A tutti sarà capitato, anche solo per una volta, di parlare in pubblico.
Le regole principali da seguire, in questi casi, sono
quelle codificate (anche se in un diverso contesto) da Beppe Severgnini:
“Avere qualcosa da dire / Dirlo / Dirlo brevemente
/ Non ridirlo”.
Ma questo non basta: ci vuole anche qualche trucco del
mestiere. Come ci spiega il grande umorista Achille Campanile in questo
delizioso racconto.
LUMEN
ORATOR FIT - di Achille CAMPANILE
<< «S’accomodi» disse la domestica a Luigi Vinelli «la lezione sta per cominciare.»
Il professore era il famoso Codaro, oratore. Uno di
quegli esseri privilegiati che hanno il dono di poter alzarsi in un
momento qualsiasi e improvvisare un discorso in
pubblico.
Quanti non hanno sognato o non sognano di possedere questa facoltà? Quante volte, vedendo quei fortunati, voi stessi non avete
pensato: Oh, se anch’io potessi, se sapessi!
E
quante volte, voi che non siete oratori, vi siete avvelenati un pranzo
pensando che alla fine avreste dovuto dire due parole,
che non potevate farne a meno, che a un certo punto da un capo della
tavola sarebbe suonato il vostro nome e tutti avrebbero fatto coro,
reclamando da voi un discorsetto; e a questo pensiero avreste preferito
darvi alla fuga, piuttosto che affrontare la prova
per voi irta di difficoltà e di incognite?
Luigi
Vinelli non aveva mai parlato in pubblico e l’impossibilità di farlo,
perché sprovvisto di qualità oratorie, era un
suo cruccio. Ecco perché era accorso all’inserzione pubblicitaria che
garantiva: tutti oratori in una sola lezione. E lui quella sera stessa
doveva andare a un pranzo.
Il famoso Codaro entrò nell’aula già affollata di studenti:
«L’incapacità
di parlare in pubblico» disse incominciando la lezione «deriva da due
ragioni: la timidezza e la mancanza di
argomenti. Oserei affermare che le due ragioni si riducono a una, in
quanto anche la timidezza deriva novanta volte su cento dal non saper
che cosa dire o, meglio, dal credere di non saper che cosa dire.
Un
improvviso vuoto si fà nel vostro cervello, per quanto vi sforziate,
non trovate un argomento, l’urgenza vi ottenebra la
mente e così, anche se si tratta d’una circostanza in cui potreste dire
mille cose, vi sembra di non poterne dire nemmeno una e rifiutate di
alzarvi e parlare, oppure lo fate nello stato d’animo d’un vitellino
condotto al macello, balbettate poche parole impacciate,
accennando al fatto che non siete oratore, che siete commosso, e
aggrappandovi disperatamente a dei banali “grazie di tutto cuore, a
tutti, per tutto”, nei quali l’unico vantaggio del vostro impaccio e del
vostro terrore è che essi vengono scambiati per una
esagerata commozione che può anche procurarvi degli applausi.
Ma in entrambi i casi trasformate in un insuccesso quello che invece potreste con estrema facilità far diventare un successo
clamoroso, in cui sareste subissato di applausi. Ebbene io vi darò il segreto per diventare di colpo oratori».
La scolaresca era tutta orecchi.
«Non
si tratta dei sassolini di Demostene» proseguì il maestro. «Immagino
anzitutto che voi non siate balbuzienti; e, se anche
lo foste, la padronanza dei temi e la disinvoltura con cui tratterete
il vostro difetto (purché non sia molto pronunciato, ben inteso; nel
qual caso occorrerebbero non meno di due lezioni) vi salveranno.
Né, d’altra parte, il fatto di non essere balbuzienti vi gioverà se non avete argomenti. Anzi! Si tratta invece d’un segreto
facilissimo. Una formula… »
«Magica?» interruppe Luigi.
«Quasi» disse Codaro. «Una formula la quale vi permetterà di parlare in ogni momento su qualsiasi tema.»
«Volesse il cielo!» esclamò più d’uno.
«Sarei proprio curioso di conoscere quest’abracadabra» fece un altro allievo, scettico.
«Niente
di più semplice» disse Codaro. «Questa formula si riassume in tre
parole sole: parlare del futuro. Beninteso, essa
vi consentirà di parlare anche del passato, non foss’altro che per
contrapporlo. Ma ricordatevi che il passato può commuovere, intenerire
anche fino alle lagrime, ma soltanto i concetti imperniati sul futuro
sono tali da suscitare quell’entusiasmo a cui ogni
oratore degno di questo nome deve aspirare con tutte le forze».
Poiché la scolaresca non pareva avere ancora afferrato il concetto, almeno nelle possibili applicazioni preannunziate come
la cosa più facile di questo mondo, Codaro alzò il tono della voce.
«Scendendo
ai particolari» aggiunse «vi dirò che dovete tener sempre presente
questo concetto: che di qualsiasi cosa, situazione
o avvenimento, in qualsivoglia istante e in tutte le possibili
circostanze, con ogni immaginabile accidente, si può, anzi si deve,
proclamare, con la certezza di suscitare l’entusiasmo degli ascoltatori:
«a)
che il fatto di cui parlate è tale da permettervi di considerare con
giustificata fiducia l’avvenire; guai se parlerete
di fiducia ingiustificata o, peggio ancora, se accennerete
all’impossibilità di guardare con fiducia all’avvenire o addirittura se
alluderete a giustificata sfiducia (questo è il peggio di tutti); il
gelo cadrà come una pesante coltre sull’uditorio, smorzandone
ogni entusiasmo; tuttavia, il concetto della fiducia nell’avvenire
sempre così come da me esposto, va riservato per la chiusura;
«b) che il fatto di cui parlate si deve considerare non un punto d’arrivo, ma un punto di partenza.
«Parentesi: una sola variante può essere concessa a questa messa a punto, diciamo così, topografica: messi in non cale l’arrivo e la partenza, considerarsi “a una svolta decisiva”.
Direte,
per esempio: “Questo a cui siamo (o siete, o essi sono, o io sono, o
egli è) giunti (o giunto) non deve essere considerato
un punto d’arrivo, ma un punto di partenza.»
La scolaresca rimase male. Tutti speravano di più.
«E voi dite» esclamò Luigi «che questa formula… »
«Vi
permetterà di parlare di qualsiasi cosa, in qualsivoglia pubblica
circostanza» ripeté Codaro. «Beninteso» aggiunse subito
«io suppongo che voi non siate del tutto imbecilli e che, una volta
avuto in mano il bandolo d’un ragionamento, sappiate andare avanti un
po’.
Del
resto in molti casi basterà pronunciare puramente e semplicemente la
frase suddetta. Sarete considerati oratori concisi
e vi si applaudirà lo stesso e magari di più. Tanto meglio se saprete
condirla un po’, il che non è difficile, col minimo indispensabile.
Che
so io, potrete dire: “Vi ringrazio d’avermi invitato a parlare, ma non
sono certo io, ecc., specie dopo i precedenti oratori
che hanno espresso così bene (o: prima di altri che assai meglio di me
esprimeranno ecc.); tuttavia, colgo l’occasione per dirvi una cosa sola,
poiché non ho né la voglia né il diritto di tediarvi; e la cosa è
questa: vorrei che tutti, senza distinzione di
grado o di mansioni (o che so io), tenessimo presente che questo a cui
siamo giunti non deve essere considerato un punto di arrivo ma un punto
di partenza, eccetera come sopra detto”.»
Uno degli allievi chiese di parlare.
«Ammetto»
disse «che la frase possa fare un certo effetto a un’assemblea, a un
congresso, a un banchetto di industriali, insomma
dovunque c’è gente che marcia (figuratamente o no), o s’illude di
marciare verso una mèta. Ma ci sono mille altri casi. Per esempio, un
pranzo di nozze.»
«Ebbene,»
esclamò Codaro «quale migliore occasione per proclamare che una
cerimonia nuziale è un punto di partenza? C’è da
impiantare una famiglia, da mettere al mondo dei bambini, da dare alla
patria e all’umanità nuove energie. Idem a un battesimo, a una
inaugurazione, a una tappa del Giro d’Italia.»
«Benissimo,» esclamò l’obbiettore «ma, invece che a una tappa, provi a dirlo alla fine del Giro. Punto di partenza?»
«Perché
no? Anzi. La frase diventa piena di significato e, nella peggiore
ipotesi, spiritosa: questo non è un punto d’arrivo,
ma un punto di partenza. Se gli ascoltatori restano seri, aggiungerete:
il vincitore non deve arrestarsi, ma proseguire nel cammino delle
vittorie, ecc.; oppure: l’organizzazione deve perfezionarsi sempre più,
ecc. Se invece l’uditorio ride, aggiungerete:
questo non è che il primo giro del circuito, bisogna farne un certo
numero ecc.»
«Non mi arrendo ancora» fece l’interlocutore. «La frase calza, ve lo concedo, ed è uno spunto nelle occasioni che ella ha
citato e in mille altre, perfino a nozze d’oro e di diamanti. Ma provi a dirla a un funerale».
«Perché
no? Tutti intorno sotto gli ombrelli gocciolanti davanti alla fossa
aperta. L’oratore: “questa estrema stazione a
cui il nostro indimenticabile amico è arrivato, per quanto perdentesi
nelle nebbie di una misteriosa lontananza, non va considerata un punto
di arrivo, ma un punto di partenza. Egli non è approdato alle buie porte
del nulla per scomparire, fiammella fatua,
nelle tenebre. No; al contrario, è oggi che comincia la sua seconda
vita, la vera. Egli vivrà nella memoria di quanti lo conobbero. Nelle
opere. Nei figli diletti. E vivrà per se stesso nei cieli luminosi.
Finito il suo lungo peregrinare triste e faticoso,
egli ha spiccato il volo, è partito…»
La scolaresca non poté trattenere un caloroso applauso subito represso dallo scampanellare del docente.
«E per la conclusione?» domandò un’allieva del primo banco.
«Per
la conclusione» fece Codaro, asciugandosi il sudore che gli sgorgava
dalla fronte in conseguenza del pistolotto «basterà
la formula a: «Per tutte le ragioni sopra esposte, sono lieto di dirvi
che si può guardare con giustificata fiducia l’avvenire».
«E che c’entra coi funerali?» domandò un allievo.
«L’avvenire del mondo, in genere. La vita non s’arresta.»
Un altro allievo fe’ cenno di voler parlare.
«Ma» obbiettò «dopo un po’ tutti si accorgeranno che dite sempre la stessa cosa.»
«Ohibò!»
fece il professore. «Non è il cibo, ma il condimento quello che fa la
novità. Per questo ho parlato d’un concetto.
È il concetto, quello che vi servirà, non le parole testuali. A voi
presentare la braciola cucinata in mille modi. Non è difficile, sol che
non precipitiate le cose.
Comincerete col ringraziare, col lodare e poi girerete la frase in modi diversi.
Una volta, alzatovi, con aria di mistero, direte: “Signori, vedo laggiù la terra e alle mie spalle i flutti; questo non è
un approdo ma un trampolino”.
Un’altra volta, invece di sottintendere mezzi nautici, vi appoggerete all’aviazione: “Questo,” direte “non dev’essere uno
scalo ma una pista di lancio.
Una
terza volta dopo aver detto: “Guardiamoci intorno, signori: questa è
una stazione (tanto meglio se lo sarà realmente);
vedo là i treni, le locomotive sbuffanti, i cartelli indicatori, i
semafori. Ma ora vi dirò una cosa: Noi non siamo al lato arrivi, (pausa;
poi, alzando il tono) siamo al lato partenze”. (Applausi scroscianti).
Oppure, con tono nostalgico e lo sguardo nel vuoto: “Noi non siamo i viaggiatori che arrivano, ma quelli che partono, quelli
che vanno sempre, instancabili verso la meta ecc. ecc. secondo le circostanze.»
La lezione era finita. La scolaresca si alzò e qualcuno disse a nome di tutti, ringraziando:
«Ora ci sentiamo veramente d’affrontare qualsiasi occasione. Saremo oratori. Siamo giunti alla meta desiderata, alla possibilità
di parlare in pubblico».
Codaro li guardò con un’espressione divenuta improvvisamente grave.
«Ne
sono lieto» disse in tono raccolto «e ne sono anche orgoglioso per la
piccola parte che posso aver avuto nella cosa. Tuttavia
debbo dirvi che vi sbagliate, che siete in errore.» (La scolaresca
trattenne il fiato stupita.)
«Voi
non siete giunti alla meta. Al contrario, molto si è fatto, ma ancora
molto vi resta da fare per raffinarvi, per potenziare
la vostra oratoria e io vorrei raccomandarvi questo: non vi adagiate
sugli allori, giovani, non riposate. Ma vigilate e siate sempre pronti a
far udire la vostra voce, a dire liberamente la vostra opinione, alto e
forte. Perché» e Codaro alzò l’indice «quello
a cui siete giunti oggi non va considerato un punto d’arrivo, ma un
punto di partenza!»
La scolaresca applaudì a lungo. Tutti sentivano gonfiarsi il petto di grandi propositi.
«Comunque,» concluse Codaro sono lieto di constatare il vostro zelo e la vostra certezza in voi stessi. Cose che ci permettono
di guardare con giustificata fiducia l’avvenire.»
Un secondo applauso risuonò nell’aula, entusiastico. Lieti, convinti, accesi, gli allievi uscirono lentamente, commentando
il discorso. >>
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