giovedì 24 dicembre 2015

Non aprite quella porta !

LUMEN – Messer Vasari, buongiorno. Voi avete dedicato la vostra vita a narrare di arte e di artisti.
VASARI – Gli è vero.

LUMEN – Di grandi artisti e di grandissime opere d’arte. 
VASARI – Le più grandi del mondo, ovvia.

LUMEN - Cosa pensate dell’arte moderna ? Ed in particolare della scultura ?
VASARI – Davvero poco di bono. Gli è pieno di birboni che si approfittano della credulità della gente.

LUMEN – Avete qualche storia divertente o curiosa da raccontare ?
VASARI – Tantissime, ne avrei. Ma la mia preferita gli è quella della porta di Duchamp.

LUMEN – Bene. Raccontatela, allora, che siamo curiosi.
VASARI – Siamo nel giugno 1978. Gli operai, che stanno finendo di dipingere i padiglioni della Biennale d'Arte di Venezia, si accorgono che c'è ancora una vecchia porta da verniciare. In quattro e quattr'otto, dato che c'è poco tempo perché l'inaugurazione è ormai prossima, la dipingono tutta bianca, così la porta risplende come se fosse nuova.

LUMEN – Un lavoro da professionisti.
VASARI - Non potevano sapere, quei ragazzotti coi pennelli in mano, che avevano verniciato niente meno che un' opera d' arte.

LUMEN – Un’opera d’arte ? Una scultura ?
VASARI – Non saprei se possa essere definita una scultura. Comunque era una porta in legno del dadaista francese Marcel Duchamp, prestata alla Biennale di Venezia per la mostra “Dalla natura all'arte e dall'arte alla natura“ e debitamente assicurata - come opera d’arte - per duecentomila dollari.

LUMEN – Oh, santo cielo !
VASARI – In effetti la porta, alta 2 metri e 20 per 62 centimetri di larghezza, aveva proprio bisogno di una ritoccatina, perché nel 1978, quando venne messa in mostra, compiva 51 anni.

LUMEN – Addirittura.
VASARI – La porta risaliva infatti al 1927 e proveniva da una casa di Rue Larry a Parigi, dove Duchamp aveva abitato. L'artista, che era noto per il suo temperamento dissacratorio, amava infatti trasportare fuori dal loro contesto abituale gli oggetti di uso comune, ironici o assurdi, sostenendo che in questo modo persino un orinatoio rovesciato - e lui una volta lo presentò davvero - poteva diventare un' opera d' arte.

LUMEN – Povera arte…
VASARI - Convinto che l'arte sia un mezzo per auto-intossicarsi (come l'oppio), Duchamp era stato protagonista di numerose provocazioni, come quella volta che portò in America delle sfere di vetro riempite di aria di Parigi, o come quando si mise a costruire dei complicati meccanismi assolutamente privi di una qualsiasi utilità.

LUMEN – Immagino che qualche critico compiacente avesse già dato un nome, magari altisonante, a questa specie di corrente artistica.
VASARI – Certamente. L’avevano definita “Nichilismo estetico”.

LUMEN – Bellissimo. Ma torniamo alla nostra Biennale.
VASARI - All' esposizione d'arte del 1978, ideata da una commissione composta da famose personalità del mondo dell’arte, c'erano due opere di Duchamp: uno “scolabottiglie” e, appunto, la “Porte, 11 Rue Larrey, Paris”.

LUMEN – Anche l’idea dello scolabottiglie non è male.
VASARI – La porta era stata strategicamente piazzata nel “Padiglione Italia”, in posizione di angolo fra due locali, in modo che desse vita ad un curioso gioco, con una stanza che restava con la porta sempre chiusa e l' altra con la porta sempre aperta o viceversa.

LUMEN – Sarà anche divertente, ma l’arte cosa c’entra ?
VASARI – E chi lo sa ? L' allestimento però era così realistico che trasse in inganno i pittori del colorificio G. che stavano dipingendo il padiglione nei giorni frenetici della vigilia, e che di fronte a quella vecchia porta il legno non ebbero dubbi nel decidere che occorreva, e subito, una bella mano di bianco.

LUMEN – E dopo il “sacrilegio” cosa successe ?
VASARI – Successe che il padrone della porta, il collezionista romano F.S., fece causa alla Biennale, e l'ente a sua volta tirò in ballo il colorificio G. e poi – essendo l’opera assicurata – le sei compagnie di assicurazioni coinvolte.

LUMEN – Immagino che, tra perizie e controperizie, la causa sia andata avanti per un bel pezzo.
VASARI – Sì. La causa è durata in tutto nove anni, e alla fine i giudici del Tribunale di Venezia hanno dato ragione al proprietario della porta (pardon, dell'opera), condannando l'ente culturale veneziano ad un risarcimento di quattrocento milioni di vecchie lire.

LUMEN – Che botta ! E i poveri operai ?
VASARI – Ne sono usciti senza danno. I giudici hanno deciso infatti che la colpa non era né degli operai né del colorificio, ma solo della Biennale per la leggerezza e la mancanza di diligenza nella direzione dei lavori e perché non avvertì i dipendenti del colorificio dell'esistenza dell' opera d' arte.

LUMEN – Beh, una vera opera d’arte non dovrebbe avere bisogno di cartelli.
VASARI – Sono d’accordo.

LUMEN – Ma la porta, in fondo, non era andata distrutta: era stata danneggiata solo superficialmente.
VASARI – Ma era stata alterata. Nel corso della causa, i giudici veneziani avevano chiesto una perizia sull’opera al professor R.D.G., il quale aveva così concluso: ”Siamo di fronte ad un vecchio oggetto mitizzato e sacralizzato che ha un senso artistico solo in quanto quella vecchia porta, sporca e insignificante, è stata a suo tempo utilizzata da Duchamp che l'ha firmata e datata, dandole da quel momento in poi un valore di feticcio”.

LUMEN – E quindi ?
VASARI – Quindi, secondo il Tribunale di Venezia, l'imbrattamento della porta di Duchamp, con la parziale abrasione della firma e della data, e la perdita della patina originaria, avevano costituito un nocumento irreparabile al pregio dell'opera, traducendosi in un grave danno economico, sicuramente risarcibile.

LUMEN – E come venne stato calcolato, in concreto, il danno subito dal proprietario collezionista ?
VASARI – Venne quantificato – un po’ salomonicamente, direi - nella metà del valore a suo tempo assicurato, trasformato in lire. A questo si sono poi aggiunti gli interessi maturati nel frattempo, fino ad arrivare così alla somma indicata nella sentenza.
 
LUMEN – Quindi, correggetemi se sbaglio, il signor collezionista di cui sopra, senza perdere la sua preziosa porta di Duchamp, si è ritrovato con un risarcimento economico milionario, tanta pubblicità intorno al suo nome e, per soprammercato, anche una bella riverniciata gratis. 
VASARI – Proprio così.
 
LUMEN – E poi dicono che l’arte moderna non rende….

14 commenti:

  1. Divertente. Un racconto di Natale un po' diverso. Ma cos'è un'opera d'arte? Per Alberto Savinio il "bello" è un concetto superato. Un'opera dev'essere interessante e per esserlo deve essere una novità, una cosa mai vista prima. La Venere di Botticelli? Ma scherziamo! Per carità! La porta di Duchamp invece sì che è attraente. Intanto è una novità assoluta, una genialata che strappa almeno un sorriso. È già qualcosa. La Venere suddetta invece ci fa solo sbadigliare. Ma se il bello è ormai obsoleto e vogliamo solo novità, tutto il nuovo è arte. Anche l'ultima versione di smartphone (che emozione, anvedi le nuove funzioni, che bello!). Botticelli chi?
    Viva il progresso, basta coi musei e col vecchiume. Non dice Gesù o suo padre: "Ecco, io rinnovo tutto."
    Buon Natale!

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    1. Ho dovuto reiscrivermi a Google e siccome il sistema respingeva "Sergio" (già assegnato!) mi sono ribattezzato SergiodiSennwald (che non mi piace, pazienza).

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    2. Beh, il nuovo nick brutto non è; forse è solo un po' troppo lungo.
      Però ha un suo fascino: fa venire in mente certi intellettuali o artisti mitteleuropei.

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  2. << Ma cos'è un'opera d'arte? >>

    Caro Sergio,
    in effetti è un gran bella domanda, che mi ha sempre intrigato molto.
    E in uno dei prossimi post penso di darti la mia versione (ci sto ancora lavorando).
    Per il momento accontentati di ammirare le porte (o magari anche le finestre) di casa tua...

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    1. A proposito guardate qua cosa ho trovato, non sono solo gli arabi che vivono di rendita del petrolio senza fare un cazzo:
      http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/alaska-zzi-amari-petrolio-caduta-libera-mette-fine-sogno-115711.htm
      E noi paghiamo le accise sulla benzina per mantenerli...

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    2. La ricchezza del petrolio, facile, immediata ed apparentemente illimitata, è terribile per una nazione.
      Prima dà e poi, improvvisamente, toglie.
      E i cocci sono maledettamente taglienti.

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    3. Vale per tutte le bolle.
      Comunque mi pare che noi qua ci tagliamo coi cocci anche senza petrolio, e che grazie a quei coglioni di ecologisti/pauperisti ci becchiamo tutte le miserie del poi senza esserci nemmeno goduti le meraviglie del prima. Vi diro' che a frequentare certi blog ho sempre di piu' la sensazione di capitare in mezzo a dei fondamentalisti religiosi, ma di quelli squinternati forte. Sapete, quei gruppi in cui si instaura la dinamica per cui tutti si danno ragione, e si danno di gomito indicando la pazzia degli altri che non hanno ancora capito. Di quelli che non sono stati ancora illuminati. Che due palle.

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    4. Sono meccanismi psicologici ben conosciuti, che, secondo me, costituiscono il succedaneo delle vecchie identità tribali (che almeno avevano una base genetica).
      Il "noi contro loro", in fondo, è alla base di quasi tutte le nostre manifestazioni politiche e di buona parte di quelle culturali.

      (P.S. - ovviamente il mio nick non ha nulla a che vedere con i suddetti "illuminati").

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    5. Infatti, e' il meccanismo del capro espiatorio.

      Anche nelle scuole animali, pardon elementari e medie, c'e' sempre uno zimbello.

      Io personalmente, nel lavoro per cui giro un po' nei limiti del raggio della mia bicicletta, ho sempre notato che nelle realta' aziendali dove c'e' un capo stronzo i dipendenti si coalizzano e "fanno gruppo", dove e' buono, non coalizzandosi contro di esso, si fanno la guerra fra loro. Oppure ho notato che nei gruppi a gerarchia orizzontale, a turno uno viene preso di mira dalle maldicenze degli altri.

      Siamo delle brutte bestie, senza offesa per quelle vere. Certo che se fossimo fatti a somiglianza di un Dio, non vorrei esserne uno.

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    6. Certo che la storia dell'uomo fatto "a immagine e somiglianza di Dio" è una delle affermazioni più tragicomiche di tutta la Bibbia.

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  3. Gombrich comincia il suo "la storia dell'arte", che ho qui sottomano, con "Non esiste in realta' una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti: uomini che un tempo disegnavano bisonti sulle pareti di una caverna e oggi decorano con affissi pubblicitari le pareti di una metropolitana."

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    1. Caro Diaz, non voglio assolutamente mettermi a discutere con Gombrich (che è sicuramente un grande).
      Però uno dei miei pallini personali è che se esiste una parola, deve esistere anche una definizione.
      Probabilmente la mia definizione di "arte" non vi piacerà (excusatio non petita...), ma sarà un piacere discuterne con gli amici del blog.

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    2. Non aver letto il gombrich in oggetto, io che passo parte della mia stupida vita a discutere con cretini di stupidi blog (non questo, ma tutti gli altri o quasi) e' un cruccio di cui non mi pentiro' mai abbastanza.

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    3. Gombrich me lo ha fatto conoscere una mia parente, appassionatissima di arte e pittrice dilettante (ma brava).
      Di lui però ho letto solo un paio di volumetti.

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