sabato 7 settembre 2013

Genius loci

Nessuno può negare che, nella storia della civiltà, alcuni popoli abbiano avuto più successo di altri.
La risposta dei razzisti è ovvia, ma è sbagliata, perché la razza umana è unica, e le differenze tra le popolazioni si limitano ad alcuni aspetti esteriori, privi di  significato.
Ed allora da dove viene questa differenza ? L’antropologo americano Jared Diamond, sostiene che la differenza l’ha fatta la geografia.
In altri termini, i popoli che, per puro caso, si sono trovati a vivere in certe zone della terra hanno avuto (grazie alle condizioni geografiche e climatiche) uno sviluppo più rapido ed efficace, arrivando a soverchiare (e spesso a trucidare) le popolazioni che si trovavano nelle zone più sfortunate.
Quello che segue è un breve estratto di uno dei suoi libri.
LUMEN


<< Fondamentalmente le società umane hanno subito trasformazioni profonde solo in tempi recenti e in modo rapido.
Ho amici cresciuti in piccoli paesi europei negli anni 1950 che descrivono la propria infanzia come quella nei villaggi tradizionali della Nuova Guinea: dove tutti conoscevano tutti, sapevano che cosa facevano gli altri e dicevano la loro in merito; dove ci si sposava solo con persone nate nel raggio di un paio di chilometri dal proprio paese di origine e lì si restava tutta la vita, o nelle immediate vicinanze, tranne i giovani che partivano per il militare.

E dove i dissapori dovevano necessariamente trovare forme di composizione che ricucissero i rapporti, o che li rendessero almeno tollerabili, perché si era comunque destinati a trascorrere tutta la vita gli uni accanto agli altri.
In altre parole il mondo di ieri non è stato cancellato e sostituito in toto dal mondo di oggi, e molto di esso è ancora tra noi. Comprenderlo può essere utile per trovare   soluzioni ad alcuni problemi nel mondo sovrappopolato e globalizzato.

Il grosso della nostra conoscenza della psicologia umana si basa sull’osservazione di individui che possono essere descritti per mezzo dell’acronimo WEIRD: provenienti cioè da società occidentali (western), istruite (educated), industrializzate (industrialized), ricche (rich) e democratiche (democratic).

Se vogliamo generalizzare sulla natura umana, dobbiamo allargare il nostro campione di studio dai soliti soggetti WEIRD (…) all’intero range delle società tradizionali.
Scopriremo così alcune soluzioni – il modo cioè in cui le società tradizionali allevano i figli, trattano gli anziani, preservano la salute, comunicano, trascorrono il tempo libero e risolvono le dispute – che possono sorprenderci per la loro superiorità rispetto alle normali pratiche del Primo Mondo, e che adottandone alcune potremmo persino guadagnarci.

Per certi aspetti noi moderni siamo dei disadattati, e il nostro corpo e le nostre abitudini si trovano oggi ad affrontare condizioni diverse da quelle in cui si sono evoluti  e a cui, appunto, si sono adattati. Molti problemi psicologici, molte depressioni, molti stress e malattie conseguenti potrebbero essere spiegati da questi meccanismi.
Il concetto di “Stato” come lo intendiamo oggi è nato solo in tempi antropologicamente molto recenti.

I grandi numeri rendono impossibile la conoscenza reciproca fra tutti i componenti: persino per gli abitanti della minuscola monarchia di Tuvalu è impossibile conoscere la totalità degli altri 10.000 concittadini, figurarsi per il miliardo e quattrocento milioni di cinesi.
Gli stati hanno dunque bisogno della politica, di leggi e di codici di moralità  per garantire che i costanti e inevitabili incontri fra estranei non si trasformino in scontri, bisogno che non si pone affatto nelle minuscole società in cui tutti conoscono tutti.

Le grandi popolazioni non possono funzionare senza leader che stabiliscono, dirigenti che rendono operative e burocrati che amministrano decisioni e leggi.
Per molte migliaia di anni le società umane si sono organizzate in bande (poche decine di individui per lo più cacciatori-raccoglitori), poi si sono organizzate in tribù (qualche centinaio di individui) caratterizzate da una società già dedita all’agricoltura e più stanziale.

Solo in seguito sono nate le “chefferies”  [che potremmo tradurre in italiano come “gerarchie” - ndr], composte da migliaia di soggetti e da complessità organizzativa.
Nelle chefferies (società che rispondono ad un capo) si ha anche un’innovazione di tipo economico che prende il nome di economia redistributiva: al posto del baratto fra i singoli, il capo riscuote tributi sotto forma di cibo e lavoro e buona parte di questi viene redistribuita ai guerrieri, sacerdoti e artigiani al suo servizio.

La ridistribuzione costituisce dunque un sistema di tassazione in nuce finalizzato al sostegno di nuovi istituti. Parte del tributo in cibo è restituito ai cittadini comuni, che il capo ha il dovere morale di mantenere in tempi di carestia e che in cambio lavorano per lui in attività come la costruzione di monumenti e di sistemi di irrigazione.

Oltre a queste innovazioni politiche ed economiche, che superano le pratiche di bande e tribù, le chefferies sono state le prime a introdurre l’innovazione sociale della disuguaglianza istituzionalizzata.

Le chefferies del passato possono essere riconosciute dagli archeologi grazie a un’ediliza monumentale e a indicatori quali una distribuzione ineguale di reperti funebri nei sepolcri.
Tali società cominciarono a formarsi intorno al 5500 a.C. ma ancora in epoca moderna erano ampiamente diffuse in Polinesia, in gran parte dell’Africa sub-sahariana, in America.

Al trend ininterrotto di aumento demografico, centralizzazione politica e produzione alimentare intensificata che dalle bande porta agli stati se ne aggiungono altri, come quelli che segnano l’aumento della dipendenza dagli utensili metallici, dalla sofisticazione tecnologica, dalla specializzazione economica, dalla disuguaglianza tra individui e dalla scrittura, oltre ai cambiamenti in campo bellico e religioso.

Questi trend, e in particolare l’aumento demografico, la centralizzazione politica, il progresso tecnologico e gli armamenti degli stati rispetto all’organizzazione delle più semplici società tradizionali, sono ciò che ha permesso ai primi di conquistare le seconde e di sottometterne, ridurne in schiavitù, incorporare e sterminarne gli abitanti all’interno dei relativi territori.

Un tempo si credeva, e ancora oggi molti ne sono convinti, che risultati così diversi da regione a regione riflettessero differenze innate a livello di intelligenza umana, di modernità biologica e di etica del lavoro.

Le differenze che caratterizzano le società del mondo moderno si spiegano semmai sulla base di differenze di tipo ambientale. L’aumento della centralizzazione politica e della stratificazione sociale è dipeso da aumenti della densità demografica, a loro volta innescati dall’aumento e dall’intensificazione della produzione alimentare (agricoltura e pastorizia).
Sorprendentemente però pochissime specie vegetali e animali selvatiche sono adatte alla domesticazione e possono trasformarsi in raccolti e bestiame da allevamento.

E queste erano concentrate solo in una decine di aree limitate del pianeta, le cui società umane beneficiarono così di un vantaggio iniziale in termini di sviluppo della produzione e delle eccedenze alimentari, di espansione demografica, progresso tecnologico e organizzazione in stati.

Come ho avuto modo di esporre dettagliatamente in “Armi, acciaio e malattie”, queste differenze spiegano come mai gli europei, che vivevano nei pressi della regione del mondo più ricca di specie vegetali e animali selvatiche domesticabili  (la Mezzaluna Fertile), hanno finito per espandersi in tutto il globo, mentre i kung  e gli aborigeni australiani no.

Ciò significa che le popolazioni che ancora vivono, o fino a poco tempo fa vivevano in società tradizionali sono popolazioni biologicamente moderne a cui è semplicemente capitato di occupare zone del mondo con poche specie domesticabili disponibili, ma i cui stili di vita restano tuttavia importanti.  (…)

Dopo lunghi mesi trascorsi in Nuova Guinea, ritorno (…) a Los Angeles e qui mi accorgo che, nonostante le ovvie differenze fra la giungla americana e quella guineana, molto del mondo fino a ieri continua a vivere ancora nel nostro corpo e nelle nostre società.
Anche nella regione dove sono comparsi per primi, i grandi cambiamenti socio-antropologici hanno avuto inizio solo 11000 anni fa, e appena qualche decennio fa nelle aree più popolose della Nuova Guinea, mentre nelle pochissime tuttora incontaminate di Nuova Guinea e Amazzonia sono praticamente agli albori.

Per chi è nato e cresciuto nelle nostre società, tuttavia, le condizioni di vita moderne sono talmente pervasive e talmente date per scontate, che nelle nostre brevi visite ci riesce difficile cogliere le differenze davvero fondamentali rispetto alle società tradizionali.
Le società tradizionali rappresentano migliaia di esperimenti millenari nel campo dell’organizzazione umana, esperimenti che non possiamo ripetere riprogettando di sana pianta intere società, per poi osservarne i risultati dopo decenni; se vogliamo imparare qualcosa, dobbiamo farlo là dove gli esperimenti sono già stati compiuti.

Quando scopriamo che cosa significa vivere in modo tradizionale scopriamo anche aspetti di cui siamo felici di esserci liberati (ad esempio la soppressione ritualizzata delle vedove); di fronte ad altri aspetti proviamo invece un senso di invidia e di perdita tout court, o magari ci chiediamo se non sarebbe il caso di riadattarli e riadottarli anche noi in maniera selettiva (ad esempio una alimentazione più sobria, unità civiche più ristrette dove sia possibile conoscersi a vicenda, ecc.).

Di sicuro invidiamo per esempio l’assenza di malattie degenerative legate allo stile di vita occidentale, mentre possiamo desiderare di reintegrare alcuni aspetti dei metodi di risoluzione pacifica dei conflitti, di educazione dei figli, di trattamento degli anziani, di vigilanza nei confronti dei pericoli e del multi-linguismo.  

Molte forme di organizzazione della loro vita hanno un certo fascino, ma al di là di esso ciascuno sarà libero di provare a capire se qualcosa di ciò che così bene funziona per loro non potrebbe forse funzionare altrettanto bene per noi stessi come società. >>

JARED DIAMOND
 

10 commenti:

  1. Caro Lumen, il cambiamento e la struttura artificiale che hanno determinato le nostre società attuali è molto legato -come dice Diamond- all'esplosione demografica e al progresso tecnologico (a loro volta frutto del successo evoluzionistico degli esemplari homo che ebbero la fortuna di occupare certe aree del pianeta). Ma l'accelerazione del boom demografico e dei consumi di homo sapiens sta facendo precipitare tutto verso un esito catastrofico. In questo senso il richiamo di Diamond ad un ritorno alle origini per ritrovare costumi e usanze più compatibili con un pianeta equilibrato e vivibile è prezioso.

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  2. Caro Agobit, Diamond è un antropologo serio ed esperto e, come scienziato, non può non vedere lo scempio che si sta producendo sotto i nostri occhi.
    Se ci fai caso i sostenitori del BAU non sono quasi mai degli scienziati, ma sempre dei politici, o degli uomini d'affari, o dei religiosi o degli opinion leaders opportunisti.
    E, purtroppo, le opinioni degli scienziati seri non fanno quasi mai notizia.

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  3. ciao agobit e lumen
    mi trovavo su internet e facendo una ricerca sulla popolazione umana ho trovato questo sito:

    http://www.veja.it/2012/12/05/il-programma-dichiarato-per-la-riduzione-della-popolazione-mondiale/


    Vorrei sapere voi cosa ne pensate.
    Davvero esiste un'élite che già si sta occupando di controllo demografico, oltretutto attraverso metodi non proprio "puliti" ?

    Davvero questa élite non lo fa (come si legge nell'articolo stesso) per "migliorare gli standard di vita; esso è ben indirizzato nell’eugenetica, nell’igiene razziale e nel pensiero fascista." ???

    Io non so che pensare, se non che mi pari che di controllo demografico non vi sia assolutamente traccia.

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  4. << Io non so che pensare, se non che mi pare che di controllo demografico non vi sia assolutamente traccia. >>

    Cara Laura, la tua ultima frase rispecchia alla perfezione anche il mio pensiero in materia.
    Io non so se davvero esistono delle elites mondiali (ovviamente occulte) che abbiano di queste intenzioni.
    Se però guardo il trend demografico attuale mi sembra di poter dire che, come minimo, sono parecchio inefficienti...

    Vorrei dire inoltre che l'eugenetica è un concetto assolutamente ridicolo e fuori bersaglio: il problema demografico che dobbiamo risolvere è semplicemente quello di ridurre la popolazione mondiale, indipendentemente dall'etnia o da qualunque altra caratteristica.

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  5. Grazie Laura per l'ottima segnalazione: l'articolo da te citato è esemplare di come i neo-giacobini vorrebbero mettere al rogo o ghigliottinare chi, come noi, si preoccupa per la salvezza del pianeta e per l'eccessiva, esplosiva e incontrollata proliferazione di Homo che sta portando alla distruzione della natura e delle altre specie (ma anche dell'uomo stesso). La tecnica che usano ormai la conosciamo: chi auspica la denatalità è un razzista e quindi tutto quello che dice è male e lui stesso va isolato ed emarginato (in attesa di tempi migliori in cui ghigliottinarlo o fucilarlo). Io dico al contrario che i veri nazisti sono loro, chi vuole violentemente azzerare i pensieri altrui e nega la realtà di un pianeta avviato alla distruzione. Su questo tema puoi vedere uno degli ultimi post sul mio blog unpianetanonbasta: "I seguaci di Robespierre".

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  6. Grazie ad entrambi per le risposte.

    @Lumen:
    "Vorrei dire inoltre che l'eugenetica è un concetto assolutamente ridicolo e fuori bersaglio: il problema demografico che dobbiamo risolvere è semplicemente quello di ridurre la popolazione mondiale, indipendentemente dall'etnia o da qualunque altra caratteristica."


    Esatto,la penso così anche io.
    Invece l'articolo in questione, oltre a dire che al mondo chi ha parlato o parla tuttora di controllo demografico è un razzista-nazista-vuole l'eugenetica, non pone minimamente la questione dell'eccessiva popolazione mondiale e di come risolvere il PROBLEMA. Anzi, critica anche la legge sul figlio unico in Cina (che,lessi tempo fa, evitò la nascita di ben Mezzo Miliardo di umani in più) , ponendo ovviamente l'accento sul fatto che donne incinte venissero prese con la forza e fatte abortire.
    Nella mia ignoranza, credo la legge in sè fosse giusta (e l'articolo questo non lo riconosce proprio)
    (non solo per la Cina, andrebbe fatto un calcolo di quanti umani può sopportare ogni territorio) , poi certo le conseguenze sono un atto di crudeltà, ma mi chiedo:che altro si può fare?

    @agobit

    scusa l'ignoranza, ma cosa vuol dire e chi sono i neo-giacobini?

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  7. Ho provato a leggere l'articolo segnalato da Laura ma non ce l'ho fatta, non solo perché è eccessivamente lungo: un altro che grida "al gomblotto"!

    Come dice Laura, l'estensore dell'articolo "non pone minimamente la questione dell'eccessiva popolazione mondiale". Si ha l'impressione che "più siamo meglio è", che ce n'è per tutti, anche per 100 miliardi di persone. È il rifiuto del limite, i limiti della crescita non esistono, troveremo un rimedio a tutto. I più burloni dicono che aumentando la popolazione aumenteranno anche le soluzioni ai problemi che si porranno. Intanto mi piacerebbe sapere quanti posti di lavoro si potranno creare - diciamo nel prossimo decennio - per tutti i disoccupati italiani realmente esistenti. Non parlo poi della polveriera della striscia di Gaza (oltre 1000 abitanti per km 2). L'UE voleva eliminare la disoccupazione in Europa entro il 2012 (sì, il 2012 passato) e invece, che sorpresa, la disoccupazione aumenta (questa Barroso & C. proprio non se l'aspettavano). E ciò con una popolazione europea autoctona stabile e senescente.

    Ci sono vari fattori contrari alla stabilizzazione demografica: il gene egoista (questo è il cavallo di battaglia di Lumen), la Chiesa e altre istituzioni religiose (ma in Iran la popolazione è in calo), i politici e gli economisti che vedono nella crescita l'unica soluzione alla crisi sociale ed economica. Senza un rilancio della crescita (ma di che cosa? più automobili, più turismo, più scarpe, più scemenze di ogni genere?) scoppia la rivoluzione.




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    1. Caro Sergio, la crescita di che cosa ? Ma di tutto, ovviamente!
      A cominciare magari dalla crescita dei migranti in Italia, così magnificamente auspicata e proclamata da Papa Francesco, con pensieri, parole ed opere (ed omissioni, visto che poi i problemi pratici li lascia magnanimamente al governo italiano).

      Diceva un tale che un Papa, dato il suo ruolo, non può mai combinare qualcosa di buono; però può fare dei danni.
      Questa mi pare la strada intrapresa dal prode Francesco.

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  8. @Laura: I neogiacobini sono quelli che invece di contestare le tue idee con altri argomenti, ti chiamano razzista, offendono la persona, usano violenza verbale e -quando possono- anche materiale contro chi non la pensa come loro.

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    1. Un classico. Si cerca di demonizzare l'avversario quando non si possono controbattere le sue tesi.

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