mercoledì 6 aprile 2016

Un caso di coscienza

La “coscienza” può essere definita come la consapevolezza dell’ambiente circostante, soprattutto sociale, e la capacità di interagire con esso.
Molte tradizioni culturali e religiose situano la coscienza in un’anima separata dal corpo, cosa biologicamente ridicola, in quanto tutte le attività intellettive, e quindi anche la coscienza, debbono avere una base fisica, riconducibile alla struttura neurale del cervello.
All’evoluzione della coscienza sociale, ed in particolar modo dell’empatia – intesa come capacità di comprendere lo stato d’animo altrui – sono dedicati questi due brevi passi di Jeremy Rifkin.
Secondo l’autore, la coscienza umana non sarebbe sempre stata la stessa, ma si sarebbe evoluta nel corso dei millenni, secondo 4 grandi fasi, strettamente collegate con lo sviluppo delle diverse forme di energia. Una lettura interessante.
LUMEN



<< L'uomo primitivo non era in grado di distinguere fra materiale e immateriale, reale e immaginario, animato e inanimato. Nella sua esperienza, il passato aveva una dimensione limitata, e il futuro quasi nulla: egli viveva il momento presente ed era prigioniero delle sensazioni che lo tempestavano ed esigevano da lui una reazione immediata.

Ogni forza che agiva su di lui - vento, pioggia, caduta di rocce, calore del sole, luce della luna, altre creature - era una manifestazione di spiriti e demoni, considerati di volta in volta amici o nemici: se gli cadeva addosso un sasso da un precipizio, credeva che uno stregone nemico l'avesse fatto cadere per ferirlo, o che fosse qualcuno del popolo delle pietre che lo attaccava. (…)

I sumeri, e le successive civiltà idrauliche, svilupparono una ricca vita urbana. Le strade statali facilitarono i movimenti migratori e la vita nelle città. I centri urbani divennero crogioli in cui si fusero molte culture e la densità della popolazione fu un invito allo scambio culturale e ai primordi di un atteggiamento cosmopolita. I nuovi contatti crearono spesso conflitti, ma aprirono anche la porta alla famigliarità con individui che, fino a quel momento, erano stati considerati estranei e diversi.

L'impulso empatico, per tutta la storia precedente limitato a piccoli gruppi di parenti stretti e a clan che vivevano prevalentemente nell'isolamento, trovò improvvisamente nuove opportunità e sfide: trovare il simile nel diverso rafforzò e approfondì l'espressione empatica, universalizzandola per la prima volta al di là del vincolo di sangue.(…)

Il solo fatto di essere esposti a persone che non erano parte del gruppo di consanguinei ebbe [anche] l'effetto di sviluppare, per quanto ancora debolmente, il senso di individualità. Si dice che la vita urbana crei isolamento e solitudine, ma crea anche un sé unico, capace di identificarsi con altri sé unici attraverso l'estensione empatica.

Parzialmente separato dalla collettività, il singolo comincia a riconoscersi negli altri, intesi come esseri individuali, e, nel farlo, sviluppa il proprio senso di sé. (…) I nostri antenati cominciarono allora a percorrere la strada che li avrebbe portati a diventare esseri umani pienamente coscienti di sé. >>


<< Nessuno può negare che la coscienza umana sia cambiata nel corso della storia. Ma se osserviamo le vicende dell'uomo più da vicino, notiamo che i grandi cambiamenti della coscienza si accompagnano a grandi cambiamenti nel modo in cui l'uomo organizza i suoi rapporti con il mondo naturale e imbriglia le energie del pianeta.

Le popolazioni dedite alla caccia e alla raccolta pensavano in modo diverso da quelle che vivevano nelle società agricolo-idrauliche. Questo perché i cambiamenti qualitativi dei regimi energetici sono accompagnati da cambiamenti nel modo in cui le persone comunicano tra loro per gestire i flussi di energia. Questi mutamenti della comunicazione influiscono sulla maniera in cui il cervello umano comprende e organizza la realtà.

Tutte le società di cacciatori-raccoglitori sono culture orali. Non conosciamo un solo caso in cui questo tipo di società abbia sviluppato la scrittura. Analogamente, quasi tutte le grandi società agricolo-idrauliche hanno creato forme di scrittura e di calcolo per organizzare la produzione, la conservazione e la distribuzione dei cereali.

Nell'Ottocento, la Prima rivoluzione industriale - [fondata su] carbone, vapore, ferrovia - sarebbe stata impossibile da organizzare e gestire senza la comunicazione a mezzo stampa.

Agli inizi del Novecento, la prima generazione di mezzi di comunicazione elettronici, soprattutto il telefono, e successivamente la radio e la televisione con diffusione di massa, sono diventati il fondamentale meccanismo di comando e controllo per la gestione e la commercializzazione della Seconda rivoluzione industriale, fondata sul petrolio e organizzata intorno al motore a combustione interna ed a beni e tecnologie derivati dai combustibili fossili.

I sistemi di comunicazione, a loro volta, modificano la coscienza umana:
- le culture orali sono impregnate di coscienza mitologica;
- le culture scritte determinano lo sviluppo di una coscienza teologica;
- la cultura della stampa apre la strada alla coscienza ideologica;
- la cultura dei primi strumenti elettronici ha sviluppato la coscienza psicologica [empatia].

In realtà, è ovvio, non tutto è così rigidamente schematico.

Questi diversi stadi dell'evoluzione della coscienza non sono magicamente apparsi proprio nel momento in cui c'era bisogno di organizzare un nuovo regime energetico-comunicazionale. Le vecchie forme di coscienza, in genere, sopravvivono alle prime fasi di una rivoluzione energetico-comunicazionale. Ma nessuna di queste nuove configurazioni ha mai raggiunto l'apice del proprio sviluppo senza essere accompagnata da una nuova forma di coscienza.

Ogni nuovo stadio della coscienza è un riposizionamento mentale della percezione umana e si verifica quando una rivoluzione energetico-comunicazionale fa nascere una nuova organizzazione sociale. Nel processo di estensione del nostro sistema nervoso centrale collettivo a nuovi domini e ambiti, sperimentiamo quello che gli psicologi chiamano «cambiamento di Gestalt». Il nostro orientamento spaziale e temporale si ricalibra (per usare un termine riduttivo derivato dalla meccanica) e giungiamo a vedere le cose in modo diverso.

Altrettanto importante è il fatto che attraversiamo un processo di reinterpretazione del nostro nuovo ambiente e contesto sociale, nel tentativo di trovare il nostro posto e il nostro scopo nello schema delle cose. Questo processo di reinterpretazione è condizionato dalla realtà delle nuove relazioni che abbiamo instaurato con il mondo che ci circonda. In altre parole, giungiamo a vedere e interpretare la natura, il mondo e il cosmo in funzione del modo in cui interagiamo con esso.

Anche le metafore che utilizziamo per descrivere la consapevolezza che abbiamo di noi stessi e della realtà sono prese a prestito dai nostri modi di organizzazione: le civiltà idrauliche descrivono il mondo in termini idraulici; la Prima rivoluzione industriale ha concepito la coscienza ideologica attraverso metafore meccaniche; la Seconda ha reinterpretato il cosmo in termini elettrici.

Ogni stadio della coscienza ridefinisce il limite estremo della realtà: cattura e riflette la portata e l'estensione temporale e spaziale del sistema nervoso centrale collettivo di ciascuna civiltà.

L'ordine sociale spazio-temporale rappresentato dalla coscienza mitologica è marcatamente diverso da quello della coscienza teologica o ideologica o psicologica: ciascuna di queste riflette strutture sociali progressivamente più complesse e una dimensione spazio-temporale più estesa; e ciascuna offre la possibilità di estendere il dominio dell'empatia, aumentando allo stesso tempo l'entropia generale della biosfera.

Ogni stadio della coscienza determina anche il confine fra «noi» e gli «altri»: al di là c'è la terra di nessuno, dove vivono gli estranei:
- per l'uomo mitologico, l'estraneo è il non umano, il demone o il mostro;
- per l'uomo teologico è il pagano o l'infedele;
- per l'uomo ideologico è il selvaggio;
- per l'uomo psicologico è il patologico.

A ogni stadio storico della coscienza, le rivoluzioni energetico-comunicazionali hanno ampliato il dominio del sistema nervoso centrale collettivo, includendo sempre più «altri» nel regno del famigliare.

Oggi la televisione satellitare e Internet, la rivoluzione IT e il trasporto aereo connettono quasi due terzi della razza umana in un continuo anello di feedback, ventiquattro ore su ventiquattro: il dominio dell'estraneo si restringe a mano a mano che la globalizzazione accelera e l'impulso empatico comincia ad abbracciare la totalità della vita che costituisce la biosfera del pianeta. >>

JEREMY RIFKIN

29 commenti:

  1. Mah! Non volevo commentare perché ho trovato questo testo indigesto, mi veniva da dire: madonna, com'è complicata la vita. Rileggendolo invece poco fa - forse in un diverso stato d'animo - l'ho trovato "abbastanza interessante", ma non di più. Dunque non rivelatore, non entusiasmante e quindi non ho provato il piacere che si prova per una rivelazione, anche minore, pur se alcune cose sono interessanti (abbastanza interessanti). Devo aggiungere che Rifkin non mi piace molto (per quel poco che ho letto, interviste, e per averlo sentito un'ora in televisione). Dice cose sensate, è decisamente ottimista (stravede per es. per l'UE, una cosa mai vista nella storia - che così tanti Stati si fondino, questi famosi Stati Uniti d'Europa).
    Mi sembra esagerato che "due terzi dell'umanità" (qualcosa come ca. quattro miliardi di persone) siano in continua interazione ventiquattro ore su ventiquattro. In prospettiva, nemmeno troppo lunga, l'intera umanità sarà davvero collegata grazie alla tecnologia, ma per il momento non mi sembra. Per Rifkin l'empatia sembra essere un concetto chiave, potrebbe in effetti rivoluzionare la vita sul pianeta. Ma se penso ai 700 milioni di persone che soffrono quotidianamente la fame, ai due miliardi che vivono con due dollari al giorno, se vedo le bidonvilles di tanti luoghi della terra, lo squallore e la desolazione ovunque, be', non provo pietà o empatia: perché non posso fare assolutamente nulla. Il papa dice di accoglierli "tutti", ma è assurdo, come si fa? Sono per questo cinico, senza pietà, egoista ecc. ecc. come dicono il papa e la Boldrini che sono entrambi superprivilegiati?

    Chi sono io? "Yo soy yo y mis circunstancias" dice Ortega y Gasset. La risultante del mio patrimonio genetico che interagisce con l'ambiente. Il primo elemento è fisso, immutabile o quasi, le circostanze invece mutano continuamente.
    Fra parentesi, un secolo fa Ortega vedeva con estremo favore l'incremento demografico in Europa dopo secoli di stagnazione: finalmente. Mi chiedo cosa direbbe oggi. Ma lui era un ottimista, cupidus rerum novarum (che bella cosa l'automobile - che gli sciocchi spagnoli tenevano inutilizzata in garage, forse per non sciuparla!).

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    1. "Mi sembra esagerato che "due terzi dell'umanità" (qualcosa come ca. quattro miliardi di persone) siano in continua interazione ventiquattro ore su ventiquattro."

      Pero' e' vero che, e questo dovrebbe catturare la nostra attenzione, che grazie o a causa della tecnologia, il mondo e' diventato molto, immensamente piu' piccolo, come non lo e' mai stato. Non dimentichiamo che fino a pochi secoli fa non ne erano nemmeno noti i confini, e il palloncino roteante che noi guardiamo con google earth era impensabile.

      Pensate poi a cosa sarebbe successo se, in contemporanea con l'abbreviarsi delle distanze (= globalizzazione), il miliardo e mezzo di cinesi invece di sviluppare l'industria e l'agricoltura in proprio ed esportare merci, avesse cominciato ad esportare persone affamate... questo per quei cretini dall'unica competenza per i quali la ciiiiina c'e' sempre stata e non e' mai stata un problema per l'occidente nella storia, mentre l'unico, vero, grande problema e' l'euro.

      Certo, non era un problema quando, pochi secoli fa, ci voleva un viaggio a piedi di anni per raggiungerla.

      Ora a guardare le proiezioni demografiche il problema grosso, specialmente per noi italiani, e' l'africa, e' previsto che nei prossimi decenni arrivera' da uno a tre miliardi di abitanti, quasi come l'asia, due miliardi piu' di adesso. Tutto l'incremento demografico e' previsto li', il resto del mondo e' a crescita zero, e noi siamo il piu' vicino porto appetibile.

      C'e' qualcuno che guarda all'attuale, in confronto risibile, problema dell'immigrazione tenendo conto di questa possibile e prevista imminente catastrofe?

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    2. La crescita demigrafica dell'africa puo' trasformarsi in una straordinaria opportunita' per l'italia, che da terra ai margini del mondo sviluppato, da cul de sac, si ritroverebbe di nuovo al centro di "dove le cose succedono", oppure in una immane catastrofe, specialmente se diamo ascolto a "quelli della decrescita" alla vandana shiva che fanno di tutto per tenere l'africa nella miseria della sussistenza (ci sono paesi che, sotto la loro nefasta influenza culturale, rifiutano persino le sementi ad alta efficienza, come se, di fronte agli eventi, ci fosse alternativa - ci sarebbe stata, forse, ma adesso non c'e' piu', si puo' solo andare avanti).

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    3. << C'e' qualcuno che guarda all'attuale, in confronto risibile, problema dell'immigrazione tenendo conto di questa possibile e prevista imminente catastrofe? >>

      Caro Diaz, mi pare ovvio che le due cose sono intimamente collegate.
      In effetti, l'attuale problema dell'immigrazione è senz'altro molto grave non solo per i numeri attuali (che già sono preoccupanti), ma per tutti quelli che facilmente seguiranno, una volta accertato che le nostre porte sono - con totale incoscenza - belle aperte per tutti.

      A quel punto parlare di decrescita apparirà (purtroppo) ridicolo: saremo costretti a cavalcare la crescita economica senza alternative, dovendo seguire, per necessità, la crescita demografica.
      Onestamente, non riesco ad immaginare come finirà, ma non sarà molto divertente.


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    4. "Onestamente, non riesco ad immaginare come finirà, ma non sarà molto divertente."

      L'unica alternativa alla guerra e alla moria generalizzata e' lo "sviluppo" dell'africa, in modo simile ma non necessariamente uguale a quello della cina.
      Forse si puo', anzi ci tocca sperare sulla possibile "rivoluzione" delle biotecnologie, che potra' aumentare ulteriormente la produttivita' della terra a parita' di superficie coltivata e risorse usate per coltivarla (questo significa, aumentare la produttivita', mentre il contrario significa diminuirla).

      Del resto quando l'"acqua tocchera' il culo", come si suol dire, la gente si dara' da fare da se', salvo quei periodi di demenza generale in cui sembra che l'unica cosa sensata da farsi sia la guerra.

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    5. "A quel punto parlare di decrescita apparirà (purtroppo) ridicolo"

      Parlare di decrescita e' gia' da adesso, ridicolo, il problema di cui sopra c'e' gia', quello che stiamo assaggiando e' solo il prologo, ed e' del tutto indipendente dai problemi climatici ed energetici, nel senso che ci sara' comunque, se l'africa restera' un'accozzaglia di disperati, dipendenti dagli aiuti occidentali. Il continente di per se' e' ricco di risorse, puo' far lo stesso che hanno fatto gli europei, aggiornato alle tecnologie sofisticate di adesso, che richiedono molta meno energia per ottenere lo stesso risultato, dove per risultato intendo condizione di vita soddisfacente, non auto+strade+ferrovie+mezzipubblici+aerei. Anzi, in questo gli africani, a detta di tutti quanti visitano l'africa, sanno vivere ed essere molto piu' felici di noi con molto meno gia' da adesso. E forse e' proprio per questo che sono rimasti ad uno stadio piu' "primitivo", perche' non sono eternamente insoddisfatti e infelici e lamentosi e rompicoglioni come l'europeo medio, qualunque livello di ricchezza e benessere egli raggiunga.

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    6. "una volta accertato che le nostre porte sono - con totale incoscenza - belle aperte per tutti"

      Chiuderle puo' facilitare molto il "lavoro" dei personaggi "alla hitler", non e' cosi' semplice ne' e' detto che sia molto lungimirante, data appunto la situazione, nuovissima, di oggettiva globalizzazione.
      Non c'e' alternativa allo "sviluppo", dove per "sviluppo" non e' da intendersi la stessa strada che ha percorso l'europa e l'occidente per arrivare fin qua dove siamo adesso, e da intendersi che ognuno deve trovare la sua strada.
      Diventano miserabili e invivibili i posti dove si impone troppo, sia in termini di crescita che di decrescita , come piace tanto ai nostri attuali decrescisti non a caso tutti nostalgici di regimi oppressivi e pianificatori di sinistra o di destra.

      L'italia e' diventata quello che e', un posto da cui scappare, per il prevalere di tali opinioni.

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    7. << Chiuderle puo' facilitare molto il "lavoro" dei personaggi "alla hitler >>

      Può darsi. Ma anche il non chiuderle può portare allo stesso risultato.
      Quando il tuo territorio diventa ingestibile, per eccesso (e confusione) di popolazione, qualunque pugno di ferro che ti prometta il controllo sociale ti può sembrare la cosa più desiderabile.

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    8. Mah, resta il fatto che il mondo sta oggettivamente diventando un piccolo villaggio globale. Cio' rende fra l'altro impossibile la differenziazione per isolamento geografico, e non basta chiudere i confini fisici, bisognerebbe chiudere anche quelli virtuali: la vedo dura.

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  2. << Per Rifkin l'empatia sembra essere un concetto chiave >>

    Caro Sergio, sono convinto che l'empatia sia effettivamente un concetto importantissimo nell'interazione umana.
    E questo sotto due diversi aspetti.

    Da un lato rappresenta un grande strumento cognitivo, in quanto ci consente di capire meglio cosa pensano e desiderano 'veramente' le altre persone intorno a noi e comportarci quindi in maniera più adeguata.

    Dall'altro lato, però, è una fonte di stress aggiuntivo, perchè ci fa partecipare attivamente anche alle sofferenze altrui (come se non bastassero le nostre).

    Da quello che vedo, comunque, le persone poco empatiche se la passano maluccio, perchè non riescono mai ad entrare veramente 'in fase' con il prossimo e quello che non soffronto per empatia lo soffrono (maggiorato) per mancata comprensione.

    Quindi viva l'empatia e fortunato chi (per buona sorte) ne risulta adaguatamente dotato.

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  3. Ovviamente l'empatia funziona solo con i problemi semplici, quelli pratici di tutti i giorni, che tutti abbiamo vissuto e quindi possiamo facilmente comprendere.
    Se passiamo invece all'aspetto etico del nostro pensiero, si rischia di parlare 'lingue' diverse e l'empatia non funziona più molto bene.

    Ecco cosa dice in proposito Alfred Ayer:
    << Le frasi che esprimono giudizî morali non dicono nulla. Sono pure e semplici manifestazioni di sentimenti prive di qualsiasi rapporto colle categorie di vero e falso (…).

    Se il nostro interlocutore ha ricevuto un imprinting diverso dal nostro, per cui, anche concordando interamente sui fatti, continua a dissentire sul valore morale delle azioni esaminate, abbandoneremo il tentativo di convincerlo cogli argomenti.

    Diremo che è impossibile discutere con lui perché ha un atteggiamento morale distorto o immaturo; e ciò significa soltanto che si rifà a un insieme di valori diverso dal nostro. >>

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    1. "Sono pure e semplici manifestazioni di sentimenti prive di qualsiasi rapporto colle categorie di vero e falso"

      Anche per questo forse conviene risalire all'originale, cioe' Hume:
      http://www.homolaicus.com/teorici/hume/hume.htm
      Mi pare che vi avevo gia' suggerito questo link, e' interessante in quanto dice piu' sull'autore, evidentemente marxista, che sull'argomento trattato.

      Marx, cioe' il determinismo materialista piu' ottuso applicato alla lettera ma solo fino a quando serve a sostenere i propri pregiudizi metafisici: oltre, diventa corrotta filosofia borghese.

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    2. Direi che l'impossibilità di empatia in materia etica, assomiglia tanto alla mancanza di comprensione in materia religiosa.
      Tutti quelli che parlano (magari anche con convinzione) di 'dialogo inter-confessionale' non sanno di aver appena formulato un ossimoro.

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    3. Mah, l'empatia e' tanto istintiva quanto l'antipatia: le ragioni etiche, religiose, economiche, politiche, che si escogitano per fare a botte, puo' darsi che siano solo dei pretesti: in particolare il materialismo dialettico e la lotta di classe fino a ieri, l'uso dell'energia l'inquinamento e la produzione di co2, puo' darsi, da domani.

      Il naturale sbocco dell'isteria ambientalista sara' la guerra contro chi non si assimila al salvataggio del mondo secondo il canone pre-fissato dai dottori del momento.

      Nulla di nuovo.

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    4. << Il naturale sbocco dell'isteria ambientalista sara' la guerra contro chi non si assimila al salvataggio del mondo secondo il canone pre-fissato dai dottori del momento. >>

      Può darsi, ma non ne sarei così sicuro.
      Non so perchè, ma io associo all'ambientalismo anche la tendenza al pacifismo.
      Mi sbaglio ?

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    5. Secondo me si', sbagli, non bastano le buone intenzioni, e i nostri ambientalisti/pacifisti se sono maestri in qualcosa e' nel non avere molta dimestichezza nel collegare le cause con gli effetti, soprattutto perche' sono tendenzialmente fissati su un solo argomento e non vedono nulla di tutto quello che succede intorno, per cui non sono in grado, o meglio lo sono ancora meno degli altri, di prevedere le conseguenze che per loro sarebbero del tutto inaspettate, delle loro speranze e eventuali azioni.

      Credere di capire il mondo e di poterlo dirigere e' molto facile quando lo si riduce deterministicamente (nota: riduzionismo, determinismo) a poche variabili apparentemente facili da manipolare, verso le quali si e' di solito gia' emotivamente inclinati, tagliando fuori tutto il resto, fra cui anche le conseguenze antipatiche del proprio pensare e agire. La storia e' tutto un susseguirsi di schemi cosi'...

      L'unione sovietica sopravvisse per decenni al mortifero determinismo riduzionista e pianificatorio solo perche' aveva una fiorente economia sommersa, basata sul baratto, che teneva in piedi il sistema fornendo la necessaria elesticita'.

      Esattamente come l'italia di oggi.

      E' ora il momento solenne della "reductio ad hitlerum" ;)...

      Hai mai sentito i discorsi (veri) di hitler?
      Piu' pacifista, ambientalista, animalista, vegetariano, per l'armonia universale, di lui, che non voleva aggredire nessuno, ma solo una situazione di pace e prosperita' per il suo popolo e pure gli altri, non c'era nessuno. Il grande successo che ha avuto non l'ha avuto perche' era un delinquente manifesto, benche' perche' ha saputo intortare molto bene se stesso e gli altri.

      https://it.wikipedia.org/wiki/Reductio_ad_Hitlerum

      Ovviamente quest'ultima parte e' uno scherzo in quanto rivolta a te (ma non a molti altri!), quanto detto prima no.

      Per rispondere anche a quanto piu' sotto, di non essere marxista non sarei cosi' sicuro: il pensiero marxista, come degenerazione, o forse necessaria evoluzione dell'illuminismo a partire dal Comte gia' citato, e come descritto sopra, e' ubiquitario, secondo recenti indagini la maggioranza dei professori universitari americani si autodefinisce marxista! Economicismo, tecnicismo, riduzionismo, determinismo sono i suoi principali ingredienti: ovvio che i nuovi sacerdoti, detentori di tale sapere, lo esaltino.

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  4. Per quanto riguarda i vari stadi di sviluppo dell'umanita', forse conviene rifarsi all'originale, ovvero quel mattoide all'origine dello scientismo che alla fine scopri' le sue carte fondando la Religione Atea della Chiesa Positivista:

    https://it.wikipedia.org/wiki/Auguste_Comte

    Per quanto riguarda l'empatia che risulta dall'allargamento della connessione "energetica" (e dàgli con la fissa dell'energia), ma dove la vede? Io ci vedo il moltiplicarsi delle occasioni di conflitto.

    L'autore se si fosse dedicato a esercitare il mestiere per cui forse e' preparato, cioe' il ragioniere commercialista, sarebbe stato meglio per tutti.

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  5. << e dàgli con la fissa dell'energia >>

    No guarda, Diaz, su questo punto proprio non ti posso seguire.
    Io sono fermamente convinto (come Rifkin, come Ugo Bardi e come molti altri) che la storia dell'umanità è la storia dell'energia e che tutte le sovrastrutture culturali e sociali (per usare un termine caro a Carletto Marx) sono figlie dirette dell'energia disponibile, dei suoi limiti fisici e delle sue esigenze gestionali.

    Posso essere d'accordo con te che Rifkin abbia scritto molte cose banali o poco centrate, ma il suo ENTROPIA, in cui per l'appunto traccia le basi della storia energetica dell'umanità, è un libro che merita di essere letto e riletto.

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    1. "la storia dell'umanità è la storia dell'energia"

      Non necessariamente in senso evolutivo: si potrebbe al contrario osservare che da quando ha grandi disponibilita' di energia l'essere umano ha smesso di evolvere. A meno che non si intenda per "evolvere" la capacita' di usare sempre piu' energia (che e' propro il caso dei nostri, temo), ma questa sarebbe una tautologia.
      L'essere umano si e' interamente evoluto prima.

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    2. CHe poi la storia dell'umanita' che dipende dall'energia e' la "storia" per antonomasia: quella delle guerre.
      Data delle battaglie, chi vince, chi perde, chi conquista, chi recede: l'aspetto piu' deteriore e meno che animalesco dell'umanita', per il quale non provo alcuna simpatia e tantomeno interesse.

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    3. << la storia dell'umanita' che dipende dall'energia e' la "storia" per antonomasia: quella delle guerre >>

      Esattamente.
      La storia evolutiva dell'uomo, come dici giustamente tu, è finita ormai da tempo ed è incominciata quella socio-politica che tanto ci appassione.

      Quella, appunto, delle guerre, le quali peraltro (nonostante la fissa scolastica per condottieri e battaglie) restano episodi abbastanza secondari, ed hanno sicuramente meno importanza delle questioni geo-politiche che le hanno fatte scoppiare.

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    4. "ed hanno sicuramente meno importanza delle questioni geo-politiche che le hanno fatte scoppiare"

      Questa e' la visione materialistico-deterministica marxista di cui siamo impregnati, solo una delle visioni possibili, che ha il piccolo difetto di non tener conto della peculiarita' dell'uomo, particolarmente evidente nel mondo (post)moderno, quasi del tutto "artificiale": ricreare la realta' attraverso la capacita' immaginativa. La sovrastruttura e' la struttura. Il pensiero marxista stesso, nonostante la sua pretesa di porsi come metapensiero al di sopra di tutti gli altri, ne e' la prova.

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    5. << Questa e' la visione materialistico-deterministica marxista >>

      Io, ovviamente, non sono marxista.
      Ma nel materialistico-determinista mi ci ritrovo abbastanza.

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  6. << Per rispondere anche a quanto piu' sotto, di non essere marxista non sarei cosi' sicuro: il pensiero marxista, come degenerazione, o forse necessaria evoluzione dell'illuminismo a partire dal Comte gia' citato, e come descritto sopra, e' ubiquitario >>

    Caro Diaz, prendo per buona questa tua considerazione, perchè in effetti siamo sempre un po' di più (e di diverso) da quello che pensiamo.

    Per cui, se Croce poteva dire che "non possiamo non dirci cristiani" (e forse è vero anche per noi atei occidentali), altrettanto si potrebbe forse dire del marxismo, che forse è diventata una categoria mentale anche per chi marxista non è.

    Però al pensiero marxista, manca la comprensione profonda del darwinismo, nel significato genetico moderno datogli da Dawkins, il che ha portato il marxismo al ridicolo vagheggiamento dell'uomo nuovo, con l'inevitabile tracollo.

    Ecco, parlando per me stesso, nella misura in cui sono un neo-darwiniano duro e puro, non posso essere anche un marxista involontario.

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  7. Mah, pare che Darwin abbia avuto l'intuizione della selezione naturale proprio dal contatto col pensiero di Marx.

    Ma i due caposaldi del darwinismo sono la variazione casuale e la selezione naturale.

    Il determinismo credo sia incompatibile con il primo dei due.

    I marxisti inconsapevoli di oggi si riconoscono proprio per la negazione dell'importanza della casualita' nella storia, tanto che danno significato opposto al termine "storicismo" rispetto ai non marxisti: per i marxisti storicismo significa ineluttabile progresso verso un unico futuro predeterminato, per i liberali (Croce) storicismo significa al contrario lo svolgersi di un processo unico che si dipana in modo non prevedibile da alcuna teoria onnicomprensiva, ma solo da descrizione appunto "storica" cioe' a posteriori.

    La storia della vita sulla terra e' assolutamente da annoverarsi fra i processi storici intesi in senso crociano e non marxista, processo in cui ogni punto del tempo puo' introdurre biforcazioni casuali che determinano in modo completamente diverso il dipanarsi dell'intero futuro, che e' quindi "determinato" in un senso molto limitato e particolare, perche' non prevedibile non per nostra limitatezza e ignoranza, ma in modo intrinseco.

    Se di determinismo si tratta, e' del tutto indeterminato, quindi.

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  8. << La storia della vita sulla terra e' assolutamente da annoverarsi fra i processi storici intesi in senso crociano e non marxista, processo in cui ogni punto del tempo puo' introdurre biforcazioni casuali che determinano in modo completamente diverso il dipanarsi dell'intero futuro. >>

    Senza dubbio, ma una cosa (casualità) non esclude l'altra (determinismo).
    Nel senso chè i due elementi, ancorchè formalmente opposti, possono benissimo coesistere, sommandosi tra loro, nel processo storico o evolutivo.

    Non per nulla il grande Jacques Monod, uno dei miei biologi preferiti, ha intitolato la sua opera più importante (che spero tu abbia letto) IL CASO E LA NECESSITA'.

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    1. "possono benissimo coesistere"

      Coesistono ma per niente benissimo, il determinismo meccanicista fa a pugni con la casualita', a meno che non ci si accontenti di un determinismo molto debole, probabilistico. Che e' caratteristico della scienza moderna, peraltro, il rigido determinismo meccanicista newtoniano che sembrava funzionare perfettamente ad ogni scala abbiamo ben scoperto essere del tutto inadeguato a descrivere il funzionamento delle particelle, proprio quelle che custodiscono il nostro matrimonio genetico.

      E non si pensi che cio' non abbia effetti immediati, anche drammatici, a livello macroscopico: dove si materializza, secondo distribuzioni di probabilita', un raggio cosmico, puo' definire dove cada e dove no un terribile fulmine a ciel sereno.

      La questione non e' banale, l'atto creativo, alla fine, fa parte del dominio del caso, non della necessita'. Non per niente lo chiamiamo anche atto libero. Del resto senza di esso ogni nostro atto sarebbe futile e non avrebbe alcun senso neppure in questa discussione, che d'altra parte potremmo percio' interrompere, smentendo pero' l'ipotesi.

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  9. << il determinismo meccanicista fa a pugni con la casualita' >>

    Con la casualità quantistica sicuramente sì.
    Ed infatti il senso profondo della fisica quantistica, con i suoi eventi intrinsecamente casuali, è ancora tutto da scoprire; ma qui si finirebbe OT (anche perchè le mie nozioni in materia sono minime).

    Se però parliamo della casualità nel significato comune del termine, il determinismo newtoniano non viene per nulla scalfito, in quanto quella che noi chiamiamo 'casualità' è solo l'impossibilità pratica di fare una previsione.

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