ma che in realta' sono sempre li' esattamente come prima, ma ora sono tassabili a volonta'.

    Nella mia regione sono state spostate d'ufficio moltissime vecchie proprieta' dal catasto agricolo a quello urbano, il che significa, per i comuni, avere migliaia di euro di incasso fiscale per ogni proprieta', rispetto a non avere nulla.

    Peggio ancora, ogni anno i comuni tendono a rendere d'ufficio edificabili porzioni del loro territorio, proprio allo scopo di renderle tassabili e fare cassa. Non so se lo sapete, ma dagli anni '90, quando un terreno viene reso edificabile, deve cominciare da subito a pagare l'IMU in proporzione alla cubatura della costruzione consentita. Questa e' probabilmente la causa di gran lunga maggiore dello "spreco di territorio" cui si fa cenno: la causa e' nelle amministrazioni pubbliche pletoriche e affamate di gettito fiscale, cui e' stata data questa grassa opportunita' di fare cassa...

    Da qui nasce la leggenda metropolitana del consumo di territorio pari ad una regione ogni pochi anni, leggenda che grazie al tam tam della rete dei professionisti della menzogna, e' diventata luogo comune.

    Smettiamola almeno noi di travisare la realta', fra l'altro in questo modo delinquenziale, dato che cosi' viene data la colpa, e il guadagno, di una certa operazione, a chi non le ha, facendo invece passare inosservati i veri responsabili (gli enti pubblici sempre piu' famelici, gli stessi che hanno distrutto il paese a forza di tasse e regole) che alla fine finiscono per essere pure considerati dei benefattori.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. "dagli anni '90, quando un terreno viene reso edificabile, deve cominciare da subito a pagare l'IMU in proporzione alla cubatura della costruzione consentita"

      Mi rendo conto di non essere stato abbastanza chiaro, tanto e' inverosimile la cosa per chi non conosca il settore: quando un Comune ha bisogno di soldi, dice "questi terreni dall'anno prossimo sono edificabili con tot metri cubi di civili abitazioni o fabbricati commerciali o industriali: quindi i proprietari, CHE DECIDANO DI COSTRUIRE O NO, devono cominciare a pagarci l'imu e le varie tasse relative, COME SE GLI EDIFICI FOSSERO GIA' COSTRUITI E QUINDI ESISTENTI. Percio' quei proprietari che non volessero costruire, a meno che non si tratti di gente molto ricca e disposta a rimetterci, sono comunque costretti a rivolgersi a speculatori edilizi che costruiscano cio' che il comune ha deciso in assemblea al fine di fare cassa (e di favorire gli speculatori stessi, che spesso lavorano gomito a gomito con le amministrazioni, se non sono le amministrazioni stesse, sapete com'e', l'occupazione, il PIL)

      Praticamente stesso identico modo di operare della mafia, ma e' lo Stato.

      Perche' quelle teste di cazzo che tirano fuori continuamente la storia peraltro smaccatamente inverosimile delle due regioni completamente edificate ogni 20 anni, non pubblicizzano questo, di scandalo?

      Elimina
    2. Caro Diaz, davvero non avevo idea di questa faccenda dell'IMU virtuale, e ti ringrazio dell'informazione.
      Si tratta di una trovata tipica del nostro sistema pubblico di fare cassa che, come ben sappiamo, sa essere molto creativo.

      Però, a parziale difesa di certe statistiche allarmistiche, può darsi che che la realtà territoriale possa facilmente adeguarsi a quella virtuale.
      Voglio dire che se un terreno è dato per edificabile con una certa cubatura, e se il proprietario deve già incominciare a pagarsi l'IMU teorica, chi gli vieta di cedere i diritti ad un costruttore per l'edificazione vera e propria ?
      A quel punto i dati statistici non cambierebbero, ma quelli reali sì.

      Elimina
    3. No un momento... l'ho detto che la normativa del settore e' talmente assurda e tale da ottenere l'esatto contrario di cio' che crede la gente, specialmente quella benintenzionata (tipo Pallante e suoi seguaci) che l'ha sostenuta e promossa, che e' molto difficile capire tutto quello che succede per causa sua.

      Il proprietario del fondo E' COSTRETTO a rivolgersi ai professionisti della speculazione edilizia affinche' edifichino il fondo, altrimenti le tasse salate che gli cominciano a fioccare come le paga?
      I comuni d'altra parte rendono edificabile i fondi proprio per incassare quanto piu' possibile di tasse, quindi non e' da sperare che l'imposizione sia facilmente sopportabile da un reddito medio-basso, che cosi' potrebbe mantenere il suo fondo edificabile non edificato, almeno finche' qualcuno non ha veramente bisogno di un edificio. Il paese e' stato riempito di case inutili per gli effetti perversi di queste normative. Un po' per questo, e per il resto anche perche', con la moneta di merda in svalutazione continua che avevamo da dopo gli anni 60', la lira, "mettere su muro" era l'unico modo, ma proprio l'unico, di salvaguardare il risparmio.

      Oltre al fatto, su cui si dovrebbero finalmente scrivere libri, che da quando (fine anni '60) e' stato virtualmente vietato di costruire dappertutto se non dietro concessione onerosa, i prezzi dei fondi edificabili sono lievitati alle stelle, dando inizio alla vera epoca della speculazione edilizia e mettendo in mano il mercato edilizio ai professionisti, spogliando il cittadino, in nome della preservazione dell'ambiente, di un diritto fondamentale (quella del dopoguerra, che non era vera speculazione ma serviva davvero a dare un tetto col cesso e l'acqua in casa a chi non l'aveva mai avuto, era ormai gia' naturalmente esaurita, tanto che i prezzi delle case, negli anni '60, restarono ad inflazione zero, nonostante si trattasse di un periodo di crescita reale del 5 per cento annuo o piu'). Hanno chiuso la stalla quando i buoi erano gia' scappati, producendo effetti perversi.

      Mi e' capitato di litigare a sangue con un mio ex-amico dipendente comunale e addetto all'edilizia ad alto livello: secondo lui e' giusto che sia cosi', perche' cosi' i comuni, potendo costringere con la leva fiscale i proprietari a fare quello che dicono loro, hanno degli strumenti urbanistici efficaci in mano!!!

      Al peggio non c'e' proprio mai fine.

      Elimina
    4. Per quanto riguarda i dati statistici, mi spiego meglio: se un terreno di 5000 mq diventa edificabile per farci una villetta, di quei 5000 mq metri quadri solo 150 vengono "cementificati", il resto resta terra dove cresce vegetazione esattamente come prima, ma per il catasto urbano e i coglioni che ne leggono i dati come detto sopra, tutti i 5000 mq sono stati edificati e cementificati. Il dato della superficie equivalente a due regioni che vengono cementificate ogni 20 anni e' cosi' che salta fuori, dalla lettura idiota dei dati, che grazie a questo fenomenale strumento di disinformazione di massa che e' la rete, e' diventato luogo comune.

      Guarda se nello studio della banca d'italia citato qui c'e' una sola parola su cosa ha soprattutto causato la corsa verso l'alto dei prezzi delle case dal 1970:
      https://thewalkingdebt.org/2016/06/30/cosa-ci-insegna-la-storia-del-mattone-italiano-dal-1927/

      Qui trovi la spiegazione, in questa storia che e' stato completamente rimossa dalla coscienza comune, coscienza che si limita a lamentarsi contro la cattiva speculazione perche' per un buco con 4 mura di ringhiera in periferia bisogna indebitarsi con mutui che durano una vita, cosa che nemmeno i nostri antenati piu' poveri hanno mai dovuto fare, senza mai citare le cause che hanno creato questa situazione, perche' costringerebbe a guardarsi allo specchio:
      http://www.dic.unipi.it/l.santini/edilearchitettura/AA2015-2016/lezioni/lezio10%20dallaSulloalla%20457_20-10.pdf

      Elimina
    5. << se un terreno di 5000 mq diventa edificabile per farci una villetta, di quei 5000 mq metri quadri solo 150 vengono "cementificati", il resto resta terra >>

      Ti ringrazio per il chiarimento.
      Mi sembra paradossale che le statistiche ufficiali in materia vengano distorte da un errore concettuale simile, ma abbiamo visto di peggio.

      In ogni caso, anche se con percentuali inferiori, la mia sensazione è che il rapporto cemento/territorio, in Italia, sia comunque peggiorato.
      Ci sono sempre nuovi palazzi o costruzioni che vengono edificate su terreni naturali, mentre è rarissimo trovare un terreno che ridiventa naturale dopo la demolizione di un edificio.

      Elimina
    6. D'altra parte ti pareva credibile che fossero state completamente cementificate due regioni di media grandezza in 20 anni?

      Non c'e' dubbio che il rapporto cemento/asfalto territorio sia fortemente peggiorato, ma oltre agli edifici che continuano a venir costruiti solo per dar lavoro a chi li costruisce, il problema sono le strade e i parcheggi, costruiti per il medesimo scopo (hai presente quando dicono che l'edilizia e' il maggiore driver del PIL no? Peccato che lo sia cosi' solo nei paesi da terzo mondo, dove la gente non sa fare altro che il muratore e il geometra - la responsabilita' delle caste dei professionisti e' fortissima in proposito, a volte si costruisce solo per far lavorare i tecnici-professionisti, specialmente in ambito pubblico dove la loro forza contrattuale (sono i tecnici-esperti, no?) e' maggiore).

      Paradossalmente, anche sulle piste ciclabili c'e' una speculazione fortissima, per farle, dalle mie parti si spende anche un milione di euro al km, si tagliano le rive alberate, si chiudono i fossi, si asfalta, cementifica e attrezza in modo fra l'altro del tutto deturpante (salvo poi stupirsi se quando piove si va sott'acqua, per cui alla minima pioggerellina la grancassa informativa parla ormai solo di bombe d'acqua - grazie, ai fossi vengono sostituiti dei pozzettini che quando piove si occludono con due foglie).

      Piu' che nella cementificazione, il problema e' secondo me nell'urbanizzazione, che e' prima di tutto uno stato mentale: gli uomini, e ancora di piu' le donne, quando si sistemano su un territorio, la prima cosa che vogliono fare, ecologisti o no, e' radere al suolo tutto per piantare prato inglese che sembra di plastica, distrugge l'ecosistema quanto una colata di cemento, e peggio del cemento richiede una continua manutenzione con mezzi meccanici inquinanti.

      Il problema e' prima di tutto culturale, e non ci si puo' fare assolutamente nulla, perche' se l'ecologia teorica piace a quasi tutti, quella pratica, coi suoi risultati concreti (ragni, topi, serpenti, formiche, sterpaglie di mille specie in un loro equilibrio), piace a pochissimi. In proposito, c'e' una enorme ipocrisia, mista ad ignoranza, in giro.

      Vi avevo piu' volte postato quel pezzettino sul "fuorilegge e lo sceriffo", di alex roggero.
      E' scritto tutto qui, in due righe:

      "E' il grande paradosso del rapporto irreale che l'uomo occidentale ha con la natura: solo quando è circondato dalla wilderness (credo sia la più bella parola del vocabolario inglese) egli recupera la propria identità. Ma la sua e' una conquista fugace, che si consuma in una generazione. Anni fa avevo letto un articolo, pubblicato da una nota rivista di antropologia americana, dove si ipotizzava la presenza di due diverse figure umane: il fuorilegge e lo sceriffo. Il primo era l'esploratore, l'uomo libero che apriva nuove frontiere e senza volerlo spianava la strada al secondo, che lo inseguiva trasformando ogni cosa con le sue regole, i suoi divieti, la sua infinita mania di controllo.
      L'articolo si concludeva con una riflessione semplicissima, ma piuttosto acuta: forse le leggi dello sceriffo erano, semplicemente, leggi sbagliate."
      "Australian cargo", Alex Roggero.

      Pallante e' uno sceriffo, e lo sono in spirito tutti quelli come lui.

      "E' una conquista fugace, che si consuma in una generazione."

      Elimina
    7. "gli edifici che continuano a venir costruiti solo per dar lavoro a chi li costruisce, il problema sono le strade e i parcheggi"

      En passant qui dalle mie parti, ma credo sia una legge nazionale, ora quando viene costruito qualcosa, anche il villino in campagna, viene subito cementificato tutto intorno perche' la legge lo richiede: e' obbligatorio predisporre parcheggi abbondanti con tutte le attrezzature connesse (e inoltre devi pagare sotto forma di salata tassa i famosi "oneri di urbanizzazione", con i quali il comune cementifica il resto, fa marciapiedi e mette luci anche in piena campagna).
      Poi siccome e' stato impermeabilizzato il suolo allora e' obbligatorio scavare un grande invaso d'acqua che compensi la minore assorbenza del suolo...
      I parcheggi, poi, sono organizzati in modo che l'acqua di raccolta deve essere o incanalata in apposite reti fognarie per quel tipo di inquinanti (cioe' le pochissime gocce di olio che possono colare dal motore, come se colassero solo con la macchina in parcheggio) oppure complicatissimi sistemi con vasche di raccolta e decantazione da svuotare periodicamente, per buttare l'inquinante da un'altra parte dove non ci sia nessuno che protesta.

      Pensa all'immenso spreco di energia e materiale, per poche gocce, per avere solo la sensazione di aver tolto di mezzo a dir tanto una parte su cento miliardi degli inquinanti che mettiamo in giro, per niente. E provocando inquinamenti collaterali molto maggiori, peraltro.

      Robe da pazzi, che hanno tutta l'aria di essere ipocrisie perbeniste per mettersi la coscienza a posto (coi tecnici che si riempiono, visto che ci siamo, il portafogli, e quindi PIL con tassazione relativa in aumento).

      Tutto deve essere "perfetto"!

      I tecnici e gli esperti sono la tragedia della nostra epoca, perche' sono completamente privi di cultura, conoscono a menadito solo il loro ristrettissimo ambito di competenza, a cui commisurano tutto il resto (te lo dico per esperienza, ne conosco molti).

      Chi sa usare il martello vede tutto in forma di chiodo (e vale anche per l'elenco di blog in alto a destra)

      Elimina
  2. << quando viene costruito qualcosa (...) e' obbligatorio predisporre parcheggi abbondanti >>

    Inevitabile, visto che viviamo nel mito della mobilità personale, alias auto propria, da utilizzare per qualsiasi anche minima incombenza.

    Se ricordo bene, qualche tempo fa il sindaco di Londra aveva autorizzato la costruzione di un grande palazzo nella City, solo a condizione che NON venisse dotato di parcheggio interno.
    La logica era che gli impiegati, invece di intasare il centro con le loro auto personali, potevano tranquillamente venire a lavorare coi mezzi pubblici, mentre gli alti papaveri, se proprio lo volevano, potevano sempre pagarsi un taxi.

    RispondiElimina
  3. Il problema addizionale e' che qui in italia, o almeno nelle zone presuntamente piu' civilizzate (si credono piu' civilizzate per questo...), quando fai il parcheggio obbligatorio non e' che lo puoi fare sotto forma di spazio erboso sotto tre alberi che d'estate riparano dal sole, lo devi fare obbligatoriamente secondo i sacri criteri delle numerose pagine del regolamento edilizio appositamente studiate dal coglione di turno esperto in parcheggi perfetti ad inquinamento zero, con pozzetti, cordonate, asfalti impermeabili, lampioni a norma eccetera. Non so se hai mai visto i regolamenti edilizi dei comuni: sono volumi di migliaia di pagine, che prescrivono dettagliatamente tutto.
    Una delle tante follie del nostro paese, che poi ci si stupisce se va a rotoli. Anzi si da' la colpa all'anarchia e alla mancanza di regolamentazione. Il fatto e' che buona parte della gente, fra cui in particolare il Pallante che citi, e' completamente alienata dalla realta', pare che viva in un altro pianeta, il pianeta delle sue personali idiosincrasie. E sono quelli con la mentalita' come la sua, e i commentatori dei blog catastrofisti a parte questo, che reclamano a gran voce, pensano, e fanno quei regolamenti...
    Siamo un paese di pazzi (vabbe' che l'essere umano abbia una forte vena di follia non e' una novita')

    Londra e' una citta' grande da sola come mezza italia, l'unica cosa che ci si avvicina nel nostro paese e' Roma, altro cancro in metastasi da quasi tre milioni di abitanti, per la maggior utili solo come consumatori, a spese altrui. Si tratta di citta' che possono stare in piedi solo con un'efficiente organizzazione statuale di rapina del territorio circostante, che si puo' estendere, nel caso di Londra, al resto del mondo. Se Roma affonda, e' solo perche' essendo lo Stato italiano in declino, esso riesce a rubare sempre meno solo alla sua cittadinanza locale sempre piu' impoverita ed esangue. Le grandi citta' sono centri di potere di organizzazioni predatorie efficienti, che quando sono in difficolta' per stare a galla inventano guerre e arrivano a questi estremi:
    https://agrariansciences.blogspot.it/2016/08/il-genocidio-ucraino-del-1932-33.html

    Studiate la storia dell'holodomor, e' tremenda.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Nella attuale epoca della comunicazione istantanea e della globalizzaione, probabilmente i giovani di adesso trovano completamente incredibile che di cio' che succedeva dietro la cortina di ferro, quasi mezzo mondo, non si sapeva assolutamente nulla, e non sapeva nulla nemmeno chi ci viveva dentro, tanto da poter tenere segreti per decenni massacri per fame di intere nazioni, da milioni di persone.

      Incredibile anche per noi che abbiamo vissuto quel periodo, a dire il vero, tanto sembra assurdo. E tanto siamo stati assordati dalla propaganda del mondo perfetto al di la' della cortina di ferro, cui i nostri eterni scontenti, catatrofisti ante-litteram, facevano da grancassa.

      Sono sempre loro, sempre quelli del mondo perfetto. Di qua e di la'.

      Elimina
  4. << Le grandi citta' sono centri di potere di organizzazioni predatorie >>

    E' una definizione piuttosto forte, la tua, ma in effetti come si possono definire diversamente le grandi megalopoli che, per definizione, sono prive di un proprio equilibrio ecologico e devono quindi campare sulla predazione delle risorse altrui ?
    Anche la Roma imperiale era così, ed ha fatto la fine che sappiamo.

    RispondiElimina
  5. << i giovani di adesso trovano completamente incredibile che di cio' che succedeva dietro la cortina di ferro, quasi mezzo mondo, non si sapeva assolutamente nulla >>

    Incredibile, certo, ma inevitabile.
    Se di una cosa non sappiamo nulla, per noi non esiste.
    E il comunismo storico (ma non solo) su questo assioma ci ha campato per decenni.

    RispondiElimina