sabato 9 maggio 2015

Di gracile Costituzione - 1


La Costituzione della Repubblica Italiana è la nostra legge fondamentale e risale, come noto, al 1947.

A fianco della Costituzione formale, però, grazie all’alacre, diuturno ed indefesso lavoro dei nostri politici, si è sviluppata in questi decenni anche una c.d. Costituzione Materiale, che ha finito per modificare sensibilmente, nel concreto, quanto previsto dal testo ufficiale.
Quello che segue è un tentativo (molto modesto, ovviamente) di reinterpretare il testo della Costituzione formale alla luce di quella materiale. LUMEN


COSTITUZIONE della REPUBBLICA ITALIANA
Principi fondamentali

Art. 1 - L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Lum. - L'Italia è una Repubblica elettorale, fondata sul lavoro di qualcuno, a beneficio di qualcun altro.
La sovranità appartiene ai ricchi ed ai potenti, che la esercitano tramite gli organi dello Stato previsti dalla Costituzione.


Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Lum. - La Repubblica riconosce e garantisce l’inviolabilità dei ricchi e del potenti, sia come singoli sia nelle associazioni di cui fanno parte, e richiede l'adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale a tutti gli altri.


Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Lum. – I cittadini hanno diversa dignità sociale e sono diversi davanti alla legge secondo la ricchezza ed il potere, ferme le ulteriori distinzioni vigenti in materia di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica fingere di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale esistenti, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono giustamente il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.


Art. 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Lum. - La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto a cercarsi un lavoro e promuove le condizioni che rendano meno disagevole le code all’ufficio di collocamento..
Ogni cittadino che non trova lavoro ha il dovere di svolgere, secondo le circostanze, un'attività di volontariato che concorra al vantaggio economico di qualcun altro.


Art. 5
La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.

Lum. - La Repubblica, formalmente una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali onde moltiplicare i centri di potere; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo allo scopo di incrementarne i costi; adegua la sua legislazione alle esigenze di maggiori spese rese necessarie dall'autonomia e dal decentramento.


Art. 6
La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.

Lum. - La Repubblica prevede apposite complicazioni normative, ed appositi capitoli di spesa, in presenza di minoranze linguistiche,


Art.7
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.

Lum. – La Chiesa Cattolica ed i suoi Ordini sono, nei confronti dello Stato, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, richieste dalla Chiesa Cattolica ed accettate dallo Stato Italiano, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.. 


Art. 8
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

Lum. - Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge, anche se quella Cattolica è più uguale delle altre.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, purché non contrastino con le esigenze e gli interessi della Chiesa Cattolica.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze, previo nulla osta della Chiesa Cattolica.


Art. 9
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Lum. - La Repubblica promuove lo sviluppo di appositi organismi, purché inutili e costosi, nel campo della  cultura e della ricerca scientifica e tecnica.
Può elaborare piani per la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione, senza obbligo di attuazione.


Art. 10
L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l'estradizione dello straniero per reati politici.

Lum. -  L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale, salvo che siano di ostacolo alla tutela dei ricchi e dei potenti.
La condizione giuridica dello ‘straniero irregolare’ è stabilita dalla legge, in conformità alle esigenze della Chiesa Cattolica..
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'esercizio del culto cattolico, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, purché a spese dello Stato e non della Chiesa.
Non è ammessa l'estradizione dello straniero, qualora risulti amico di un ricco o di un potente.


Art. 11
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Lum. - L'Italia accetta la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, qualora le venga  richiesto da un organismo internazionale; consente, in condizioni di subordinazione con gli Stati Uniti, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri il controllo delle fonti petrolifere; accetta e favorisce le organizzazioni occidentali rivolte a tale scopo.


Art. 12
La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.

Lum. - La bandiera della Repubblica è il vessillo bianco, simbolo della resa.

30 commenti:

  1. Be', effettivamente tra Costituzione formale e materiale ci sono vistosissime contraddizioni, almeno nella Costituzione materiale secundum Lumen (che però mi sembra un po' cattivello, con tutti quei "ricchi e potenti" all'opera).

    Inevitabilmente una Costituzione formale non può non ricorrere a termini altisonanti e vuoti. Già quel primo punto: "repubblica fondata sul lavoro" lascia perplessi o fa ridere. Quale lavoro? Chi lo crea il lavoro, lo Stato e/o gli imprenditori? E se il lavoro non c'è che facciamo? Accordi con gli altri Stati - come fece De Gasperi - per favorire l'emigrazione perché secondo lo statista l'Italia - udite, udite - era "sovrappopolata" (parola di bigotto democristiano!).
    Ma se la repubblica è poi fondata sul lavoro significa che tutti - senza eccezione - devono lavorare e portare uno stipendio a casa? È severamente proibito non fare niente, i nullafacenti saranno internati od obbligati a fare i lavori sporchi ma necessari per il bene comune? Ma se nonostante questo qualcuno restasse a spasso? Be', allora che si fotta e non rompa il cazzo, è un inutile parassita di cui l'Italia può fare a meno (si consiglia vivamente di emigrare).
    Chi lavora deve poi essere un autentico Stakanov, solo così l'Italia potrà prosperare, accumulare ricchezze con cui assicurarsi - strappandoli alla concorrenza internazionale - quei bene assolutamente indispensabili (per continaure a lavorare e battere la concorrenza - viviamo infatti in un mondo in cui tutti vogliono battere la concorrenza, cosa che sencondo me non può funzionare - ma non sono un esperto).
    Fra parentesi, non ci sono anche lavori non solo assolutamente inutili e idioti, ma anche nocivi (per es. nell'amministrazione statale). E poi: il lavoro serve all'uomo o l'uomo vive per lavorare.
    Secondo me la Costituzione formale doveva almeno illuminarci sul concetto di lavoro.
    Ah, poi c'è anche il diritto al lavoro. Non si dice però che se è un diritto deve essere per forza obbligatorio (bisogna contribuire al benessere della nazione, è un dovere). Cittadini a spasso non possono essercene. La nostra è ormai una civiltà di soli diritti, di doveri non parla più nessuno (ma si capisce che ci sono anche i doveri, è ovvio, non è nemmeno il caso di parlarne - appunto).

    Ma che dire poi di tante altre belle e sublimi trovate (eppure i costituenti di allora erano persone serie, impegnate, persino idealiste, sgobbarono sulla costituzione, discussero "ad alto livello", perché intelligenti e idealiste)?

    (continua)

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    1. (continuazione)

      Art. 3 "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge ecc."
      Sì, col cazzo, sta a vedere che un Pinco Pallino qualsiasi ha pari dignità di un porco comunista che ha scalato il potere.

      Questo passaggio poi, sempre dell'Art. 3 ha poi addirittura del sublime:

      "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."

      Se lo facesse o l'avesse fatto dovremmo essere oggi tutti più o meno uguali, informati, maturi, benestanti, soddisfatti, chissà anche felici di tanto in tanto e non sempre ringhiosi e incazzati.
      Ma forse l'articolo non è da prendere alla lettera, è solo una pia intenzione ed irrealizzabile.
      E se invece mi sbagliassi? Se avessimo finalmente energia abbondante e a basso costo (ah, avessimo sviluppato il nucleare - ma faremmo ancora a tempo del resto) potremmo essere tutti dei Paperoni o Berlusconi.

      Fra parentesi: ma lo vogliamo capire o no che la Costituzione italiana non solo non è la più bella del mondo (dato il fatale inizio sul lavoro), ma non è neppure più valida perché l'Italia aderendo all'UE ha perso la sua sovranità e quindi la Costituzione è almeno in parte obsoleta. È sottoposta al Trattato di Lisbona, come si è ribattezzata senza sostanziali combiamenti, la Costituzione europea bocciata sonoramente da Francia e Olanda. Del resto quando non sanno più che pesci pigliare i nostri prìncipi, a cominciare dall'ex comunista pentito e arricchito Napolitano, ci dicono: "Ce lo chiede l'Europa."
      Siamo in effetti così deficienti che ci conviene seguire le direttive dell'Unione.

      Ma quante altre cose che non vanno, per es. i rapporti tra Stato e Chiesa. Il Concordato non può essere non solo modifiicato, ma nemmeno annullato unilateralmente. Ci voleva un vero comunista come Togliatti per far approvare quella schifezza dell'Art. 7, un unicum in tutto il continente. Ma già, noi abbiamo il privilegio di ospitale la Santa Sede (ma com'è che non eleggono più un papa italiano? Prima il soglio era nostro appannaggio, il papa era per definizione un italiano, adesso invece ... Non ci considerano più ...).

      Comunque coraggio, in qualche modo ci arrangeremo.


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  2. << Comunque coraggio, in qualche modo ci arrangeremo. >>

    Ben detto. Non per nulla il simbolo della Repubblica è lo Stellone.

    Certo, la mia satira è stata un po' cattivella, ma certe frasi vuote e altisonanti, rapportate alla realtà concreta, non ti fanno pensare che i padri costituenti vivessero un pochino sulle nuvole e che un po' di satira se la meritassero davvero ?
    A partire da quel "fondata sul lavoro", di cui non si capisce il vero significato, o dal recepimento masochista dei patti Lateranensi che tanto (giustamente) ci indigna.

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  3. Visto che vi scatenate, posto anch'io la mia che avevo gia' scritto ma mi sembrava un po' dura.

    Di tutta questa paccottiglia le due unica cose sensate e intelligibili sono:

    Tutti i cittadini sono eguali SOLO davanti alla legge.

    e

    La bandiera della Repubblica e' il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.

    Il resto e' insensato, velleitario, retorico e totalmente inutile, perche' si rifa' a definizioni che sono tutto fuorche' univoche e condivise (il lavoro ad esempio, cosa significa, fare fatica per guadagnarsi il paradiso con la sofferenza? Le altre cose, popolo, dovere, solidarieta', razza, soffrono della stessa ambiguita', senza definirle univocamente qualsiasi prescrizione su di esse significa tutto e nulla), e il tutto puo' avere un senso solo nel quadro della religione dello Stato Padre (non di Stato, DELLO Stato), che nella prima meta' del '900, tarda eta' dei nazionalismi ipertrofici, onniscienti e onnipresenti, si dava per scontata.
    Quindi e' una costituzione fascista, perche' presuppone un concetto paternalista di Stato che e' piuttosto fascista: ma per gli antifascisti in servizio permanente effettivo e' la costituzione piu' bella del mondo. Bah.

    Sul "lavoro" c'e' un bell'articolo di Pardo che esce a proposito:
    http://pardonuovo.myblog.it/2015/05/10/il-mestiere-socrate/

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    1. Delzioso l'articolo di Pardo. Ma bisogna anche aggiungere che siamo fatti (da madre natura) per muoverci, cercare il cibo, ingegnarci, insomma occuparci per non rimbecillire e atrofizzare i nostri organi.
      E nell'attività - ovviamente non troppo gravosa o massacrante - troviamo soddisfazione: è un piacere inspirare ed espirare (diceva Goethe). Certo vivere a sbafo e nelle mollezze - come Adamo o La Fontaine o lo Scrocco di Goldoni - ha una certa attrattiva. Ma alla lunga? No, laborare - oltre che navigare - necesse est. Ma con moderazione, mi raccomando.

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    2. E' da tempo che penso al problema.
      Quello che dici sopra succede nell'arte, nell'artigianato, non in quello che chiamiamo lavoro.
      Siamo l'unico animale, credo, per il quale l'attivita' che serve alla sopravvivenza non coincide col gioco e lo sport, ma diventa "lavoro", da dolore e sudore della fronte. Bel risultato, se a questo e' servita l'intelligenza.

      Forse quella che consideriamo unicita' dell'uomo, la capacita' artistica, e crediamo cominci a manifestarsi con i graffiti e le statuine preistoriche, e' invece l'ultimo manifestarsi del periodo in cui gioco, sport e arte, attivita' spontanee, stavano al posto del "lavoro", come per tutti gli altri esseri viventi.

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    3. Prima della cacciata dal paradiso della caccia e della raccolta di cui abbiamo gia' parlato, insomma. Grazie all'intelligenza.
      A conclusioni del genere stiamo arrivando da strade diverse, pare:
      https://www.youtube.com/watch?v=MmKLuAbJrPE

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    4. Oh mammia mia, io pensavo di averle sentite tutte, ma questa della costituzione fascista le batte tutte. Ma quale religione dello Stato, magari fosse così. Qui abbiamo un cadavere su cui chiunque, se può, pasteggia da più di 60 anni. Arriva un ometto con la richiesta più assurda e sfacciata del mondo, e può darsi un giudice di m dia ragione a lui e torto allo Stato. Arrivano clandestini di sponda, da tutte le sponde, li scaricano e la Marina più scema di sempre, dopo esserseli presi, restituisce il barcone a chi di dovere. Gli antifascisti la adorano questa costituzione perché se la sono fatta a loro immagine, non c è niente di strano.

      Il fascismo è fortemente identitario, l'ambiguità la lascia ai frocetti di sinistra. Le altre cose rimangono nell'ambiguità perché le loro signorie hanno rinunciato a definirle. Abbiamo un premier costituzionalmente debole, come riconosciuto da tutti i costituzionalisti. Proprio per marcare il distacco col fascismo.
      Ce ne vuole per non vedere lo stacco segnato dalla fine della seconda guerra mondiale.

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    5. Caro Francesco, certo il distacco nella leadership è nettissimo (dall'uomo forte ai tanti omini deboli), però il mito dello 'Stato mamma' che tutti aiuta e che a tutto provvede è rimasto intatto.

      Forse è una conseguenza del nostro carattere nazionale o forse deriva dal fatto che anche il social-comunismo, che tanta parte ha avuto nella stesura della Costituzione, aveva un culto dello stato non inferiore a quello fascista.

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    6. "Gli antifascisti la adorano questa costituzione perché se la sono fatta a loro immagine"

      A immagine di chi non ha mai capito che l'antifascismo non dovrebbe essere un fascismo di segno contrario.
      Comunque nulla di male ad essere fascisti, ognuno ha le sue opinioni: peccato che i fascisti questo non l'abbiano mai capito (e se ne vantino).
      Aggiungo una cosa che dovrebbe far meditare: i Romani, quelli antichi, perseguitarono i cristiani non perche' ad essere intolleranti erano i romani: perseguitavano i cristiani perche' questi non accettavano di rispettare altre religioni, altri credi ed altri stili di vita, cosa che hanno dimostrato nella pratica poi nei secoli successivi con l'intolleranza, i massacri e le distruzioni, ben peggiori di quelle dei talebani di oggi, di cui si sono resi responsabili.

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    7. "... perseguitavano i cristiani perche' questi non accettavano di rispettare altre religioni, altri credi ed altri stili di vita ..."

      L'intolleranza dei cristiani per altre fedi è venuta dopo. Inizialmente i crisitiani rompevano solo le scatole, anzi minacciavano l'autorità imperiale - e quindi l'ordine costituito - rifiutando l'ossequio.
      I martiri sono l'orgoglio della Chiesa, il loro sangue ha fecondato la terra. E se fossero stati invece semplicemente dei testardi che non volevano mollare (vuoi per non essere considerati traditori dagli altri credenti, vuoi per paura dell'aldilà)? Insomma, vittime delle loro stesse credenze.
      Mi piace comunque ricordare che le vittime cristiane non furono milioni, ma solo alcune centinaia (secondo E. Gibbon).
      Però è anche vero che i cristiani dopo si sono ampiamente rifatti. Già l'editto di Teodosio (398) è uno scandalo, altro che sacralità della vita.

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    8. Caro Lumen, Diaz parlava dello Stato-padre, tu registri invece un cambiamento di sesso, che è esattamente quello che noto io.
      Un conto è una dittatura paternalista, che sia Cesare o Mussolini; lo Stato "sa" quali sono i tuoi bisogni - cioé stabilisce d'imperio quali riconoscere - e si sente investito del dovere di prevenirli e risolverli.
      Un'altra cosa è lo Stato-mamma, che non è nel modo più assoluto una dittatura. Io non so dove Diaz veda questo fascismo di senso contrario. Lo Stato diventa il collettore ultrapassivo di ogni capriccio; può essere una delle sue istituzioni, una lobby o un movimento d'opinione a proporne, comunque per lo Stato si tratta solo di caricarsi di pesi, non piu di dettare legge.

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    9. Chissà, forse gli italiani gradiscono sia lo Stato-Padre (un uomo forte, decisionista, a cui disobbedire) sia lo Stato-Mamma (un dispensatore generoso, a cui attingere).
      Ma qui entriamo nell'antropologia culturale....

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    10. "per lo Stato si tratta solo di caricarsi di pesi, non piu di dettare legge"

      Non ci sono altro che leggi, regole, sanzioni, punizioni, multe, more... ma forse e' l'inflazione che ne diminuisce il valore... e la "rispettabilita'".
      Tempo fa sentivo una conferenza in cui parlava uno dei fratelli di Prodi, quello mi pare che fa lo storico, tutto sommato una brava persona, che diceva a grandi linee (ma non so se ho interpretato correttamente) che l'attuale impianto legislativo, che intromettendosi dappertutto finisce per togliere all'individuo ogni liberta' di scelta e dunque responsabilita', e' uno stravolgimento dell'intera tradizione giuridica occidentale, che ha sempre inteso lo Stato nient'altro che come un mezzo per impedire l'orientaleggiante satrapeggiare arbitrario dell'uomo piu' potente su quello piu' debole, e non come un sostituto ad esso per quanto rispondente alla volonta' di una "maggioranza popolare". A me pare che abbia ragione, che questa sia la situazione. Durante il fascismo c'era molta piu' liberta' (tranne quella politica, che tutto sommato puo' considerarsi un mezzo e non di per se' un fine), anche se solo perche' il controllo burocratico non era tecnicamente sofisticato come quello attuale, e non e' per amore di paradosso che lo dico.

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    11. "Stato-Padre (un uomo forte, decisionista, a cui obbedire) sia lo Stato-Mamma (a cui atttingere)"

      Le due cose sono correlate, dato che senza liberta' non esiste responsabilita': chi si arroga il diritto di decidere tutto ha anche la colpa e la responsabilita' di tutto: per questo una societa' troppo rigidamente regolata finisce per produrre una cittadinanza di irresponsabili incazzati col governo: non e' dato loro di poter essere altro.

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    12. Fran: "per lo Stato si tratta solo di caricarsi di pesi, non piu di dettare legge"

      Firm: "Non ci sono altro che leggi..."

      Ma questa non è una confutazione. Dettare legge non significa produrre molte leggi, ma sapersi imporre. Io posso anche dare mille ordini ai figli che non ho, colore dei nastrini per capelli, modo di allacciarsi le stringhe delle scarpe, modo di bussare quando tornano da scuola, e ogni possibile sciocchezza che possa venirmi in mente; e poi lasciarli liberi di non fare i compiti, di mangiare tutto quello che vogliono e quando vogliono, di non lavarsi i denti e cosi via. Non è il numero degli atti normativi, delle norme che essi contengono, o delle sanzioni a determinare il grado di libertà che un ordinamento contiene.
      Per esempio, io scriverei cosi una legge sulla fecondazione assistita: "Art.1. La procreazione medicalmente assistita è vietata in ogni caso. Tutti i trasgressori verranno puniti con l'impiccagione", fine della legge. Un articolo, un divieto, una sanzione. La famosa o famigerata legge 40 è ben più corposa, e per quanto possa essere stata arcivituperata in quanto illiberale, certo non arriva laddove vorrei arrivare io.
      Non è che il fascismo desse –politica a parte- maggiori libertà del sistema attuale. E’ che il mondo del 1930 è lontanissimo dal nostro. Molta più gente, spazi materiali e immateriali ridotti, nuove attività, competizione esasperata ovunque, società più complesse ovunque. E perciò infittimento normativo. USA o UK hanno avuto gli stessi processi, e li hanno avvertiti di più e prima rispetto a noi, come mostra la loro maggiore precocità nel processo di semplificazione normativa. Ma non è che americani o inglesi abbiano preso la brutta strada del fascismo dopo il ’45; è la modernità.
      Un tempo sarei passato ai controlli dell’aeroporto mescolando acqua e nesquik o quello che avrei voluto io in una bella bottiglia da 2 l, oggi me lo scordo. Ci sono prescrizioni e divieti quando prima invece ero libero di fare come volevo. Meno libertà di certo. Ma questo rende il nostro e gli altri ordinamenti meno liberali? Se rispondi di sì, prometto solennemente di non disturbarti più in futuro, ti lascerò discutere tranquillamente con Massimo e Sergio. Se esiste una necessità oggettiva, e non ideologica, di limitare o escludere una libertà pregressa, non si può parlare di fascismo.
      E spero tu ti renda conto del carattere retorico del tuo incipit “non ci sono che leggi...”; partendo dalla mia prospettiva, potrei dirti che non ci sono che diritti, facoltà e libertà.

      La motivazione della correlazione fra queste due identità di stato mi sfugge; senza libertà niente responsabilità, perfetto. Questa è la situazione di chi vive sotto una dittatura, paternalista o non paternalistica. Ma chi vive sotto la Stato-madre che si fa mungere a destra e a manca? Scusami tanto, ma l'ebetino ha preso il 40% dei voti alle europee, e la responsabilità è del gregge che lo ha votato. E a loro era stato dato di essere altro. Ancora siamo in democrazia, e si vede.

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    13. "Art.1. La procreazione medicalmente assistita è vietata in ogni caso. Tutti i trasgressori verranno puniti con l'impiccagione"

      Francesco non so che dire, se non che se a ognuno fosse consentito di punire con l'impiccagione un comportamento che non approva, in un paese come il nostro dove appunto ogni desiderio o diritto di chicchessia prima o poi si trasforma in legge dello Stato, da cui il groviglio paralizzante in cui siamo impastoiati, saremmo gia' stati impiccati tutti da un bel pezzo. Non c'e' l'impiccagione ne' una particolare severita' di applicazione dell'osservanza alla legge per questo, credo: date le premesse, per fortuna! ;)

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    14. Cari amici, elaborare (ed applicare e far rispettare) delle norme e delle regole in società molto complesse e popolose come le nostre è qualcosa che farebbe impallidire anche il padreterno (se esistesse).
      E' ovvio che i nostri legislatori hanno spesso fornito risultati modesti o deludenti (per incapacità o per disonestà), ma il compito - me ne darete atto - è terribilmente improbo.

      E comunque, almeno da noi ed almeno per ora, la baracca va avanti ugualmente, funzionando in modo accettabile e senza che che la gente si scanni per strada.
      A me sembra, tutto sommato, un mezzo miracolo.

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    15. Si' infatti e suppongo che il miracolo possa dipendere un po' dall'indipendenza, nel paese della retorica, del dire dal fare, come effetto collaterale per una volta positivo: di fatto, nonostante tutti gli sforzi per eliminarla, il sistema mantiene abbastanza elesticita' da adattarsi e non andare in frantumi. Il problema e' che man mano che il controllo tecnologico diviene piu' efficace e il sistema teoricamente meglio organizzato, lo spazio per la flessibilita' si restringe sempre di piu', e a questo la societa' si adatta sclerotizzandosi e guardando piu' al passato che al futuro.

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    16. Intendevo solo dire che una legge con più obblighi e divieti può ben essere più liberale di una che ne ha un solo.
      O che una legislazione con molte leggi su una materia può esserlo più di una che ha una sola legge.

      Per il resto, per me dipende sempre dalla ratio della norma, anche se, naturalmente, la valutazione è sempre soggettiva, e non può essere altrimenti.
      Metti il dito nella piaga, Winston, quando affermi "se a ognuno", quello è il guaio. Pensiamo di poterci permettere la democrazia e il dissenso. Ancora e per sempre, pia illusione.

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    17. ALEXIS DE TOCQUEVILLE (1805-1859)

      Quale specie di dispotismo devono temere le nazioni democratiche.

      Durante il mio soggiorno negli Stati Uniti avevo notato che uno stato sociale democratico simile a quello degli americani può offrire una facilità singolare allo stabilirsi del dispotismo; al mio ritorno in Europa vidi che quasi tutti i nostri sovrani si erano già serviti delle idee, dei sentimenti e dei bisogni che questo stesso stato sociale fa nascere per estendere la cerchia del loro potere.
      Ciò mi indusse a credere che le nazioni cristiane finiranno forse per sentire un’oppressione simile a quella che un tempo pesò su molti popoli dell’antichità. Un esame più particolareggiato dell’argomento e cinque anni di nuove meditazioni non hanno diminuito i miei timori, ma ne hanno cambiato l’oggetto.
      Nei secoli passati non si è mai visto un sovrano tanto assoluto e potente che abbia voluto amministrare da solo, senza l’aiuto di poteri secondari, tutte le parti di un grande impero, né che abbia tentato di assoggettare indistintamente tutti i suoi sudditi ai particolari di una regola uniforme e che sia disceso a fianco di ognuno di essi per reggerlo e guidarlo.
      L’idea di una simile impresa non si è mai presentata allo spirito umano e, se anche qualcuno l’avesse concepita, l’insufficienza della civiltà, l’imperfezione dei sistemi amministrativi e, soprattutto, gli ostacoli naturali suscitati dalla diseguaglianza delle condizioni, lo avrebbero presto dissuaso dall’eseguire un disegno così vasto.
      Al tempo della massima potenza dei Cesari, i diversi popoli che abitavano il mondo romano avevano ancora conservato usi e costumi diversi: la maggior parte delle province, benché sottoposte allo stesso monarca, erano amministrate a parte; in esse fiorivano municipi potenti e attivi e, sebbene il governo dell’impero fosse accentrato nelle sole mani dell’imperatore, il quale era sempre all’occorrenza l’arbitro di ogni cosa, i particolari della vita sociale e dell’esistenza individuale sfuggivano generalmente al suo controllo.
      Gli imperatori possedevano, è vero, un potere immenso e senza contrappesi, che permetteva loro di abbandonarsi liberamente a qualsiasi stranezza e di soddisfarla con la forza intera dello stato; così che accadeva spesso che abusassero di questo potere per togliere arbitrariamente a un cittadino i beni o la vita; ma la loro tirannide, pur gravando straordinariamente su qualcuno, non si estendeva sulla maggioranza;
      essa si fissava su alcuni oggetti principali e trascurava il resto: era nello stesso tempo violenta e ristretta.
      È probabile che il dispotismo, se riuscisse a stabilirsi presso le nazioni democratiche del nostro tempo, avrebbe un altro carattere: sarebbe più esteso e più mite e degraderebbe gli uomini senza tormentarli.
      Non dubito che in tempi di civiltà e di eguaglianza come i nostri, i sovrani riescano più facilmente di quel che siano riusciti a fare quelli dell’antichità a riunire tutti i poteri pubblici nelle loro mani e a penetrare più abitualmente e più profondamente nella cerchia degli interessi privati. Ma quella stessa eguaglianza, che facilita il dispotismo, lo tempera; abbiamo visto come, via via che gli uomini divengono più eguali, i costumi divengano più umani e miti; inoltre, quando nessun cittadino dispone di grande potere e di grandi ricchezze, la tirannide non trova più occasione né campo d’azione su cui esercitarsi. Siccome tutte le fortune sono mediocri, le passioni sono naturalmente contenute, l’immaginazione limitata, i costumi semplici. Questa moderazione universale modera anche il sovrano e pone un limite allo slancio disordinato dei suoi desideri.
      Indipendentemente da queste ragioni attinte alla natura stessa dello stato sociale, potrei aggiungerne molte altre, prese fuori del mio soggetto, ma voglio rimanere nei limiti che mi sono tracciato.

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    18. I governi democratici possono diventare violenti e anche crudeli in certi momenti di grande effervescenza e di pericolo, ma queste crisi saranno rare e passeggere. Quando penso alle piccole passioni degli uomini del nostro tempo, alla mollezza dei loro costumi, all’estensione della loro cultura, alla mitezza della loro morale, alla purezza della loro religione, alle loro abitudini laboriose e ordinate, alla moderazione che quasi tutti conservano nel vizio come nella virtù, non temo che essi troveranno fra i loro capi dei tiranni, ma piuttosto dei tutori.
      Credo, dunque, che la forma d’oppressione da cui sono minacciati i popoli democratici non rassomiglierà a quelle che l’hanno preceduta nel mondo, i nostri contemporanei non ne potranno trovare l’immagine nei loro ricordi.
      Invano anch’io cerco un’espressione che riproduca e contenga esattamente l’idea che me ne sono fatto, poiché le antiche parole dispotismo e tirannide non le convengono affatto. La cosa è nuova, bisogna tentare di definirla, poiché non è possibile indicarla con un nome.
      Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri:
      i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, egli è vicino ad essi, ma non li vede; li tocca ma non li sente affatto; vive in se stesso e per se stesso e, se gli resta ancora una famiglia, si può dire che non ha più patria.
      Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Rassomiglierebbe all’autorità paterna se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente nell’infanzia, ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi.
      Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l’unico agente e regolatore; provvede alla loro sicurezza e ad assicurare i loro bisogni, facilita i loro piaceri, tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità; non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di pensare e la pena di vivere? Così ogni giorno esso rende meno necessario e più raro l’uso del libero arbitrio, restringe l’azione della volontà in più piccolo spazio e toglie a poco a poco a ogni cittadino perfino l’uso di se stesso. L’eguaglianza ha preparato gli uomini a tutte queste cose, li ha disposti a sopportarle e spesso anche considerarle come un beneficio.
      Così, dopo avere preso a volta a volta nelle sue mani potenti ogni individuo ed averlo plasmato a suo modo, il sovrano estende il suo braccio sull’intera società; ne copre la superficie con una rete di piccole regole complicate, minuziose ed uniformi, attraverso le quali anche gli spiriti più originali e vigorosi non saprebbero come mettersi in luce e sollevarsi sopra la massa; esso non spezza le volontà, ma le infiacchisce, le piega e le dirige; raramente costringe ad agire, ma si sforza continuamente di impedire che si agisca; non distrugge, ma impedisce di creare; non tiranneggia direttamente, ma ostacola, comprime, snerva, estingue, riducendo infine la nazione a non essere altro che una mandria di animali timidi ed industriosi, della quale il governo è il pastore. Ho sempre creduto che questa specie di servitù regolata e tranquilla, che ho descritto, possa combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della libertà e che non sia impossibile che essa si stabilisca anche all’ombra della sovranità del popolo.

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    19. I nostri contemporanei sono incessantemente affaticati da due contrarie passioni: sentono il bisogno di essere guidati e desiderano di restare liberi; non potendo fare prevalere l’una sull’altra, si sforzano di conciliarle: immaginano un potere unico, tutelare ed onnipotente, eletto però dai cittadini, e combinano l’accentramento con la sovranità popolare. Ciò dà loro una specie di sollievo: si consolano di essere sotto tutela pensando di avere scelto essi stessi i loro tutori.
      Ciascun individuo sopporta di sentirsi legato, perché pensa che non sia un uomo o una classe, ma il popolo intero a tenere in mano la corda che lo lega.
      In questo sistema il cittadino esce un momento dalla dipendenza per eleggere il padrone e subito dopo vi rientra.
      Vi sono ai nostri giorni molte persone che si adattano facilmente a questo compromesso fra il dispotismo amministrativo e la sovranità popolare e credono di avere sufficientemente garantito la libertà degli individui affidandola al potere nazionale. Ciò non mi soddisfa: la natura del padrone mi interessa meno dell’obbedienza. Però non posso negare che una simile costituzione sia infinitamente preferibile a quella che, dopo avere accentrato tutti i poteri, li affidi nelle mani di un uomo o di un corpo irresponsabile; il che rappresenta la forma peggiore del dispotismo democratico.
      Quando il sovrano è elettivo, sorvegliato da vicino da un corpo legislativo realmente elettivo e indipendente, l’oppressione che egli fa sentire agli individui è talvolta più grande, ma è sempre meno degradante, perché ogni cittadino, allorché si sente dominato, può ancora immaginare che obbedendo si sottomette solo a se stesso e che sacrifica ad una delle sue volontà tutte le altre. Comprendo pure che, quando il sovrano rappresenta la nazione e dipende da essa, le forze e i diritti che si tolgono a ciascun cittadino non servono soltanto al capo dello stato, ma giovano allo stato stesso e che i privati traggono qualche frutto dal sacrificio che hanno fatto alla collettività.
      Creare una rappresentanza nazionale in un paese molto accentrato equivale, dunque, a diminuire il male che il soverchio accentramento può produrre, ma non a distruggerlo.
      Vedo bene che in questo modo si mantiene l’intervento individuale negli affari più importanti, ma esso è molto ridotto per gli affari piccoli e particolari. Si dimentica che proprio nei particolari è pericoloso asservire gli uomini. Per parte mia sarei portato a credere che la libertà è meno necessaria nelle grandi cose che nelle piccole, se non pensassi all’impossibilità di avere la prima senza la seconda.
      La dipendenza nei piccoli affari si manifesta ogni giorno e si fa sentire indistintamente su tutti i cittadini. Non li spinge alla disperazione, ma li contrasta continuamente, portandoli a rinunciare all’uso della loro volontà. Deprime a poco a poco il loro spirito e indebolisce il loro animo, mentre l’obbedienza dovuta solo in un piccolo numero di circostanze gravissime, ma rare, mostra la servitù solo di tanto in tanto e la fa pesare solo su pochi uomini. È inutile affidare a questi cittadini, così dipendenti dal potere centrale, l’incarico di scegliere di tanto in tanto i rappresentanti di questo potere, poiché questo uso così importante, ma così breve e raro del loro libero arbitrio, non li salverà dalla perdita progressiva della facoltà di pensare, sentire e agire da soli e li lascerà cadere gradatamente al disotto del livello dell’umanità.

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    20. Aggiungo che essi diverranno presto incapaci di esercitare il grande ed unico privilegio che resta loro. I popoli democratici, introducendo la libertà nella vita politica nel tempo stesso in cui aumentavano il dispotismo amministrativo, sono stati portati a singolarità stranissime. Se si tratta di condurre piccoli affari, nei quali può bastare il buonsenso, essi stimano incapaci i cittadini; se si tratta, invece, del governo di tutto lo stato, affidano ai cittadini immense prerogative; così ne fanno a volta a volta i trastulli del sovrano e i suoi padroni; più dei re e meno degli uomini. Dopo avere escogitato infiniti sistemi di elezione, senza trovarne uno adatto, si stupiscono e cercano ancora: come se il male che essi notano non dipendesse dalla costituzione del paese molto più che da quella del corpo elettorale.
      È effettivamente difficile comprendere come mai degli uomini, che hanno interamente rinunciato all’abitudine di dirigere se stessi, potrebbero riuscire a scegliere bene quelli che li dovrebbero guidare; non si può mai sperare, quindi, che un governo liberale, energico e saggio possa uscire dai suffragi di un popolo di servi.
      Una costituzione repubblicana nella testa e ultramonarchica in tutte le altre parti mi è sempre sembrata un mostro effimero: i vizi dei governanti e l’imbecillità dei governati la porterebbero presto alla rovina, mentre il popolo, stanco dei suoi rappresentanti e di se stesso, creerà istituzioni più libere o ritornerà a subire un solo padrone.

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  4. Copio e incollo dall' (eccellente) articolo di Gianni Pardo:

    << Secondo la Genesi, l'uomo che Dio ha creato nell'Eden è un nullafacente. E infatti per lui il lavoro è stato una punizione, non un valore. Per conseguenza chi per qualsivoglia ragione non ne avesse bisogno, sarebbe stupido se insistesse a lavorare. E se al contrario affermasse che lo fa perché ama la sua attività o perché non saprebbe che cos'altro fare, dovrebbe poi confessare che non lavora per ragioni morali, ma perché quell'attività lo diverte. Essa dunque non sarebbe un valore più di quanto lo siano il calcio o il tressette.
    L'unico modo per dimostrare che si considera il lavoro un valore sarebbe quello di esercitarlo senza farsi pagare. Ma ciò è rarissimo, anche perché la stragrande maggioranza della gente vive della propria attività professionale. Inoltre, anche ad ipotizzare un'attività non retribuita, insorge sempre il sospetto che essa offra al soggetto ricompense di altro genere, in termini di autostima, di affermazione sociale o di semplice divertimento.
    Non è infine impossibile contrapporre all'attività produttiva un punto di vista aristocratico, che, pur riconoscendo l'utilità del lavoro (altrui), gli assegna un valore sostanzialmente negativo: alludiamo agli “otia” di cui parlava Quinto Orazio Flacco. Attività capaci di occupare quasi tutta la giornata, senza dare alcun reddito. Nessuno è pagato se pensa, legge, scrive, dipinge, compone musica o perfino conversa con amici colti. E tuttavia gran parte del progresso intellettuale dell'umanità è il frutto di queste attività “inutili”. >>

    Che dire ?
    Se l'otium è quello d cui sopra, ben venga. Il problema (direi la tragedia) è quando la gente non ha nulla da fare di utilmente intelligente (lavoro od otium che sia) e allora si dedica ad attività stupide e pericolose per "ammazzare il tempo" (gli esempi non mancano).

    Vi è poi da aggiungere che spesso lo stress da lavoro è dato più dai rapporti interpersonali (soprattutto coi superiori) che dalll'attività in sè.

    Direi che abbiamo toccato un argomentino mica da nulla...

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  5. NOTIZIE DAL MONDO

    Leggo in un giornale di sinistra svizzero (WOZ - Wochenzeitung) che bisogna abbattere tutte le frontiere: la libera circolazione universale è un diritto umano (immagino non negoziabile!). Solo così si potranno evitare le ecatombi nel Mediterraneo o altrove.

    Che ne dite? Certo che dieci miliardi di esseri umani continuamente in movimento deve essere molto eccitante: oggi qua, domani là, che bel divertimento.
    Per il momento però mi sembra che il sapiens sapiens sia un animale ancora molto legato al territorio (e penso lo resterà ancora per qualche tempo). Provate a invadere il vigneto di d'Alema.
    Ma non dobbiamo scoraggiarci. Con l'ingegneria genetica avremo forse presto finalmente l'Übermensch tanto agognato, un citrullo fungibile (intercambiabile) con qualsiasi altro. Però pacifico, tranquillo, bravo, onesto, babbeo. A questo mirava il Disegno Intelligente. Ma ci volevano davvero gli pterodattili, Auschwitz e Hiroshima per arrivarci? Non si poteva abbreviare il cammino?

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    1. "che bisogna abbattere tutte le frontiere"

      Non e' strano che sia un giornale di sinistra a dirlo, dato che mi pare che cio' implichi abolire il diritto di proprieta': abolizione pericolosa suppongo, dato che il modo migliore per evitare i conflitti, secondo me, e' che ognuno abbia un ambito di proprieta' da poter considerare esclusivamente suo, dove poter esercitare la sua liberta' senza quindi danneggiare i diritti di chicchessia.
      Se tutto fosse in comune, su nulla si potrebbe esercitare qualche liberta' senza potenzialmente ferire i diritti di qualcun altro. Boh, non li capisco proprio, non dubito che le intenzioni siano buone, ma non capisco come possano non rendersi conto delle conseguenze inevitabili e meno buone.

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    2. "Boh, non li capisco proprio, non dubito che le intenzioni siano buone ..."

      Buone intenzioni? Ma questi sono da camicia di forza (per le ragioni che adduci tu stesso molto bene). Altro che la proprietà è un furto! Senza proprietà non può esserci libertà. Insomma, devi disporre di qualcosa di assolutamente tuo su cui nessuno può mettere il becco, fossero anche le quattro pareti domestiche. Hai poi mai visto un comunista, ma di quelli duri e puri, mettere in comune i suoi beni? Col piffero! Se li tengono ben stretti. I limiti, le frontiere, gli steccati separano, ma fanno chiarezza (a meno che non vogliamo cavarci gli occhi ogni giorno, litigare continuamente). E quando c'è chiarezza - questo è mio e questo è tuo - si può cominciare a ragionare e venirsi persino incontro.
      È chiaro che continuando l'andazzo socialisteggiante si deve per forza arrivare ad abolire il diritto di proprietà, ciò che si sta già provando con l'abolizione del contante (clic, clic, clic e sei espropriato).
      Nei conventi c'era una specie di comunismo, ma persino i monaci tendono a differenziarsi (nel convento benedettino di Einsiedeln alla morte di un confratello si trovarono parecchi biglietti da mille franchi nel suo cassetto, nonostante il voto di povertà). Chissà che soddisfazione provava il monacello nel contemplare i "suoi" biglietti di banca.

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    3. << Hai poi mai visto un comunista, ma di quelli duri e puri, mettere in comune i suoi beni? >>

      Certo che sì.
      A condizione che si tratti dei beni degli altri, da mettere in comune con lui stesso.

      Non per nulla il comunismo è l'ideologia preferita da chi meno possiede (per il quale è più facile essere in buona fede...).

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  6. << Per il momento però mi sembra che il sapiens sapiens sia un animale ancora molto legato al territorio >>..

    E meno male. Non mi sento per nulla la vocazione del nomadismo. :-)

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