sabato 11 ottobre 2014

La lunga vita

Quando parliamo di sovrappopolazione, siamo abituati a concentrare la nostra attenzione sul tasso di fertilità, ovvero sulle nuove nascite.
Ma anche l’allungamento delle aspettative di vita ha la sua notevole importanza e questo, a sua volta, è strettamente collegato con gli sviluppi della medicina e delle cure sanitarie.
Sul complesso rapporto tra queste variabili, è incentrato questo breve ma interessante commento dell’ambientalista Jacopo Simonetta (da Effetto Risorse).
LUMEN


<< Per quasi 50 anni abbiamo ripetuto fino alla nausea che il nostro modello di sviluppo era intrinsecamente suicida e che, se non lo si fosse cambiato in tempo, avrebbe condotto l’umanità ad una catastrofe senza precedenti.  Qualcuno ci ha creduto e molti no.
Di fatto, siamo in orario sulla tabella di marcia. Ed ora che siamo sommersi da notizie che confermano molte delle più funeste previsioni ci pervade un’ansia crescente che facilmente sfocia in angoscia, panico, depressione o ferocia, a seconda dei casi. (…)
Ho fatto alcune riflessioni sull'aspetto demografico della questione, per la semplice ragione che all'atto pratico, sovrappopolazione significa: disoccupazione, deterioramento del territorio e delle risorse, crisi dello stato sociale. (…)

Fin da quando, negli anni ‘70,  il problema divenne evidente, l’attenzione fu da subito concentrata sulla necessità di limitare le nascite.
In questo modo, si pensava, la crisi di sovrappopolazione sarebbe stata grave, ma passeggera e la fine della crescita demografica avrebbe fermato anche la crescita economica, senza bisogno di dichiararlo troppo apertamente. Magari verso la fine del XXI secolo si sarebbe potuto raggiungere una situazione  “sostenibile”. Ma non è andata così.

Un po’  perché i tassi di natalità non sono scesi sufficientemente nella maggioranza dei paesi, ma soprattutto perché la strabiliante crescita demografica della seconda metà del XX secolo è stata dovuta solo in piccola parte alle nascite.   In gran parte è dipesa, invece, da una spettacolare diminuzione della mortalità; a sua volta conseguenza di un’altrettanto spettacolare miglioramento nella qualità e quantità dei servizi sanitari.

E l’industria sanitaria è forse la più energivora ed inquinante che esista.   Non solo per i servizi che eroga, ma anche per l’apparato di ricerca, sviluppo e produzione che coinvolge massicciamente l’intera società.   Un immensa “macchina” che per vivere e progredire necessita di un substrato socio-economico capace di fornire un flusso continuamente crescente di risorse. 

In altre parole, solo il tipo di  crescita economica ed industriale che effettivamente c’è stato poteva consentire un tale progresso della medicina.   Chi, onestamente, sarebbe stato disposto a rinunciarci ? 
Passando dal passato al futuro, può forse esserci di aiuto osservare ciò che è accaduto in Europa orientale, ad esempio in Bulgaria.

A partire dai primi anni ’70, il progressivo peggioramento dell’economia e, di conseguenza, dei servizi socio-sanitari e dell’alimentazione, ha causato un progressivo incremento della mortalità, culminato con il collasso delle strutture statali negli anni ’90.  
Nei decenni successivi la situazione socio-economica è migliorata e la mortalità diminuita.   E’ interessante notare come vi sia una differenza importante fra uomini e donne, causata dalla molto maggiore incidenza che le morti per violenza, alcolismo, incidenti e suicidio hanno fra i maschi.

Comunque, mentre la mortalità complessiva saliva, la natalità scendeva, per poi tornare a salire quando la situazione è migliorata, ma restando sotto il livello precedente il 1990.  Inoltre, essendo un paese povero e guardingo delle sue frontiere, la Bulgaria ha un tasso di immigrazione negativo. 
Ne consegue che, dal 1990 ad oggi, la popolazione bulgara è in costante diminuzione, contrariamente a quella italiana che, nello stesso periodo, è aumentata di 4 milioni di persone.

Perché è interessante questo? Perché, man mano che la crisi economica peggiorerà e che lo stato taglierà i servizi socio-sanitari, è probabile che succeda qualcosa del genere in tutta Europa. Del resto, in Grecia abbiamo già un incremento della mortalità, associato ad un calo della natalità.

Non è bello dirlo, ma questo è uno dei pochi spunti all'ottimismo che la scienza odierna ci fornisce. Quando infatti una popolazione qualsiasi supera la capacità di carico del territorio, la sua crescita può ancora continuare, ma a costo di degradare progressivamente il territorio.   In altre parole, più si rimanda la “resa dei conti”, più questa sarà salata.
E quando la popolazione comincia a diminuire, ci sono sostanzialmente due alternative possibili:

La prima, è che la popolazione diminuisca in modo parallelo o più lento, rispetto al degrado delle sue risorse vitali.   In questo caso non si torna mai ad un equilibrio e si giunge alla distruzione delle risorse ed all’estinzione della popolazione.
La seconda, è che la popolazione diminuisca più rapidamente delle risorse.   In questo caso, dopo un certo tempo, si ritrova un equilibrio.

Purtroppo, la prima ipotesi figura nel celebre modello “World3” che, finora, si è dimostrato spaventosamente affidabile. Ma World3 incorpora fra i suoi algoritmi la teoria della “transizione demografica”  secondo la quale al peggiorare delle condizioni di vita dovrebbe far riscontro un aumento della natalità
L’esperienza reale e recente dell’Europa orientale, ad oggi, è diversa e ci da speranza, perlomeno per i nostri nipoti.  >>

JACOPO SIMONETTA
 

18 commenti:

  1. In effetti si pensa raramente che l'incremento demografico sia dovuto anche al calo della mortalità, dovuto a sua volta anche al miglioramento della sanità.
    Ma cosa dobbiamo augurarci, cosa vogliamo davvero? In Italia è stato coniato il concetto di «malasanità». In realtà la sanità, come dice Simonetta, è incredibilmente energivora e inquinante. Si è sviluppata una vera e propria industria sanitaria ormai ovunque fuori controllo, in Italia e all'estero. Basti pensare per es. che la sanità costa in Svizzera circa 60 miliardi di franchi e supera il preventivo dello Stato (57 miliardi). (Bisogna però aggiungere che la sanità in Svizzera è finanziata dagli elevatissimi premi assicurativi individuali, indipendenti dal reddito, e dalle sovvenzioni cantonali (= regionali) e federali (= statali).
    Questa industria sanitaria occupa in Svizzera il 10% della forza lavoro (in ciifre: circa 500'000 persone, tra medici infermieri farmacisti e altri operatori sanitari).
    Il cosiddetto "diritto alla salute" - tutti hanno diritto alle cure più care - è una assurdità. L'industria della salute tiene in ostaggio l'intera popolazione. Si sviluppano farmaci carissimi per prolungare di pochi mesi la vita di un malato di cancro, si fanno interventi pazzeschi che la collettività deve pagare, appunto perché la salute è un diritto. L'industria della salute (così bisogna chiamarla, non sanità) sfrutta la paura delle sofferenze e della morte della gente. E questa industria "rende" - soprattutto alle case farmaceutiche e ai medici. Per carità, ci sono anche medici integerrimi, ma è chiaro che il sistema ormai è fuori controllo. I medici s'inventano di tutto, non per il bene del paziente, ma soprattutto per gusto della ricerca e per far soldi: tanto la collettività deve pagare. Leggevo tempo fa di una ragazza che aveva subito 64 operazioni (64) con trapianti multipli di organi, più volte il trapianto dell'intestino. La giornalista esaltava il coraggio e la voglia di vivere di quella povera martire. Non una sola parola sui costi di tutte queste assurde operazioni. Che sarebbero - forse - giustificate se i mezzi fossero illimitati.
    No ai trapianti, no all'eterologa e alla fecondazione assistita a spese della collettività. L'eterologa poi è anche uno schifo assoluto. Viene voglia di difendere la Chiesa cattolica.

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    1. E' il disastro legato al fatto che possiamo si' avere tutto cio' che desideriamo, ma subito dopo diventa obbligatorio (e tassato).

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  2. << L'industria della salute (così bisogna chiamarla, non sanità) sfrutta la paura delle sofferenze e della morte della gente >>

    Caro Sergio, certamente qualcuno, in questo fiume di sold,i ci sguazza e ne approfitta.
    Ma, siamo onesti con noi stessi, riusciamo davvero ad immaginare cosa volesse dire vivere con un qualche malanno nei secoli passati ?
    Io rabbrividisco al solo pensiero.

    Certo occorre trovare un punto di equilibrio, evitando qualsiasi forma di accanimento terapeutico (anche - ma non solo - per evitare costi inutili), ma certi successi della medicina sono qualcosa a cui è difficile rinunciare.

    Io penso che ad evitare certe spese eccessive e ridicole ci penserà l'aggravarsi della crisi economico-energetica, che, riducendo le risorse, ci costringerà a prendere decisioni di bio-etica che ci metteraanno in grandissimo imbarazzo. E che potrebbero anche portare a gravi fratture sociali, con violenze e conflitti.

    Tutto non si può avere e quando si tratta di dover scegliere ognuno ha le proprie ragioni e le proprie priorità.
    Chi dovrebbe scegliere e mediare in questi casi è "la politica", ma visto come siamo messi noi in Italia su questo versante, c'è da mettersi le mani nei capelli.

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    1. Qui bisognerebbe sentire il parere di Francesco e anche di Simonetta. Io quando sento parlare di "tagli alla salute" (cioè all'industria della salute) mi rallegro. Il "necessario" sarà sempre fatto (ma bisogna - bisognerà intendersi sul "necessaro"). Che l'eterologa rientri nelle LEA è ridicolo, come pure la fecondazione assistita. Ma giudici rimbambiti si sono inventati un cosiddetto diritto alla genitorialità che deve essere sostentuto.
      Ogni giorno muoiono nel mondo circa 200'000 persone (nessuna preoccupazione sono subito sostituiti da 250'000 neonati).
      Sono convinto che si potrebbe impedire a quei 200'000 di morire, o almeno di rimandare il trapasso - di giorni, settimane, mesi - attaccandoli alle macchine. Ma per fortuna - o no? - tante macchine non ci sono e non ci saranno mai. Così uno può anche morire tranquillamente.

      Grazie ai progressi medici la vita si è soprattutto allungata e si vive anche meglio, sarebbe sciocco negarlo. Ma il progresso ha un costo che può divenire insostenibile, come mi sembra voglia dire Simonetta nel suo articolo. I mezzi sono e saranno sempre limitati e occorrerà fare delle scelte.

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    2. "riusciamo davvero ad immaginare cosa volesse dire vivere con un qualche malanno nei secoli passati"

      Nei secoli passati non avevano quasi nessuno dei malanni che abbiamo oggi, semplicemente perche' non li riconoscevano come tali, non avevano le diagnostiche, non potevano dargli un nome specifico.
      Semplicemente, ad un certo punto si moriva (questo vale per cancri e malattie cardiocircolatorie e degenerative, ad esempio, che si manifestano oggi come allora in tarda eta').
      Riguardo ai malanni seri e diffusi, infettivi, che sono stati debellati , probabilmente per quelli basta una medicina moderna si', ma minimale. I vaccini di base e la penicillina da soli, che sono costati poche centinaia di dollari di sviluppo in tutto, valgono enormemente di piu' di tutto il resto della medicina.
      Il problema e' che "moderno" e "minimale" e' un ossimoro.

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    3. Caro Winston, le tue considerazioni sono sicuramente molto valide.
      In effetti il salto di qualità nella cura della salute è stato portato dall'uso generalizzato dei vaccini e degli antibiotici, con costi modestissimi.
      E - per altro verso - molte delle malattie odierne una volta non c'erano neppure.

      Tuttavia è molto difficile fare un confronto tra lo stato di salute generale delle popolazioni di oggi e del passato.
      Io, e parlo a titolo personale, mi ritengo fortunato a vivere con la medicina oggi, piuttosto che con quella di qualche secolo fa.
      Ma mi rendo conto che le cose sono molto più complesse di quanto sembrano.

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    4. "Io, e parlo a titolo personale, mi ritengo fortunato a vivere con la medicina oggi, piuttosto che con quella di qualche secolo fa."

      Mah, io non ho mai pensato di essere "fortunato" rispetto ai nostri antenati per i progressi della medicina. Che sono innegabili. Non solo la vita si è allungata, ma godiamo anche di molti effettivi benefici (noi due per es. non porteremo la dentiera come i nostri nonni ...).
      Ma come stiamo a felicità o contentezza? Siamo davvero avanzati? Il comfort non è tutto. Poi a me sembra che non pochi, anzi tanti tanti stiano maluccio. Ieri ho letto il diario di un'infermiera in una casa di riposo per anziani: assolutamente deprimente, né tu né io vorremmo finire così.
      Un giorno da leone (una vita breve ma intensa e bellissima) o cento giorni da pecora (lunga vita tranquilla ma noiosa)?

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    5. Caro Sergio, in tutta sincerità, se i cento giorni (o cento anni ?) sono tranquilli e in salute, mi sta bene anche la parte della pecora.
      A parte la noia, ovviamente...

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    6. Risposta quasi scontata ... perché anch'io mi ritrovo bene fra le pecore (animali rispettabilissimi, poco o per niente aggressivi, anche se non bellissimi e interessantissimi).
      Del resto noi occidentali viviamo in una "epoca post-eroica" - come ti ho già scritto. Non è un caso che ormai non si elevino più monumenti ai grandi o ai "caduti per la patria" (che più che eroi ci appaiono oggi come povere vittime inconsapevoli).

      Lo stesso ci sono dei momenti impagabili che valgono cento anni. "Una coppa di vino - al momento giusto - vale più di tutti i regni della terra" (Gustav Mahler, Das Lied von der Erde).

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    7. << Del resto noi occidentali viviamo in una "epoca post-eroica" >>

      E meno male.
      Non era forse Bertolt Brecht che diceva: "Fortunato quel popolo che non ha bisogno di eroi" ?

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  3. A proposito di spese pazze ricordo il tragico caso di un trapianto di cuore. Sei (sei!) medici volarono a Roma dalla Sardegna per gli esami del caso (compatibilità ecc.). Al ritorno l'aereo si schiantò contro una montagna e morirono tutti e tre.
    Un grande poeta, di sinistra e secondo me anche un po' coglione, Giovanni Raboni, propose la medaglia d'oro al valore per quegli "eroi". Ma scherziamo! E tutti i lavoratori che muoiono ogni giorno sul lavoro? Ed era proprio necessaria una trasferta di sei medici? Ma visto che paga Pantalone si fa!

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  4. Errata corrige

    Morirono naturalmente tutti e sei!

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  5. Sono le beffe del destino, che spesso si diverte a costruire storie anche più assurde di quelle romanzate.
    Come successe qualche mese fa a quel tale, molto devoto a Papa Wojtyla, che morì sotto il crollo di una enorme croce dedicata proprio a Giovanni Paolo II.

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  6. "secondo la quale al peggiorare delle condizioni di vita dovrebbe far riscontro un aumento della natalità "

    Mmmh, le condizioni di vita possono peggiorare in molti modi diversi, non solo materiali o comunque non principalmente nel loro aspetto materiale, bisognerebbe fare dei distinguo, il che (ipocritamente) non si fa perche' non ne verremmo fuori bene, credo. :)

    Visto che e' argomento di vostro particolare interesse, vi raccomando di guardare i TED's di Hans Rosling, qui, che come demografo-statistico e' imbattibile:
    http://www.ted.com/speakers/hans_rosling

    Mi pare (ma potrei sbagliarmi, l'ho visto tempo fa) che associ il calo di natalita' all'istruzione e alla partecipazione al lavoro femminile, soprattutto, il che potrebbe essere verosimile anche secondo la mia piccola esperienza, le donne quando non sanno che altro fare amano allevare bambini, cosa che sono impossibilitate a fare quando sono prese come trottole dalle mille incombenze tipiche della nostra societa' arrivistica e impazzita, in cui quello che si fa non basta mai.

    Inoltre, se non erro, i demografi notano la correlazione secondo la quale e' la variazione della mortalita' infantile che e' il principale indicatore della situazione di benessere di una societa', dove c'e' degrado, per prima cosa aumenta la mortalita' infantile, ma pure qui non ricordo bene, l'ho letto chissa' dove.

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  8. << Mi pare (...) che associ il calo di natalita' all'istruzione e alla partecipazione al lavoro femminile >>

    Caro Winston, sono senz'altro d'accordo con questo collegamento, precisando che, per quanto riguarda il lavoro, ci si deve riferire al classico lavoro fuori casa, perchè fa perdere alla donna non solo molto tempo ma anche la presenza fisica in casa.
    Le donne infatti, in quasi tutte le culture, lavorano comunque moltissimo, ma, finchè lo fanno dentro casa, possono anche fare molti figli e seguirne la crescita.

    Quanto all'aumento dell'istruzione femminile, la stessa va di pari passo con l'aumento della consapevolezza e della possibilità di scelta delle donne, le quali, se possono decidere, in genere preferiscono fare meno figli per poterli crescere meglio.

    Certo, quello demografico è un argomento molto difficile e complesso, ma se c'è alla base la consapevolezza del problema si può fare qualcosa; se invece questa consapevolezza manca...

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    1. "in genere preferiscono fare meno figli per poterli crescere meglio."

      Infatti, e dove al meglio non c'e' piu' alcun limite, e qualsiasi cosa meno che perfetta e' inaccettabile, come qui da noi, non ne fanno proprio piu' ;)
      Siamo a 1.2 per donna, mi pare. Peccato serva a meno che nulla, perche' ogni posto libero viene occupato da due nuovi arrivati in sovrappiu' altrove: la natura aborre il vuoto...

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    2. Questa è proprio una delle cose che mi fa imbufalire di più.
      L'Italia si trova incamminata (senza merito, ma anche senza colpo ferire) sulla strada giusta, e noi riusciamo a rovinare tutto solo perchè non sappiamo gestire l'immigrazione in modo corretto.
      Roba da matti !

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